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Giovanni Pascoli: Poemetti

Pascoli iniziò a lavorare ai Poemetti negli stessi anni in cui componeva le più mature liriche di Myricae. Già nel 1887 scriveva all’amico Severino Ferrari: Avanti a me sono allineati i poemetti che ho in animo di fare: sono 15 gruppi, niente meno!.
Fin d’allora coltivava due progetti ben distinti:
da un lato, i testi brevi e umili della prima raccolta, Myricae;
su un altro piano, l’idea nuova di un romanzo in versi della vita di campagna, un racconto per poemetti appunto.
Quest’opera così ambiziosa uscì con il titolo di Poemetti nel 1897, a Firenze; nel 1900 ne venne pubblicata una seconda edizione (a Messina, dove l’autore insegnava), di mole quasi raddoppiata. In seguito, il libro dei Poemetti crebbe ulteriormente, fino a sdoppiarsi: nel 1904 uscirono i Primi poemetti, nel 1909 i Nuovi poemetti.

Il romanzo in versi dei Poemetti
La tematica delle piccole cose, tipica di Myricae, si arricchisce nei Poemetti a più livelli, in primo luogo sul piano metrico: i Poemetti sono composti quasi tutti in terzine di endecasillabi di tipo dantesco, raccolte poi in strofe di lunghezza diversa, laddove Myricae e poi i Canti di Castelvecchio facevano invece uso di metri diversi, presi dalla tradizione e ricreati da Pascoli. Ma qui la scelta della terzina risponde al più vasto respiro dei Poemetti, che si sviluppano, come già detto, in forma di racconto.
La seconda, importante differenza rispetto a Myricae riguarda precisamente il disegno narrativo. I componimenti sono raggruppati in più cicli (nei Primi poemetti abbiamo per esempio 4 parti o cicli di 9 canti ciascuno: La sementa, L’accestire, La fiorita, La mietitura). Il poeta racconta, lungo le stagioni di un anno, le opere e i giorni di una famiglia contadina della Garfagnana: il capoccio e la moglie, le figlie Rosa e Viola, i figli Nando e Dore. Intersecata a questo livello vi è la storia d’amore del cacciatore Rigo e di Rosa. Il loro amore si sviluppa insieme alle vicende della terra: infatti nasce in autunno (il tempo della semina), cresce in inverno (come il seme sotto la neve), si risveglia in primavera con i fiori e gli uccelli, si compie in estate con le nozze (tempo di mietitura), per farsi fecondo al tempo autunnale della nuova semina e della vendemmia. Alle vicende dei protagonisti si legano storie collaterali di personaggi minori e mabienti campestri, da Il vecchio castagno a Le armi (gli attrezzi agricoli) a I filugelli. Il tutto vuole raffigurare lo svolgersi della civiltà contadina, con il suo modo discreto, operoso e solidale d’intendere l’esistenza umana.

La campagna felice e altri temi
Rispetto a Myricae, i Peometti restituiscono l’immagine di una campagna felice, non turbata, in grado di fornire riparo e cibo ai suoi abitatori. La vita della famiglia contadina scorre povera e faticosa, ma quasi sempre serena. Sono assenti morte, dolore, miseria; Rosa perde il primo figlio, ma subito dopo rimane nuovamente incinta. La campagna garfagnina pare una nuova Arcadia, la terra felice dei mitici pastori. Certo, non appena ci si sporge fuori da questo cerchio magico, s’incontreranno le inquietudini delle città, i turbamenti della vita moderna; ma qui, all’interno del mondo rurale, scorre un’esistenza placida, rimata dall’avvicendarsi delle stagioni e dai suoi riti secolari.
Accanto al nucleo principale del romanzo contadino incontriamo alcuni poemetti più simbolici meditativi, tra i più belli di Pascoli: Digitale Purpurea, L’aquilone, Suor Virginia, La vertigine, Italy. Ritornano qui i temi cari a Pascoli: lo sgomento dinanzi al mistero dell’esistere, le sue ansie umanitarie e le sue paure sociali, la paralisi della morte, il desiderio della consolazione.



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