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Biografia: Bertolt Brecht

Biografia
Berthold Brecht (che poi semplificò il suo nome in Bertolt) nacque ad Augusta, in Baviera, nel 1898 da una famiglia discretamente agiata, della borghesia industriale.
Nel 1917 si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Monaco, ma poi passò a quella di medicina perché era più facile, per uno studente di quel corso, evitare il servizio militare. Proprio in quegli anni pubblicò poesie e opere teatrali. Nel 1922 riscosse un discreto successo con Tamburi nella notte e nello stesso anno si sposò con l’attrice Marianne Zoff. Nel 1924 si trasferì a Berlino e nel ’27, fallito il primo matrimonio, si sposò con un’altra attrice, Helen Weigel, da cui ebbe due figli. A Berlino si affermò come drammaturgo e fece amicizia e collaborò con molti musicisti del tempi come Kurt Weil e Paul Hindemith.
All’avvento del nazismo al potere, nel 1933, Brecht con la famiglia dalla Germania in volontario esilio: andò in Danimarca e vi rimase fino al 1939, manifestando idee comuniste, anche se non si iscrisse mai al partito. Alla vigilia della seconda guerra mondiale dalla Danimarca passò in Svezia e di qui in Finlandia e in Russia per approdare, infine, negli Stati Uniti d’America dove si stabilì in California, a Santa Monica, fino al 1946 vivendo quasi totalmente isolato. Sospettato di attività antiamericane, nel 1948 rientrò in Europa e si stabilì a Berlino Est dove, malgrado il suo professato comunismo, fu guardato con sospetto per le sue posizioni polemiche e per il suo individualismo. Tuttavia le sue opere erano rappresentate ovunque e proprio a Berlino egli organizzò la compagnia teatrale Deutsches Ensemble (1949) che divenne ampiamente famosa in tutta Europa. Brecht morì a Berlino nell’agosto 1956 per infarto cardiaco.

Le idee e le tematiche
Brecht scrisse moltissimo, specialmente durante gli anni dell’esilio: poesie, romanzi, saggi, drammi teatrali. Il suo nome è legato soprattutto al rinnovamento del teatro che, secondo lui, deve essere epico cioè narrativo (secondo l’etimologia greca) e deve coinvolgere il pubblico non con la facile commozione, ma con la sollecitazione attiva a prendere posizioni di giudizio.
Per questo, il teatro deve proporre temi o vicende atti a scuotere l’opinione pubblica per diventare tribuna di formazione politica e sociale per le masse. Attraverso situazioni e personaggi sulla scena, Brecht esprime le sue idee e conduce le sue battaglie per emancipare il popolo dalla soggezione ai potenti, secondo una visione marxista della società.
E’ notevole anche l’importanza di Brecht poeta, con una poesia che potremmo considerare controcorrente. Infatti, mentre negli anni fra le due guerre la poesia in genere è legata a problemi esistenziali e individuali e si scarnifica in un linguaggio sempre di Brecht è chiara, semplice nell’esposizione, energica nel linguaggio, ricca di contenuti e di critica politico-sociale. Si fa amara della vita e della morte.
Non sempre, però, la poesia brechtiana raggiunge lo stesso livello poetico; talvolta assume un carattere didascalico e predicatorio, ma generalmente la stringatezza formale ne salva i valori più autentici.

Fra le tantissime opere di Brecht, ci limitiamo a ricordare le più conosciute.

Un uomo è un uomo (1926).

L’opera da tre soldi
Questa opera, certamente una delle più note di Brecht, fu rappresentata con successo nel 1928; essa è la parodia del dramma borghese, pieno di intrighi e a lieto fine.
Nella Londra del primo Novecento, il capo della malavita Macheath, soprannominato Mackie Messer, sposa Polly figlia di Peachum, il re dei mendicanti che, contrario a questo matrimonio perché teme gli sia di ostacolo alle sue attività, vuol farlo arrestare. D’accordo con lo sceriffo Brown la tigre, dà la caccia a Macheath costringendolo a fuggire ripetutamente. Alla fine però Macheath viene preso e condannato a morte, ma sfugge all’esecuzione e torna libero perché gli giunge la grazia dalla regina in persona che gli conferisce anche un titolo nobiliare e ei beni.
Posiamo capire, anche dalla breve trama, che quest’opera è il ribaltamento del melodramma borghese. L’autore, per costruire la sua tesi:
Mette in scena i bassifondi cittadini popolati di straccioni, delinquenti, sfruttatori.
Dà a questa società di fuorilegge gli stessi impulsi e gli stessi codici che regolano la società capitalista.
Presenta la legge, nella persona dello sceriffo Brown, alleata con i criminali (il signor Peachum è industriale dell’accattonaggio).
Escogita un finale lieto, a sorpresa, con una parodia evidente nell’eccesso di gratificazione: a Macheath viene concesso anche un titolo nobiliare! Un finale non credibile, o forse possibile là dove prevalga l’alleanza fra giustizia e crimine (secondo la tesi brechtiana).
La musica di kurt Weill che accompagna il testo, sottolinea ogni azione con una espressività perfettamente intonata al genere di teatro che l’autore voleva realizzare, cioè talvolta con i toni della musica seria e colta, tal’altra con più sfrontati ballabili, in una alternanza profondamente ironica.

Santa Giovanna dei macelli (1932)
Complesso dramma ambientato nei macelli di chicago durante la crisi del 1929. Ne è vittima Giovanna, una donna che aveva cercato di fare la mediatrice fra la classe dei padroni e quella degli operai.

Terrore e miserie del terzo Reich (1938)
Musica di Hans Eisler.

Madre Coraggio e i suoi figli
E’ un dramma che si svolge durante la guerra dei Trent’anni (1618-1648). Mentre tutti soffrono i disagi della guerra (morte, saccheggi, violenze…) la vivandiera Anna Fierling, detta Madre Coraggio, sbarca il lunario proprio grazie alla guerra, facendo piccoli commerci da un campo all’altro. Non sa chi sono i nemici o gli amici, non si interessa delle cause del conflitto; le basta tirare avanti i suoi affari e far campare i suoi figli Schwelserkas e Kattrin che è muta. Quando i figli muoiono vittime della guerra e il carro con le mercanzie è perduto, Madre Coraggio ha un solo attimo di smarrimento, ma poi continua il suo peregrinare, questa volta per sopravvivere e non lasciarsi vincere dal dolore.

Vita di Galileo (1943)
Musica di H. Eisler.

L’anima buona di Seuzan (1943)
Quando tre vecchi saggi scendono sulla terra (dalle montagne celesti) per mettere alla prova la bontà degli uomini, trovano accoglienza nella casa di Shen Te, una fanciulla che non è certo uno specchio di virtù, ma ha un gran cuore. Quando se ne vanno dalla sua casa a Seuzan, i tre lasciano una sostanziosa ricompensa con la quale Shen Te può cambiare vita. Ma, generosa com’è, non sa rifiutare prestiti e regali a tutti quelli che si dicono suoi amici e ben presto andrebbe in rovina se non inventasse uno zio cattivo che la controlla.
Infatti di giorno Shen Te è la fanciulla buona e generosa, ma di notte si traveste da zio cattivo e va a punire e a fare paura a tutti i debitori insolventi. Intanto nel cielo i saggi sono scontenti del comportamento della loro protetta; nasce una disputa tra chi la ritiene colpevole di inganno e cattiveria e chi la giustifica perché non ha fatto che difendersi dalla voracità altrui, ma alla fine prevale il dovere di punirla, riportandola alla consueta miseria.



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