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Capitolo 27 de I Promessi Sposi - Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del ventisettesimo capitolo (cap. XXVII) del celebre romanzo I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
Agnese si fa leggere e spiegare la lettera dal cugino Alessio


La struttura

Questo capitolo rappresenta una specie di intermezzo tra la seconda e la terza macrosequenza del romanzo, che comprendono la storia di Renzo e quella di Lucia, e le successive, dedicate ad argomenti di più ampio respiro (la carestia e la peste). La sua parte iniziale è incentrata su un'analisi abbastanza dettagliata dei motivi politici legati alla guerra di successione per Mantova e il Monferrato. La digressione s'intreccia poi con le vicende dei protagonisti: il lettore viene informato delle indagini fatte sul conto di Renzo (mentre è in pieno svolgimento l'assedio di Casale, al quale partecipa anche don Gonzalo) e del rapporto epistolare che, finalmente, il giovane può intrattenere con Agnese, attraverso il quale apprende del voto di Lucia. Quest'ultima si trova a Milano, ospite di donna Prassede, circostanza che offre al narratore l'opportunità di aprire una seconda digressione, dedicata a don Ferrante e alla sua cultura. Questo personaggio non ha alcun ruolo nella storia, ma l'interesse persino eccessivo nei suoi confronti è giustificato dall'intento polemico dell'autore verso una cultura vuota, puramente erudita. A conclusione del capitolo, il narratore si propone di chiarire gli eventi accaduti nel periodo di tempo in cui vengono taciuti i fatti privati dei personaggi. Il flashback ci riporta indietro di quasi un anno, ai giorni successivi al tumulto di san Martino (11 novembre 1628).


Il tempo

Come si ricorderà, nella prima macrosequenza (capitoli I-VIII) la scansione cronologica degli avvenimenti era molto dettagliata: il racconto iniziava la sera di martedì 7 novembre 1628 e si concludeva venerdì 10, con la fuga di Renzo e delle due donne. In questo modo, numerosi avvenimenti risultavano concentrati in poco più di tre giorni. La precisione nelle date è una caratteristica anche della seconda macrosequenza (capitoli IX-XVII), per quanto, come nel caso della prima, i riferimenti temporali debbano essere spesso dedotti dal lettore, attraverso una serie di indicazioni. Le vicende si snodano da sabato 11 novembre a lunedì 13 e, di nuovo, molti fatti sono collocati in tre soli giorni. È a partire dalla terza macrosequenza (capitoli XVIII-XXVI) che il tempo prende a scorrere con una certa velocità. Non siamo più in grado di indicare delle date precise, perché il racconto si dilata e, da parte del narratore, le osservazioni al riguardo diventano sempre più vaghe. Possiamo tuttavia individuare, seppure in modo approssimativo, il tempo trascorso dalla fuga di Renzo e dal suo passaggio in terra bergamasca. Dall'incontro tra Attilio e il conte zio, fino al colloquio tra il cardinale e don Abbondio, è trascorso circa un mese: dalla metà di novembre alla metà di dicembre 1628; il trasferimento di Lucia in casa di donna Prassede avviene nel dicembre 1628. L'ellissi, contenuta nel capitolo XXVII avverte di un salto temporale di parecchi mesi, fino al settembre 1629: è in questo periodo che ritroveremo, nel capitolo XXIX, alcuni personaggi, momentaneamente trascurati dal narratore a favore dell'analisi storica.



I nuclei tematici

La guerra
Le prime pagine del capitolo collocano la vicenda narrata nel romanzo in una prospettiva molto più vasta rispetto a quella precedente: lo spazio temporale è assai ampio, dato che i personaggi principali si trovano in luoghi diversi e molto distanti tra loro (Renzo nel bergamasco, Lucia a Milano, Agnese al villaggio) e si giunge, cronologicamente, fino all'autunno del 1629.
La digressione sulle motivazioni della guerra di successione per Mantova prende invece la forma di un ragguaglio extranarrativo: la storia si interrompe, affinché il lettore sia messo al corrente di fatti solo indirettamente riguardanti i personaggi. La digressione infatti deve costituire lo sfondo storico e culturale sul quale si evidenzieranno le vicende dei protagonisti della storia. La medesima funzione è svolta dal flashback rappresentato dal capitolo XXVIII e annunciato in questo. In tal modo, la storia si mescola all'invenzione e l'intreccio dispone i fili delle avventure vissute dai personaggi sul tessuto degli avvenimenti storici.
L'episodio di Renzo inseguito dalla giustizia rientra nel conflitto che si sta combattendo nell'Italia del nord tra le principali potenze del tempo, la Spagna e la Francia, appoggiate dai rispettivi alleati, il duca di Savoia e il papa. Se, da un lato, è necessario parlare di questa guerra per capire meglio la situazione e le preoccupazioni di Renzo, dall'altro essa offre al narratore l'opportunità di esercitare una feroce ironia sia sulle inutili e affannose imprese degli uomini illustri sia sull'iniquità di tutte le guerre, ma, per il Manzoni, non c'è nessun motivo che possa giustificare una guerra. Le manovre dei grandi uomini (il cardinale Richelieu, don Gonzalo, il duca di Savoia, gli ambasciatori, ecc.) servono soltanto a rivelare quanto di tragico e disumano vi sia nelle guerre e nella politica, ridotta a giochi diplomatici, ad astuzie meschine, volte ad affermare come verità ciò che è solo apparenza. Gli uomini come don Gonzalo sono semplicemente dei distruttori, vittime della loro stessa ambizione: di conseguenza, la storia ufficiale si riduce a un lungo elenco di ingiustizie e di massacri. Ben diversa è la concezione manzoniana della storia e della politica: la prima acquista significato solo attraverso l'impegno di tutti (potenti e umili) a costruire una società migliore, in cui l'attività politica si definisca come ricerca della pace e della giustizia. Le vicende narrate costituiscono invece la negazione di questi ideali.



