di Giacomo Leopardi
A se stesso è un breve componimento scritto nel 1835 a Napoli, appartenente con il Pensiero dominante, Amore e Morte. Aspasia al cosiddetto "ciclo dell'Aspasia". Furono ispirati dopo il crollo dell'ultima, illusione del poeta, l'esperienza dell'amore appassionato, non corrisposto per Fanny Targioni Tozzetti, che segnano una svolta nella poesia e nella poetica leopardiana. E' l'opera conclusiva del cielo di Aspasia e rappresenta a stagione della conclusione dei "cari inganni" iniziati nel periodo pisano. Si ha un distacco finale delle illusioni e delle speranze per rientrare e guardare dentro se stesso. Egli è consapevole del proprio valore intellettuale e della validità della propria riflessione filosofica, il disinganno portò con sé il crollo reale di ogni residua e superstite speranza. Egli non rinnega le sue convinzioni pessimistiche, ma ne attenua la cupezza di alcune sue conseguenze sostenendo che quando si è innamorati, l'illusione d'amore è una delle cause che fa sì che l'uomo sopporti le sofferenze. Nel canto dominano insieme all'energia affermazioni di sé la passione del vero, il ripudio di ogni conforto e pessimismo combattivo (lo si può vedere nello stile duro, martellato privo di immagini e di abbandoni musicali e sognanti). Le frasi raggelate e scarnite, le affermazioni recise, le frequenti spezzature del verso danno alla lirica un'intensa concentrazione drammatica.
La coscienza di sé e del proprio valore la si può vedere nel linguaggio da egli usato nudo e potente fatto di poche parole ma essenziali e definitive, il movimento ritmico è rotto e dissonante.
Analisi del testo:
A se stesso è un breve componimento scritto nel 1835 a Napoli, appartenente con il Pensiero dominante, Amore e Morte. Aspasia al cosiddetto "ciclo dell'Aspasia". Furono ispirati dopo il crollo dell'ultima, illusione del poeta, l'esperienza dell'amore appassionato, non corrisposto per Fanny Targioni Tozzetti, che segnano una svolta nella poesia e nella poetica leopardiana. E' l'opera conclusiva del cielo di Aspasia e rappresenta a stagione della conclusione dei "cari inganni" iniziati nel periodo pisano. Si ha un distacco finale delle illusioni e delle speranze per rientrare e guardare dentro se stesso. Egli è consapevole del proprio valore intellettuale e della validità della propria riflessione filosofica, il disinganno portò con sé il crollo reale di ogni residua e superstite speranza. Egli non rinnega le sue convinzioni pessimistiche, ma ne attenua la cupezza di alcune sue conseguenze sostenendo che quando si è innamorati, l'illusione d'amore è una delle cause che fa sì che l'uomo sopporti le sofferenze. Nel canto dominano insieme all'energia affermazioni di sé la passione del vero, il ripudio di ogni conforto e pessimismo combattivo (lo si può vedere nello stile duro, martellato privo di immagini e di abbandoni musicali e sognanti). Le frasi raggelate e scarnite, le affermazioni recise, le frequenti spezzature del verso danno alla lirica un'intensa concentrazione drammatica.
La coscienza di sé e del proprio valore la si può vedere nel linguaggio da egli usato nudo e potente fatto di poche parole ma essenziali e definitive, il movimento ritmico è rotto e dissonante.