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Eugenio Montale Tesina Svolta

Biografia in breve

Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896, trascorse la sua giovinezza in Liguria, a guerra finita, frequentando gli ambienti culturali di genova e di Torino, ebbe modo di conoscere Giovanni Boine, Camillo Sbarbaro, Pietro Gobetti. Nel 1925 pubblicò la sua prima raccolta poetica, Ossi di seppia, ed iniziò l’attività di critico letterario e, come tale, ebbe il merito di scoprire e rilevare al pubblico italiano l’opera di Italo Svevo. Nello stesso anno fu tra i pochi a sottoscrivere il manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Collaborò a varie riviste letterarie, tra le quali Solaria e Letteratura. In urto con il fascismo, durante la seconda guerra mondiale prese parte alla Resistenza. Dopo la guerra riprese la sua attività di critico letterario, collaborando anche al Corriere della sera. Nel 1967 fu nominato senatore a vita per meriti letterari, nel 1975 ottenne il premio Nobel per la letteratura. Morì a Milano nel 1981.

Opere principali

La sua opera più importante è stata la prima raccolta di poesie, intitolata Ossi di seppia e pubblicata nel 1925 dall'editore Piero Gobetti. Nel 1939 Montale ha pubblicato la sua seconda raccolta poetica, Le occasioni, che segna una seconda fase del suo itinerario poetico, e, nel 1956, La bufera e altro. Seguirono altre raccolte, come Satura (1971) e Quaderno di 4 anni (1977).

Ossi di seppia

Eugenio Montale, nelle poesie di Ossi di seppia, esprime un amaro pessimismo, derivante dalla convinzione dell’impossibilità di svelare il mistero che avvolge l’uomo e le sue cose. La vita è aspra e ride, efficacemente simboleggiata, nei versi montaliani, dal paesaggio ligure scabro e roccioso. Da questa amara e arida, realtà nascono la sofferenza e il dolore, l’angoscia esistenziale.

Linguaggio poetico

La consapevolezza della drammatica condizione umana di solitudine ed incomunicabilità induce Montale a ricercare un linguaggio poetico quanto più aderente possibile alle cose, un linguaggio essenziale  ricco di simboli, di analogie, a volte anche oscure, ma che, nel contempo, si rivela anche straordinariamente narrativo e descrittivo per la precisione dei riferimenti e per la cura dei particolari. Quello di Montale è un linguaggio antiletterario, che, almeno per le prime poesie, si può si collocare, nell'alveo dell’ermetismo, ma con una sua inconfondibile originalità; esso ricorda qualcosa del linguaggio dei crepuscolari e, per quanto concerne l’introduzione di termini della lingua comune o addirittura tecnici, può far pensare pure al Pascoli.

Poesie principali di Ossi di seppia

Si possono ricordare le poesie Meriggiare pallido e assorto e Spesso il male di vivere ho incontrato. Nella sua prima poesia l’asprezza del paesaggio ligure simboleggia la solitudine e l’angoscia dell’uomo, il cui mondo è un arida petraia senza un filo di speranza, e la cui vita, con tutti i suoi travagli, altro non è che un seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia: è cioè un muro invalicabile che esclude l’individuo dal contatto autentico con gli altri, costringendolo a una penosa solitudine. E’ una condizione di disperata immobilità, senza possibilità di scampo o di reazione. All'uomo non è dato conoscere il perché della sua esistenza e la vita resta sempre un mistero. Nella poesia Spesso il male di vivere ho incontrato la vità è presentata contrassegnata dal dolore, non solo per gli uomini, ma pure per gli animali, e per le cose. Infatti il male è nel rivo strozzato che gorgoglia, nel cavallo stramazzato, nell'incartocciarsi della foglia. Sul mare svetta l’indifferenza, la condizione di distacco simboleggiata dalla fredda immobilità della statua, dalla nuvola lontana e dal falco alto levato.

La poesia di Montale è petrosa è ossuta

Tali aggettivi vogliono significare che si è in presenza di una poesia, quale quella montaliana, dura di suoni e di immagini, che contempla freddamente, con distacco, le forme della vita che si sgretola, le forme di un mondo irto, fratto, corroso da quel male di vivere che resta al centro dell’interesse del poeta. Ogni tentativo di consolazione è vano e, nonostante la grande ansia di verità, la realtà silenziosa e impenetrabile non apre all'uomo alcuno spiraglio di luce, non concede alcuna speranza.

Confronto tra Leopardi e Montale

Giustamente alcuni critici osservano che il pessimismo di Montale ricorda quello di Leopardi per il comune atteggiamento di fronte al male di vivere. Però, a parte il ricorso al simbolismo, soprattutto del paesaggio ligure, che caratterizza il suo linguaggio poetico, Eugenio Montale evidenzia un pessimismo più netto di quello del poeta recanatese. Infatti, nella coscienza del vuoto e delle negatività della vita, Montale ignora la possibilità della rivolta e mette a nudo il dramma della condizione umana senza possibilità di riscatto, ma acerata nella sua sofferenza. Non c’è, in una realtà che per l’uomo resta silenziosa ed impenetrabile, alcuno spiraglio di luce: la pena del vivere nemmeno nella morte troverà sollievo e forse anche ai morti è tolto ogni riposo nelle zolle…

Nuova fase del Montale

A partire dalla raccolta Le occasioni del 1939, Montale ricerca un fraseggiare poetico più lento e, nei suoi componimenti, si succedono figure ed episodi che, evocati mediante una simbologia di oggetti e di gesti, vengono trasfigurati liricamente. Montale, sempre impegnato in una costante ricerca esistenziale, accentuando il simbolismo, si rifugia nel privato, ripercorre ciò che la memoria gli propone e, soprattutto nella raccolta Satura, diventa anche più discorsivo e prosastico  ora preso da un affettuoso colloquio con la moglie scomparsa, ora intento a riflettere sull'insensatezza del mondo contemporaneo.

La critica letteraria verso Montale

La critica letteraria ha sempre tenuto in alta considerazione Montale, reputandolo un testimone del nostro tempo. Luciano Anceschi non ha mancato di rilevare come l’ermetismo con Ungaretti e Montale, abbia espresso nel nostro Paese la situazione di crisi esistenziale dell’uomo, con una consapevolezza profonda. In particolare Montale ha dato il massimo di energia morale alla poetica dell’emblematica oggettiva. Macchioni vede Montale interamente e drammaticamente partecipe della crisi dell’uomo moderno anche se nella sua testimonianza: “Il coraggio morale di guardare le cose senza speranza e illusione diventa una bandiera da opporre alla faciloneria, alla retorica, all'idiota ottimismo del fascismo”.
Infatti Montale resta un poeta non ammissibile alle mode o agli imperativi del mondo: non a caso egli si è astenuto da ogni servo encomio al fascismo, tanto da essere tra i pochi intellettuali italiani che nel 1925 hanno sottoscritto il manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce e tanto da apprezzare, lui per primo in Italia, uno sconosciuto come Italo Svevo. Tuttavia Alberto Asor Rosa si limita a vedere in un poeta come Montale un semplice cantore dell’incomunicabilità e, nella sua opera, una risposta letteraria tipicamente borghese.



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