I personaggi

Il capitolo mette in luce, oltre al consueto dramma di Lucia, divisa tra l'amore e la fedeltà al voto, anche quello di Renzo, perseguitato, braccato e sconvolto dalla notizia che la giovane ha rinunciato a lui per sempre. Domina qui il tema della separazione, tanto più doloroso perché si ha l'impressione che tra i due promessi la distanza si sia allargata e che non vi sia più alcuna possibilità di soluzione.
Una piccola consolazione è data tuttavia dal riannodare i fili del rapporto almeno con Agnese. Il faticoso scambio epistolare tra i due consente al Manzoni di esercitare la sua ironia sugli inutili tentativi umani di far andare le cose come si vorrebbero. Renzo e la sua corrispondente si dibattono in mille dubbi e incertezze, tra cui solo la questione del voto appare in tutta la sua sconvolgente chiarezza. Ma la critica dell'autore si esercita anche sui letterati di mestiere che, attraverso le parole, deformano la realtà. Di fronte al rischio che le parole esprimano qualcosa di diverso da ciò che vogliono dire veramente e falsifichino il pensiero, Renzo reagisce a modo suo: detta lui stesso la lettera e non permette ad altri di manipolare i suoi sentimenti.
La corrispondenza di Agnese ha come argomento Lucia, costantemente in guerra con se stessa ed esposta per di più agli attacchi di donna Prassede, impegnata nel difficile compito di liberarla dalla passione per Renzo.
L'ironia del narratore si esercita su entrambe: in maniera affettuosa sulla giovane, disperatamente impegnata a raggiungere quell'obiettivo che il suo cuore rifiuta. Con la consueta, sottile capacità di penetrazione psicologica, Manzoni osserva che Lucia desidera che Renzo pensasse a dimenticarla: ella vorrebbe, in modo contraddittorio, che l'ex-promesso si dimenticasse di lei, continuando a pensarla. In questo modo, Lucia torna a parlare d'amore, senza mai nominare, per pudore e discrezione, questa parola (e non è la prima volta nel romanzo: si pensi al suo atteggiamento di fronte alle insistenti domande di Gertrude).
Tagliente è invece l'ironia su donna Prassede, di cui il narratore arricchisce il carattere attraverso uno spiraglio aperto sulla sua vita familiare: aggressiva e invadente, non conosce equilibrio e discrezione neppure nel fare il bene. La sua vita assume l'aspetto di una vera e propria crociata: interviene, combatte, corregge, raddrizza e guida chi ella ritiene ne abbia bisogno (la servitù, le figlie, chiunque le capiti a tiro). Il suo intervento nei confronti di Lucia produce però il risultato contrario a quello che si era proposta: quanto più parla di Renzo in termini negativi, tanto più la giovane ha modo di approfondire le ragioni del suo amore e, se mai, di confermarsi in esso.
La tirannia di donna Prassede cerca di esercitarsi anche sul marito, don Ferrante, che costituisce la caricatura dell'uomo veramente colto secondo la concezione di Manzoni, per il quale cultura e azione dovrebbero fondersi per accrescere il progresso e la civiltà. A questo modello, di stampo illuminista, si contrappone quello offerto da don Ferrante: erudito, ma in discipline inutili (astrologia, cavalleria, ecc.), privo di qualsiasi senso critico, intransigente, mai soggetto a dubbi, lontanissimo da qualsiasi impegno concreto.
L'ironia del narratore, che si precisa ormai come una costante del capitolo, non risparmia neppure lui, vittima del solito, vecchio gioco tra apparenza e verità: passa per dotto, ma è completamente vuoto di vera cultura, quella che si forma attraverso l'esame critico e la rielaborazione personale. Simile a lui è l'anonimo, seccatore pedante con i suoi elenchi di autori e di titoli: maliziosamente infine, il narratore attribuisce la responsabilità della digressione su don Ferrante all'autore del manoscritto e alla sua mania di far sfoggio di cultura.



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