Scuolissima.com - Logo

Ultimo ministero di Giovanni Giolitti

Riassunto:
Nel giugno del 1920 Nitti fu costretto a dimettersi perché non più sostenuto da una maggioranza stabile e compatta, così Giolitti, ormai quasi ottantenne, assunse effettivamente per la quinta volta la responsabilità del governo. Il Gioliitti aveva contribuito a promuovere lo sviluppo capitalistico industriale del primo Novecento.
Giolitti mirava a impegnare i socialisti, o almeno un’ala dei socialisti, nell'attuazione di una politica riformista; a ridurre i popolari in una posizione subalterna; a utilizzare i fascisti come deterrente contro l’estremismo socialista e a conceder loro quanto bastava perché essi rientrassero poi nella norma dello Stato liberale. La strategia del vecchio statista andò incontro a un totale fallimento: i socialisti non si lasciarono ridurre al riformismo; i popolari non accettarono di essere egemonizzati; i fascisti, infine, grazie allo straordinario fiuto del Mussolini, finsero di lasciarsi usare, ma in realtà riuscirono ad usare il Giolitti.
Nel paese accadevano fatti gravissimi destinati a compromettere le sorti del proletariato e con esse le speranze di una soluzione democratica della crisi italiana. Dalla metà del luglio 1920 erano in corso trattative fra la Federazione Italiana Operai Metallurgici (FIOM) e le rappresentanze padronali sul problema dell’adeguamento dei salari al carovita.
Di fronte alla rigida resistenza degli industriali, la FIOM decise di ricorrere all'ostruzionismo  Pochi giorni dopo, gli operai poiché le officine di Romeo di Milano erano presidiate dalle forze di polizia che ne impedivano l’accesso, procedettero all'occupazione di circa 300 stabilimenti, dislocati in tutto il triangolo industriale (Milano-Torino-Genova).
Il partito socialista né seppe né volle assumersi la responsabilità di quella scelta rivoluzionaria, cosicché i lavoratori furono lasciati. Allo sbaraglio, e si profilò ben presto l’inevitabilità di una sconfitta. A metà settembre si riaprirono pertanto, con la mediazione del governo, le trattative fra le parti contendenti, e gli operai si impegnarono a sgomberare pacificamente le fabbriche, ottenendo l’assicurazione che il governo avrebbe presentato un progetto di legge allo scopo di organizzare le industrie sulla base dell’intervento degli operai nel controllo tecnico e finanziario, o nell'amministrazione dell’azienda. L’esito dell’occupazione delle fabbriche e il conseguente scoraggiamento del proletariato diedero spazio alla reazione padronale.
La produzione industriale calava, e gli imprenditori, di fronte alla drastica riduzione dei profitti erano sempre meno disposti a concedere miglioramenti al proletariato. Gli operai esposti al rischio del licenziamento per la diminuzione dei posti del lavoro erano ridotti alla difensiva. Verso la fine del 1920 nacquero le squadre d’azione che esercitavano sistematiche violenze contro le organizzazioni contadine.
Giolitti come al solito non intervenne nel conflitto tra operai e industriali perché pensava che sarebbe andato al potere il comunismo ma la situazione ora era molto diversa da quella del primo Novecento e il suo atteggiamento scontentò tutti. Nelle campagne si gridava:”La terra ai contadini” e i braccianti minacciavano i diritti della proprietà di questa grave crisi approfittò Mussolini nel 1921 voleva lo scioglimento delle camere e del governo altrimenti avrebbe marciato su Roma con l’appoggio degli industriali e dei proprietari terrieri, facendo uno stato d’assedio.
La marcia su Roma non incontrò resistenze apprezzabili. D’accordo in un primo tempo col presidente del consiglio Facta per la proclamazione dello stato d’assedio, ma la mattina dopo si rifiutò di firmarlo. Il re a favore di Mussolini conferisce l’incarico di formare un nuovo governo (31 ottobre 1922). Così i due anni di violenze furono legalizzati dalla Corona, e i fascisti, che alla camera avevano solo 35 deputati contro i 123 dei socialisti e i 107 dei popolari, riuscirono ad imporsi con la forza come legittimi successori della vecchia classe dirigente liberale. Mussolini compose un governo di coalizione nel quale entrarono esponenti del liberalismo, del Partito popolare e dell’esercito come Diaz e l’ammiraglio Thaon. All'opposizione rimasero i comunisti, i repubblicani e i socialisti. Mussolini trasformò il fascismo in un vero e proprio regime.
Nel 1923 fece approvare dalla camera e dal senato una nuova legge elettorale detta legge Acerbo che prevedeva un larghissimo premio (due terzi dei seggi) per la lista che avesse conseguito la maggioranza relativa dei consensi.
I fascisti vi si presentarono in coalizione con molti esponenti del vecchio liberalismo e con i cattolici di destra, indipendenti o transfughi del partito popolare. Al listone si contrapposero i socialisti del PSI e del PSU, i comunisti, i popolari, i liberali democratici antifascisti organizzati da Giovanni Amendola, i repubblicani e altri gruppi minori; uno di questi ultimi era capeggiato da Giolitti, che si presentava come estraneo al governo ma non come oppositore.
Il listone conseguì più del 60% dei voti e ottenne 356 seggi su 535 di cui si imponeva la Camera. Questi risultati, per quanto viziati dai metodi messi in atto per ottenerli, indicavano, quanto meno, che il fascismo godeva di consensi assai ampi. Nella nuova Camera, il deputato del PSU Giacomo Matteotti, benché continuamente interrotto dalle minacce e dagli insulti dei fascisti, contestò la validità delle elezioni e fornì un ampio e documentato elenco delle violenze commesse dai fascisti nel periodo preelettorale: le urne affidate in custodia alla Milizia fascista, il controllo esercitato sugli elettori dai fascisti, che in alcuni casi si erano spinti fino ad accompagnarli in cabina. Matteotti tenne il suo discorso alla Camera il 30 maggio del 1924.
Il 10 giugno fu aggredito a Roma rapito e trucidato. Mussolini fu accusato di complicità, i gruppi d’opposizione, eccetto i comunisti, decisero di abbandonare la camera sulla cui maggioranza gravavano infamanti sospetti questa secessione fu detta dell’Aventino. Si pensava che il governo si dovesse dimettere ma Mussolini e i suoi seguaci non erano uomini da cedere di fronte a una condanna morale, se si fossero ritirati non solo avrebbero distrutto il loro avvenire politico, ma avrebbero anche dovuto rispondere di fronte alla legge delle violenze commesse. Mussolini si pretese la responsabilità politica, morale e sotrica di tutto quanto era avvenuto e preannunciava la volontà di farla finita con tutti gli oppositori. Col discorso del 3 gennaio 1925 si ebbe il trapasso del fascismo a regime.



🧞 Continua a leggere su Scuolissima.com
Cerca appunti o informazioni su uno specifico argomento. Il nostro genio li troverà per te.




© Scuolissima.com - appunti di scuola online! © 2012 - 2024, diritti riservati di Andrea Sapuppo
P. IVA 05219230876

Policy Privacy - Cambia Impostazioni Cookies