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Italo Svevo: Profilo Autobiografico

Svevo amava parlare di sé, mettersi a nudo, un po' come fanno i protagonisti delle sue opere narrative. Ci ha lasciato diversi scritti autobiografici, ovvero il Diario per la fidanzata (scritto nel 1896 per la futura moglie Livia Veneziani, su un grosso album illustrato, dono di Livia stessa), pagine di diario sparse, molte lettere e un Profilo autobiografico, steso nel 1928.


Il Profilo autobiografico costituisce un'autobiografia scritta in terza persona (Svveo cioè non dice io, ma si nomina come Italo Svevo) e quasi completa: rievoca infatti l'origine della famiglia, gli anni dell'infanzia e della formazione ecc., e giunge fino al 1928, cioè fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta nel settembre di quello stesso anno per le conseguenze di un incidente automobilistico.


Ironia e annotazioni di poetica
Si tratta di un testo molto significativo: l'autore infatti scrive nel 1928, quando ormai la critica sta riconoscendo il valore della sua opera, ed è quindi dalla prospettiva della fama letteraria, da poco raggiunta (1926-27), che Svevo parla di sé, rievocando con ironica soddisfazione sia gli sforzi fatti per giungere al successo, sia le tante incomprensioni che in precedenza lo avevano ostacolato.
Molto interessanti nel Profilo, oltre a questo atteggiamento ironico e autoironico che appartiene all'humus profondo di Svevo, anche sparse annotazioni di poetica, raccolte assieme a quelle relative all'ambiente letterario in cui l'autore si formò. Trovano spazio, in queste pagine, anche l'amicizia con Joyce e l'incontro con il pensiero di Freud.


Analisi del testo
Analizziamo gli stralci più interessanti del Profilo autobiografico, a partire dalla scelta dello Pseudonimo (si ricordi che il vero nome dello scrittore era Ettore Schmitz) e dalla rievocazione del vivace ambiente culturale triestino dell'epoca.

Temi: la rievocazione dell'ambiente culturale triestino, le incomprensioni e i silenzi intorno alla propria opera, la temporanea rinuncia alla letteratura, l'amicizia con Joyce e l'incontro con il pensiero di Freud.
Anno: 1928.

Per prima cosa spicca in questo Profilo autobiografico l'importanza che l'autore attribuisce al proprio ambiente di formazione. Svevo sottolinea il fatto che Trieste rappresenta un vero crocevia di popoli, lingue tradizioni: è la medesima qualità che si riverbera nello pseudonimo da lui scelto, Italo Svevo, che vuole appunto rappresentare l'affratellamento di due mondi, quello italiano e quello germanico. Ciò in un'epoca e in una città in cui quei due mondi si guardavano senza alcuna simpatia, visti gli sforzi irredentisti (contro cioè la dominazione asburgica) messi in atto da larga parte della popolazione triestina di allora.
Un'altra importante dimensione presente nel Profilo riguarda gli insuccessi letterari che ripetutamente salutano le opere di Svevo; la situazione sembra peggiorare dal primo al terzo romanzo. L'autore peraltro non accusa, non recrimina, non protesta, anzi mantiene un'ammirevole serenità, limitandosi a registrare l'accaduto e ammettendo, con sincerità, il proprio rammarico di fronte all'insuccesso.
L'incontro con Joyce e Freud introduce alla dimensione propriamente europea della letteratura sveviana; dal punto di vista dell'aggiornamento culturale, a quell'epoca in Italia solo Pirandello seguiva il suo stesso percorso: questo autore, non a caso, proveniva da un'area periferica (la Sicilia) e come Svevo studiò un certo periodo all'estero (anch'egli in Germania).
Nel Profilo emerge infine una delle concezioni più care a Svevo, la letteratura come attività inutile e dannosa.
Più precisamente:
  • dannosa per le ripercussioni nella vita pratica (bastava un solo rigo per renderlo meno adatto al lavoro pratico cui giornalmente doveva attendere);
  • soprattutto, dannosa per la serenità d'animo dello scrittore stesso: dopo Senilità aveva allontanato il pericolo della letteratura per consentirsi una vita degna di essere vissuta; e dopo La coscienza di Zeno, con cui è ricaduto nel vecchio vizio di scrivere, deve amaramente ammettere che la disillusione e l'insuccesso, in età avanzata, pesano di più e risultano quasi intollerabili.



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