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Charles Baudelaire: I fiori del male

La prima edizione (1857) comprendeva un centinaio di liriche. La critica ebbe reazioni scandalizzate; il libro fu processato e giudicato colpevole di oscenità. Nel febbraio 1861 uscì una seconda edizione, con 35 nuove poesie, che portavano a 126 i pezzi della raccolta. E’ questa la versione a cui oggi si fa riferimento. L’opera si presenta come un libro, non come raccolta di rime sparse o come diario occasionale. Baudelaire aspira a ricostruire un percorso artistico che abbia, come egli stesso scrive, un inizio e una fine.
Quella dei Fiori del male è però una complessa architettura, paradossale (G.Macchia) che rivela spinte contrastanti.
Nella prima sezione di liriche, intitolata Spleen e ideale, il poeta di auto presenta come un individuo sradicato, un albatro che, come afferma la seconda lirica, non riesce a camminare sulla terra a causa delle sue ali enormi. Diviso tra alto e basso, tra grandi ideali e scelte meschine impostegli dall’esistenza quotidiana, il poeta personaggio intraprendente un cammino di liberazione, interrotto però da continue cadute. Vive l’amore ora come sensualità sfrenata (la passione per la bella Jeanne Duval), ora come sublime spiritualità (l’attrazione intellettuale per M.me Sabatier).
La seconda sezione (Quadri parigini) è dedicata al mondo cittadino, che contemporaneamente attrae e respinge il poeta. Dalla metropoli, luogo sublime ma anche atroce, egli evade attraverso l’alcol e la droga (la terza sezione s’intitola Il vino), oppure immaginando la propria autodistruzione. Nella natura il poeta scopre un nero patibolo, là dove i poeti precedenti avevano bellezza e fiori (Un viaggio a Citera, penultima lirica della sezione Fiori del male). L’approdo definitivo è quello di La morte. Intanto l’io poeta ha dichiarato guerra al cattolicesimo, che alimenta i suoi sensi di colpa: è la tappa intitolata Rivolta.
Da essa dipende l’immagine di un Baudelaire blasfemo (una delle liriche di questa sezione si conclude con una preghiera a Satana).



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