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La Questione Femminile

Risale all'Ottocento l'inizio del movimento per l'emancipazione femminile, cioè per la liberazione della donna dai molti vincoli che la mentalità tradizionale le aveva imposto nel corso dei secoli.
In fabbrica, il lavoro femminile era peggio retribuito e più precario di quello maschile; in famiglia, i valori culturali e le regole giuridiche sancivano il primato del maschio; nella vita civile e politica, infine, la donna risultava da sempre esclusa dai fondamentali diritti di autodeterminazione.
La questione femminile e quindi un movimento femminista che rivendicava i diritti (sindacali, civili e politici) della donna si svilupparono all'interno dell'opinione pubblica borghese: furono soprattutto le donne di estrazione borghese ad avvertire, per la loro posizione sociale e la loro cultura, l'ingiustizia dell'esclusione dalle carriere professionali e dalla vita politica.
Furono dunque loro a dar vita ai primi movimenti di emancipazione femminile.
Il primo manifesto femminista fu redatto nel 1843 dall'americana Margareth Fuller.
Poco dopo, nel 1848, si tenne a Seneca Falls, vicino a New York, il primo convegno sui diritti delle donne. Fu, invece, la Francia il paese in cui si pubblicava il maggior numero di giornali femministi (La Tribune des Femmes, Le Journal des Femmes, La Voix des Femmes ecc.). Nel 1849 Louise Otto fondò una rivista femminista tedesca, Fraun Zeitung, e poi nel 1865 il movimento dell'Unione generale delle donne tedesche. In Italia le più battagliere furono Anna Maria Mozzoni (1837-1920) e Anna Kuliscioff (1854-1925).

Il diritto di voto alle donne
Il primo grande risultato venne raggiunto nel 1869, allorché il Wyoming, uno degli Stati Uniti d'America, concesse alle donne il diritto di voto nelle elezioni locali.
Il primo stato nel mondo in cui il suffragio fu allargato alle donne, anche grazie all'appoggio di gruppi di ispirazione religiosa, fu, nel 1893, la Nuova Zelanda. In Europa, nel 1901 la Norvegia conferì analogo diritto per le elezioni municipali, seguita dalla Danimarca (1908) e dall'Islanda (1909). Non per caso la conquista dei diritti di cittadinanza per le donne avvenne più rapidamente nei paesi nordici e anglosassoni, ossia in paesi caratterizzati da una cultura e da sistemi politici più sensibili al tema dei diritti individuabili.
In Gran Bretagna, Emmeline Pankhurst (1858-1928) fondò nel 1903 l'Unione sociale e politica delle donne, che si concentrò sulla richiesta del suffragio: rivendicava cioè l'estensione anche alle donne del diritto di voto (o suffragio). Da qui l'appellativo, ironico e dispregiativo, di suffragette.
Le donne inglesi non esitarono a scendere in piazza, a marciare sul Parlamento e a organizzare scioperi della fame. Nel 1918, finalmente, ottennero il pieno diritto di partecipazione alla vita politica, sia come elettrici sia come candidate: un indiretto riconoscimento all'opera da loro prestata per la nazione durante il vittorioso conflitto mondiale appena concluso.
In Francia il diritto di voto fu sancito nel 1944; in Italia fu riconosciuto nel 1945 ed esercitato per la prima volta il 2 giungo 1946, nel referendum istituzionale per la scelta tra la monarchia e la repubblica.



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