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Svevo e la Psicoanalisi

Freud e la teoria psicoanalitica

La psicoanalisi è la scienza che analizza i processi dell'inconscio (psyché significa, in greco, anima) per scoprire e chiarire alcune delle motivazioni più profonde e nascoste dei comportamenti umani, e curare così le sofferenze e malattie mentali. Fondatore della psicoanalisi fu il medico viennese Sigmund Freud (1856-1939); il suo primo saggio importante, L'interpretazione sei sogni, uscì nel 1899.
Secondo Freud, in ogni individuo, al di sotto della coscienza, c'è l'inconscio: insieme di contenuti psichici non compresi nel campo della coscienza dell'individuo, che sono rimossi dalla volontà e riemergono attraverso i sogni, i lapsus, gli atti mancati, persino i motti o le battute di spirito.
se l'inconscio e le sue pulsioni sessuali vengono repressi troppo bruscamente, si possono generare vere malattie psichiche: fobie, ossessioni ecc.
Per curarle, dice Freud, bisogna guidare il paziente a recuperare le esperienze rimosse (come il conflitto con il genitore del proprio sesso, il cosiddetto complesso di Edipo), facendo affiorare i più lontani ricordi: prendendo consapevolezza dei motivi profondi che hanno causato il suo turbamento, il paziente potrà accettarsi per ciò che è, respingere i sensi di colpa e vivere così un'esistenza serena.


Svevo e la psicoanalisi

Svevo poté precocemente conoscere la psicoanalisi freudiana, verso il 1910-11. In città era attivo divulgatore della nuova disciplina il medico Edoardo Weiss, un ebreo triestino già allievo di Freud a Vienna. Fu lui a consigliare un cognato di Svevo (Bruno Veneziani, affetto da una leggera forma di paranoia) a farsi curare (1910) da Freud in persona, a Vienna. Inoltre nel 1915 Svevo tradusse, insieme al nipote Aurelio Finzi, un testo di Freud (Uber den Traum, Sul sogno).
Nella Coscienza di Zeno la psicoanalisi diviene un tema fondamentale, una sorta di cornice per l'intera opera. E' il dottor S. (nome che allude a Sigmund, cioè Freud) il committente e, insieme, il destinatario del diario di Zeno.
Questi scrive le proprie memorie a scopo terapeutico, come si racconta nella Prefazione. L'ultimo capitolo del romanzo è poi dedicato alle meditazioni del protagonista, il quale spiega il perché abbia interrotto la terapia e racconta (freudianamente) i propri sogni. Lo stesso Svevo riconobbe il ruolo centrale esercitato dalla psicoanalisi nel suo romanzo. Così egli scrisse nelle pagine autobiografiche di Soggiorno londinese (1926): In quanto alla Coscienza io per lungo tempo credetti di doverla al Freud ma pare mi sia ingannato. Adagio: vi sono due o tre idee nel romanzo che sono addirittura prese di peso dal Freud. L'uomo che per non assistere al funerale di colui che dice suo amico si sbaglia di funerale è Freudiano con un coraggio di cui mi vanto. Attraverso il motivo dell'atto mancato e del lapsus compare infatti la verità del protagonista Zeno, cioè la sua profonda avversione per Guido.
Numerosi altri episodi, nel romanzo, si sviluppano sulla base dei medesimi meccanismi di scambio tra verità e menzogna. Tra questi:
  • il legame di amore-odio per il padre (per Freud tale conflitto è centrale nella crescita di un individuo);
  • il carattere ambiguo delle scelte di Zeno, spesso dettate da motivi diversi da quelli creduti o dichiarati;
  • la traduzione all'esterno del disagio psicologico di Zeno, ovvero la sua zoppia: in linguaggio psicoanalitico, essa è la somatizzazione di un male interiore.


Le diffidenze di Svevo/Zeno

Benché interessato alla nuova disciplina, Svevo era però scettico nei suoi confronti; per lui era semplicemente uno strumento di scavo psicologico, un aiuto a mettere a fuoco quelle zone segrete della volontà e degli istinti su cui si era soffermato già in Una vita e in Senilità (in entrambe le opere, per esempio, risultava centrale l'ambiguo rapporto dei due protagonisti con un personaggio, rispettivamente Macario e Balli, che Alfonso ed Emilio vivono come più forte di loro castrante). Perciò, nella conclusione della Coscienza, Zeno si dimostra così severo nei confronti del dottor S. che lo aveva in cura e che pretendeva di poter estrarre dai racconti del paziente una diagnosi sicura e una terapia risolutiva.
Anche Svevo , in diverse lettere (1927-28) a Valerio Jahier, minimizza, e anzi irride, la portata scientifica della psicoanalisi: Grande uomo, quel nostro Freud, ma più per i romanzieri che per i malati. Un mio congiunto uscì dalla cura durata per vari anni addirittura distrutto. Fu per lui ch'io una quindicina d'anni or sono conobbi l'opera di Freud. E conobbi alcuni di quei medici che lo circondano.
Tali differenze verso la psicoanalisi dimostrano, paradossalmente, che Svevo aveva colto la vera portata della dottrina freudiana. Nata in un contesto positivistico, la psicoanalisi si era inizialmente presentata come terapia di guarigione: conoscere la causa del comportamento nevrotico ha l'effetto di guarirlo. Questo è quanto pensa il dottor S. rappresentato nelle prime pagine del romanzo, e giustamente Zeno/Svevo non ha fiducia in lui, o la perde. Più tardi lo stesso Freud, in opere più mature, allontana ogni determinismo dalla psicoanalisi: è sbagliato pretendere di dedurre, in materia psichica, spiegazioni di causa-effetto; l'analisi dei sintomi, dice l'ultimo Freud, è un'operazione sempre aleatoria: richiede una costruzione (anche sul piano linguistico) che non può essere interminabile.



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