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Futurismo in Letteratura

Riassunto:
Il Futurismo fu l’unica vera avanguardia italiana, nel contesto delle avanguardie storiche di primo Novecento. Fu fondato in Francia da Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), con la pubblicazione (1909) del Manifesto del Futurismo sul quotidiano Le Figaro di Parigi. All’inizio il Futurismo fu un fenomeno italo francese, ma in breve allargò la sua influenza, trovando le maggiori espressioni nel Futurismo russo, con il poeta Vladimir Majakovskij (1893-1930), il pittore Kazimir Malev (1878-1935) e altri.
I futuristi stessi affermavano che nel Futurismo, l’arte non è la cosa più importante. Essi volevano influire in primo luogo sulla vita sociale, sulla mentalità; dunque, prima ancora che di arte, s’interessavano di politica, spettacolo, tecnica, moda, della vita delle masse in ogni sua forma. In questo senso il Futurismo fu un fenomeno pienamente e fortemente moderno.
Tale attenzione a vasto raggio sulla vita contemporanea alimentò l’anima eclettica del Futurismo, cioè la sua versatilità d’interessi. La proposta futurista si estese a ogni genere di comunicazione e di spettacolo (fotografia, radio, teatro, cinema, danza). Dopo il primo Manifesto del 1909, vennero molti altri manifesti dedicati alle varie discipline (pittura, danza, cinema, teatro futuristi) e anche a campi estranei all’arte, come l’abbigliamento, l’arredamento, l’alimentazione, la flora, la matematica, persino i culti funerari ecc.; in una ricerca di libertà che proseguisse attraverso esperienze e linguaggi sempre nuovi.
Fin dagli inizi il movimento di Marinetti operò come gruppo organizzato. Realizzò in Italia e all’estero serate in teatri pubblici (letture e azioni sceniche che spesso degeneravano in provocazioni e risse), esposizioni e mostre d’arte, conferenze, spettacoli teatrali, attività editoriali. Fu accompagnato da un proliferare di riviste e rivistine (per fare alcuni esempi: Dinamo di Roma, Rovente di Parma, la scintilla di Cremona, La Testa di Ferro di Fiume, Originalità di Reggio Calabria, Vesuvio di Napoli), numeri unici e proclami di battaglia: il movimento incarnava un bisogno reale di rinnovamento e di proposta, non limitato a pochi intellettuali.

L’ideologia del futuro e i suoi limiti
A inizio Novecento l’epoca della rivoluzione tecnologica, contrassegnata dall’elettricità, dall’aviazione, dall’automobile, suggeriva entusiasmo per il futuro.
La futuro latria, la modernolatria (cioè l’esaltazione del moderno e del futuro), l’esaltazione della civiltà industriale, fatta di folla e di macchine, costituirono gli aspetti più appariscenti del Futurismo. Si accompagnarono al gusto della provocazione, al desiderio di distruggere il passato in ogni sua forma: il Manifesto marinettiano del 1909 auspicava la distruzione di musei, biblioteche, accademie d’ogni specie, paragonati a cimiteri di sforzi vani.
La lotta e la distruzione presupponevano una concezione violenta del mondo e dell’uomo: scaturirono da questo clima intellettuale l’esaltazione della guerra (celebrata come la sola igiene del mondo) e dell’aggressione, della vita breve ed eroica, la sfida temeraria, il disprezzo dei deboli e della pace. Diversamente dalle altre avanguardie storiche europee, come Dadaismo, Espressionismo e Surrealismo, o anche come il Futurismo russo, il movimento di Marinetti elaborò un'ideologia autoritaria e militarista, che celebrava lo stato totalitario. Su questo terreno si consumò dopo il 1922 l'abbraccio tra Futurismo e fascismo. Tale esito però negava e tradiva l'ansia di libertà intrinseca al movimento futurista, la sua istintiva (e rivoluzionaria) diffidenza nei confronti di ogni forma di autorità e di tradizione.

Un vasto retroterra culturale: le fonti del Futurismo
Fondando il Futurismo, Marinetti raccolse e realizzò molti temi e motivi, nati sul terreno irrazionalistico e individualistico della cultura decadente ed elaborati da filosofi come Friedrich Nietzsche (1844-1900), profeta del nichilismo e dell'ebbrezza, Georges Sorel (1847-1922), teorico della violenza come forza originaria e pulsione vitale, Henri Bergson (1859-1941), dal quale i futuristi ricavarono l'idea che solo l'intuizione può cogliere il dinamismo della realtà.
Altre fonti erano più letterarie. Un precursore del Futurismo fu D'Annunzio, sia per la sua concezione del superuomo, sia per l'amore verso il mondo moderno (motori, aviazione ecc.). Marinetti, che si era formato in area francese, guardò però soprattutto alle idee che si stavano elaborando, nei primi anni del XX secolo, a Parigi.
Colse la novità dei poeti simbolisti (da Rimbaud a Gustave Kahn, che propose in Francia il verso libero). Da Mallarmé riprese l'idea che il segno da solo può esprimere moltissimo, anche al di fuori di un discorso razionale.
Infine dalle avanguardie di quegli anni (fauves, cubisti) riprese una visione più dinamica della realtà, sganciata dalla percezione comune.
A quell'epoca, in Italia, Marinetti non era l'unico a coltivare questi temi. Per esempio lo scrittore Mario Morasso (1871-1938) esaltava in quegli anni temi come la macchina, la velocità, la guerra.
Il poeta Gian Pietro Lucini (1867-1914) proponeva poi il verso libero come mezzo per liberare la poesia da ogni legame con la tradizione.
Uno stimolo al rinnovamento veniva anche dalle fiorentine d'inizio secolo, da Leonardo a Lacerba e Il Regno. Marinetti però fu il più lucido a cogliere il bisogno di novità che circolava in tante forme; lo incanalò, gli diede un nome (Futurismo) ed ebbe successo.



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