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Il Pensiero di Guicciardini


Il pensiero di Guicciardini si fonda inizialmente, su presupposti analoghi a quelli del Machiavelli: anche per lui l'uomo singolo, con le sue azioni e passioni, è il motore della storia, anche per lui lo studio dei rapporti umani va risolto esclusivamente al campo delle vicende politiche e gli interessi morali e religiosi rimangono decisamente in secondo piano.
Anch'egli parte dall'amara constatazione che gli uomini si lasciano per lo più traviare dalle passioni, e proprio questo sfrenarsi continuo di cupidigie e meschini egoismi nella trama complessa e spesso caotica della vita associata, sulla quale si estende per giunta, l'ombra grave della Fortuna, impone la ricerca spregiudicata e lucida di una norma d'azione, che sia tale da garantire all'individuo la sopravvivenza e l'affermazione del mondo.
Qui però si arrestano le somiglianze tra i due pensatori. Il Machiavelli, infatti, pur partendo da questa visione amara dell'uomo e del limite invalicabile opposto al suo agire della Fortuna, crede tuttavia nello stato come formazione razionale e umana, trova in esso una superiore moralità, su cui fondare i progetti costruttivi di una virtù attiva ed energetica. La meditazione del Guicciardini parte, invece, dal riconoscimento amaro dell'incapacità da parte del singolo di riuscire a modificare il corso degli eventi e di ridurli in schemi razionali. C'è in lui la coscienza di un'estrema complessità del reale che non si lascia esaurire da nessuna formula. Vano è dunque pretendere di stabilire norme e leggi generali d'azione, dato che una realtà sempre imprevedibile sconvolge gli schemi in cui vorremmo costringerle.
Alla virtù del Machiavelli egli sostituisce pertanto la discrezione, che è la capacità d comprendere e sviscerare i fatti singoli nelle loro infinite sfumature, per poter inserire la propria azione nel loro corso tumultuoso, senza venirne travolti, salvando il proprio particolare, cioè il proprio interesse, inteso nel senso più ampio, e cioè anche di dignità di realizzazione piena della propria intelligenza e capacità di agire in favore di se stessi e dello stato. Manca comunque al Guicciardini la fede in un ideale che superi l'immediata spera individualistica, e questo rende la sua visione della vita scettica, amara e gelida, anche se non priva di un vago rimpianto per gli ideali umanistici e cristiani, e tristemente consapevole della vanità finale di ogni soddisfazione umana. Si può in un certo modo affermare che nel suo pensiero la Fortuna vince la virtù, e la fiduciosa affermazione rinascimentale della capacità costruttiva dell'uomo nel mondo appare ormai in declino. Questo atteggiamento deriva dalla sua concreta esperienza.
Egli rimase l'ambasciatore, il diplomatico fine, abituato a svolgere e a tentar di interpretare, con lucida intelligenza e costante ritegno dei propri impulsi e sentimenti, la trama complessa della politica.
La sua carriera di governo gli insegnò il realismo, ma anche il senso di compromesso e delle forze inoppugnabili dei fatti ai quali le teorie andavano applicate, con cautela estrema, non ignora di rinunce.
Il Guicciardini, insomma non è l'ideologo, l'uomo di principi, ma uno spirito lucido e intelligente, volto all'azione in un momento in cui esso non era, ne poteva essere in Italia o nello Stato pontificio, guidato da alti principi ideali o da entusiasmi. Si tenga presente che egli scrive la Storia d'Italia, la sua opera più grande , dopo il tramonto definitivo della libertà italiana e l'affermazione decisa del predominio spagnolo sulla penisola, quando cioè le sorti dell'Italia apparivano definitivamente concluse senza speranza di evoluzione. Di questa situazione il Guicciardini fu lo storico accorato, il testimone consapevole della crisi di una civiltà. Sulla tragedia della libertà italiana innalza il furente lamento della sua storia, espressione altissima di intelligenza, di capacità critica e di giudizio realistico e spregiudicato, secondo il miglior insegnamento rinascimentale: ma anche ultimo monumento e senz'altro il più maturo e profondo di una storiografia umanisticamente concepita scritta mentre ormai veniva meno la fiducia dell'uomo.



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