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Luigi Pirandello: Il Teatro dei Miti

Il pensiero irrazionalistico e la trilogia dei miti
Dopo la trilogia del teatro nel teatro, avviata da Sei personaggi (1921) e conclusa con Questa sera si recita a soggetto (1930), Pirandello stesso raccolse tre nuovi lavori nella trilogia del teatro dei miti. Il termine mito ci riporta al mito greco: Pirandello ipotizza che da quell'antica cultura possa venire una risposta ai problemi attuali dell'esistere. Siamo nel clima irrazionalistico e simbolistico della cultura europea degli anni Trenta; la seconda parte del libro del filosofo Ernst Cassirer, Filosofia delle forme simboliche (1925), s'intitolava appunto Il pensiero mitico. In quel clima nacquero due importanti movimenti culturali come l'Esistenzialismo e il Surrealismo; in Italia esso diede vita alla pittura metafisica, al realismo magico di Bontempelli, al fantastico di Savinio, Buzzati, Landolfi.

Pirandello raccolse queste tendenze dando voce a una sensibilità per il favoloso, per il lontano, da sempre viva nelle sue opere, ma che ora alimentava con continuità alcuni temi caratteristici:

  • la fuga dalla società e la scelta dell'esclusione, come radicale solitudine ed estraneità;
  • l'odio per il corpo e il ritorno alla Terra-madre, come fusione con il grembo della Natura;
  • l'evasione nell'oltre, in una sfera fantastica, ove tutto è un simbolo e la vita appare un sogno.

Sono motivi che incontriamo nel romanzo Uno, nessuno e centomila (1925-26), in molte novelle degli ultimi anni e, appunto, nei tre drammi della trilogia dei miti, ovvero:
  • La nuova colonia (1928), un dramma dove un gruppo di profughi rifonda altrove una città;
  • Lazzaro (1929), dove l'evasione non è più sociale, ma religiosa (in una fede che non è però quella cristiana in senso stretto);
  • I giganti della montagna (1934), dove l'evasione si compie grazie all'arte. Pirandello narra infatti il sogno dell'arte che osa sfidare il brutale mondo moderno; ma rimane vittima dell'organizzazione tecnologica e industriale e del materialismo. E così è l'amara conclusione del lavoro, secondo un appunto lasciato dallo scrittore, tutto l'infinito che è negli uomini è calpestato e vanificato.

In sintesi

Il motivo profondo dei tre miti pirandelliani è l'evasione: evasione nell'utopia politica (La nuova colonia), nella fede religiosa (Lazzaro), nell'arte (I giganti della montagna). In nessuno dei tre lavori l'evasione ha successo, ma ciò che conta, per il drammaturgo, è il tendersi a una dimensione alternativa, verso quell'oltre a cui guardano tante sue pagine.
La nuoca colonia si apre in una taverna di contrabbandieri, pescatore, emarginati ecc, che decidono di costruire una nuova comunità al di fuori della società normale. Molti di loro sono già stati condannati al domicilio coatto su un'isola. Li infiamma la Spera, un'ex prostituta, capace di smascherare le ipocrisie sociali e di promettere un riscatto. Il tentativo fallirà, perché presto i coloni si dividono in fazioni. Un cataclisma alla fine sommergerà l'isola, devastando tutto.
Lazzaro, el 1929, s'impernia su uno strano prodigio: il possidente Diego Spina è gravissimo dopo un incidente d'auto; la figlia Lia chiama il medico Gionni e questi forse, lo risuscita con uno dei suoi esperimenti. Dov'è stata l'anima del morto in quella mezz'ora? E si trattava di vera morte? Diego è come Lazzaro, il personaggio evangelico risuscitato da Gesù? Si apre un dibattito su questi temi. Vi partecipano anche Lucio, il figlio (spretato) di Diego, e l'ex moglie Sara, che aveva lasciato tutto per vivere in campagna. 
Non c'è soluzione alle domande, ma almeno Lucio ritrova la fede in Dio, è la vera risurrezione del dramma.
Infine, nei Giganti della montagna (incompiuto) i personaggi si protendono fuori dalla realtà normale: la prima didascalia ambienta il lavoro al limite, fra la favola e la realtà. Un'atmosfera di sogno avvolge i due gruppi di protagonisti, gli Scalognati di Crotone e gli attori della compagnia della contessa. il terzo atto manca, forse perché non si può dare vera conclusione ai sogni.



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