Avevo già creato una sezione apposita che parlava di traduttori dal latino all'italiano, questa volta invece voglio spiegarvi in modo molto semplice come si traduce una frase in queste due lingue nel modo più semplice possibile.
Osservate queste due frasi:
Marco in italiano è uguale in tutti e due gli esempi; in latino invece troviamo.
Queste sei frasi non creano confusione in latino, perché la terminazione in -us indica il soggetto e quella in -um l'oggetto. In tutte e sei le frasi dunque Livio e Marco mantengono i loro ruoli distinti. In italiano invece possiamo dire soltanto:
cambia anche il significato della frase.
Come mai questa differenza? Il motivo sta nel fatto che quella m di Marcum che indicava l'oggetto era talmente debole (quasi un soffio nasale) che pian piano cadde e si ebbe Livius deridet Marcu. Più tardi cominciarono a cadere a poco a poco anche le altre consonanti finali per cui
Liviu e Marcu diventarono quindi uguali (più tardi la u si trasformò in o). Le funzioni del soggetto e dell'oggetto vennero allora affidate non più alla terminazione ma all'ordine delle parole nella frase. E quest'ordine in italiano è generalmente:
Senza la disposizione delle parole in quest'ordine, non potremmo capire il senso della frase.
La terminazione in -u è viva ancora oggi nel sardo e in molti dialetti centro-meridionali:
Come potete osservare, i nomi latini in accusativo, caduta la consonante finale, possono terminare in:
sono i tre gruppi in cui si dividono i nomi italiani:
Il plurale italiano dei nomi in -a e in in -o continua quello latino:
Osservate queste due frasi:
Marcus est iratus (Marco è arrabbiato). Livius deridet Marcum (Livio deride Marco). |
Marco in italiano è uguale in tutti e due gli esempi; in latino invece troviamo.
Marcus in funzione di soggetto. Marcum in funzione di complemento oggetto. |
Il nome latino aveva terminazioni diverse secondo le diverse funzioni: negli esempi sopra riportati la terminazione -us ci dice che Marco è soggetto, la terminazione -um che è oggetto.
Dalle parole Livius deridet Marcum possono uscire le seguenti combinazioni:
Livius deridet Marcum Livius Marcum deridet Marcum deridet Livius Marcum Livius deridet deridet Livius Marcum deridet Marcum Livius |
Queste sei frasi non creano confusione in latino, perché la terminazione in -us indica il soggetto e quella in -um l'oggetto. In tutte e sei le frasi dunque Livio e Marco mantengono i loro ruoli distinti. In italiano invece possiamo dire soltanto:
Livio deride Marco. |
perché se cambiamo l'ordine delle parole:
Marco deride Livio. |
cambia anche il significato della frase.
Come mai questa differenza? Il motivo sta nel fatto che quella m di Marcum che indicava l'oggetto era talmente debole (quasi un soffio nasale) che pian piano cadde e si ebbe Livius deridet Marcu. Più tardi cominciarono a cadere a poco a poco anche le altre consonanti finali per cui
Livius deridet Marcum. |
diventò
Liviu deride Marcu. |
Liviu e Marcu diventarono quindi uguali (più tardi la u si trasformò in o). Le funzioni del soggetto e dell'oggetto vennero allora affidate non più alla terminazione ma all'ordine delle parole nella frase. E quest'ordine in italiano è generalmente:
SOGGETTO: | Livio |
VERBO: | deride |
OGGETTO: | Marco |
Senza la disposizione delle parole in quest'ordine, non potremmo capire il senso della frase.
Osserviamo ora questi esempi:
Marcus cantat Marcum videt poter Marci scribit Marco | = Marco canta = vede Marco = padre di Marco = scrive a Marco |
Il nome Marcus si presenta in questi esempi latini con varie terminazioni secondo le diverse funzioni che compie:
Marcus Marcum Marci Marco | (soggetto) (oggetto) (specificazione) (termine) |
L'insieme di queste terminazioni o casi (in latino erano sei) si chiama declinazione.
Ebbene, con la caduta della consonante finale e il passaggio di -u in -o, le funzioni di soggetto, oggetto e termine erano espresse da un'unica forma, Marco, che assorbì piano piano anche le altre terminazioni; la declinazione latina scomparve e il nome si fissò nella sola forma: Marco.
Le frasi sopra riportate diventarono quindi: Marco canta, Marco vede, padre Marco e scrive Marco.
Esclusa Marco canta, le altre frasi erano però poco comprensibili.
A evitare confusione, per indicare la funzione espressa in latino dalle terminazioni o casi (-us, -um, -i, -o) si ricorse allora all'articolo e alle preposizioni (de, ad), mai usate in tal senso, che diedero poi origine ai nostri costrutti.
