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Calvino: La giornata di uno scrutatore

di Italo Calvino
Riassunto:

Il romanzo breve La giornata di uno scrutatore uscì nel 1963, ma la vicenda è ambientata dieci anni prima: il protagonista della storia è Amerigo Ormea, rappresentante del Partito comunista al seggio allestito, per le elezioni del 7 giugno 1953, all’interno dell’ospizio torinese del Cottolengo. Quest’ultimo è una benemerita istituzione di carità (il nome ufficiale è Piccola Casa della Divina Provvidenza) findata nel 1832 dal sacerdote piemontese Giovanni Benedetto Cottolengo; è tuttora un importante complesso ospedaliero, gestito da religiosi e volontari, che ospita alcune migliaia di malati colpiti da handicap grave.
Amerigo è un giovane intellettuale, uno scapolo che vive da solo in un piccolo appartamento, con una donna a ore per servizi domestici; intrattiene una relazione amorosa con la giovane Lia, ma è un rapporto movimentato da litigi e incomprensioni. Sul piano ideologico il protagonista, più che marxista, si sente un anonimo erede del razionalismo settecentesco nella città di Torino che tenne Giannone.
Particolarmente significativo il contesto nel quale si svolge la vicenda, l’istituto di Cottolengo: la sua funzione, come precisa Calvino nel romanzo, è dare asilo, tra i tanti infelici, ai minorati, ai deficienti, ai deformi, giù giù fino alle creature nascoste che non si permette a nessuno di vedere. Certo neppure qui, al Cottolengo. Amerigo rinuncia a espletare con tenacia il proprio ruolo di garante delle norme elettorali; è tutta via egli riane profondamente colpito dalla sofferenza e dall’infelicità di tante vite malate p mostruosamente deformate dalla natura.
Davanti a quei disabili, l’inquieta coscienza del protagonista si pone numerose domande sulla vita e sul perché del dolore, sull’effettiva possibilità di una trasformazione politica e razionale del mondo, sulla necessità di atti d’amore e di solidarietà gratuiti. Tali domande nascono in Amerigo anche assistendo all'abnegaziome con cui i malati sono accuditi da una suora infermiera, la madre, che compie con serena e dignitosa fermezza il suo compito. La conclusione del racconto sembra riflettere lo scacco della ragione, la sfiducia nelle istituzioni: la città dell’homo faber, l’uomo che costruisce, che edifica il mondo., pensò Amerigo, rischia sempre di scambiare le sue istituzioni per il fuoco segreto senza il quale le città non si fondano né le ruote delle macchine vengono messe in moto; e nel difendere le istituzioni, senza accorgesene, può lasciar spegnere il fuoco.
Può sembrare una conclusione negativa, ma in realtà, al termine del romanzo, prevale l’ottimismo verso un progeto di società diversa. Essa, per Amerigo, va fondata su un lucido razionalismo e sull’eliminazione delle divisioni sociali: in tal modo anche questo mondo dei minorati poteva diventare diverso, e lo sarebbe certo diventato. Il finale del racconto risponde dunque a un’utopia laica; in questo senso richiama un famoso libro del Seicento, la Città del Sola (1602) del frate eretico Tommaso Campanella: Anche l’ultima città dell’imperfezione ha la sua ora perfetta, pensò lo scrutatore, l’ora, l’attimo, in cui in ogni città c’è la città.



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