Ecco alcuni esempi di latino medievale:
vuni de Francia = vino di Francia dico ad Marcu = dico a Marco |
Resti dell'antica declinazione latina sono rimasti in italiano in alcuni pronomi:
LATINO | FUNZIONE | ITALIANO |
ego me mihi tu te | soggetto oggetto termine soggetto oggetto | io = io non lo vedo me = chiami me? mi = non mi parla tu = tu non c'eri te = cerca te |
Cade la -m, nasce l'italiano
Il soggetto in latino si chiama nominativo.
Il nominativo, o caso del soggetto, termina in latino in molti modi, l'accusativo, o caso dell'oggetto, termina quasi sempre in -m.
Dall'accusativo, per la caduta della -m (o di altra consonante finale), sono nate le parole italiane.
Ecco nella tabella sotto alcuni esempi:
NOMINATIVO | ACCUSATIVO | ITALIANO |
aquila nidus manus liber donum leo index series | aquilam nidum manum librum donum leonem indicem seriem | aquila nidu poi nido manu poi mano libru poi libro donu poi dono leone indice serie |
Le nostre parole in -o (nido, mano, libro ecc.) nell'italiano antico terminavano ancora in -u. Questa forma in -u è tuttora visibile in molti documenti dell'antico italiano. Il Cantico delle creature di san Francesco (1182-1226) inizia con:
Altissimu, onnipotente, bon Signore...
Nello stesso cantico troviamo:
nullu (nullo, nessuno) | bellu (bello) |
dignu (degno) | celu (cielo) |
ellu (ello, esso) | focu (fuoco) ecc. |
La terminazione in -u è viva ancora oggi nel sardo e in molti dialetti centro-meridionali:
primu (primo) | bonu (buono) |
acitu (aceto) | vecchiu (vecchio) |
donu (dono) | ottu (otto) |
filu (filo) | medicu (medico) |
spusu (sposo) | templu (tempio) |
bellu (bello) | longu (lungo) |
Come potete osservare, i nomi latini in accusativo, caduta la consonante finale, possono terminare in:
A. aquilam, coronam, teneram ecc. U. nidum, donum, corpus ecc. E. leonem, seriem, lumen ecc. |
sono i tre gruppi in cui si dividono i nomi italiani:
A. aquila, corona, tenera ecc. O. nido, dono, corpo ecc. E. leone, serie, lume ecc. |
Il plurale italiano dei nomi in -a e in in -o continua quello latino:
aquilae = aquile | nidi = nidi |
I nomi latini in -e (leonem) avevamo il plurale in -es (leones). Con la caduta della consonante finale singolare e plurale diventavano uguali: leone. Per evitare confusioni, pian piano il plurale dei nomi in -e fu attratto dal plurale dei nomi in -o, per cui si ebbero le forme italiane:
leone (singolare) | leoni (plurale) |
Solo l'italiano e il rumeno hanno derivato il plurale dal nominativo plurale latino; le altre lingue neolatine hanno mantenuto la s dell'accusativo plurale latino:
latino | campos |
italiano | campi |
rumeno | cimpi |
francese | champs |
spagnolo | campos |
portoghese | campos |
Molte parole nel passaggio dal latino all'italiano pur essendo rimaste immutate nella forma hanno però cambiato completamente significato.
Ecco alcuni esempi.
UNA VOLTA | OGGI |
villaus (contadino) | villano (maleducato) |
imbecillus (debole) | imbecille (stupido) |
salarium (razione di sale) | salario (stipendio, paga) |
paganus (paesano) | pagano (non cristiano) |
domus (casa) | duomo (chiesa principale) |
senior (anziano) | signore (uomo, ricco, padrone) |
Come mai? Le ragioni di questo cambiamento sono da cercarsi nella storia del costume e della civiltà: villanus era l'abitante della villa o casa di campagna, quindi il contadino, che veniva, sempre ritenuto dagli abitanti di città come persona ignorante e rozza; imbecillus (da in = senza e baculum = bastone) era chi non aveva appoggio, quindi debole; salarium indicava la razione di sale che venca data a ciascun soldato, alla qualse si aggiunsero poi l'olio, il vino e il grano e infine il denaro corrisponde al costo delle vettovaglie; paganus era l'abitante del pagus (paese, villaggio): siccome il cristianesimo si diffuse prima nelle città, i pagani erano i non cristiani delle campagne; domus (= casa) diede origine dei fedeli) da cui il nostro duomo; senior era il comparativo di senex (= vecchio) e significava quindi più vecchio da cui il significato di uomo anziano.