Biografia:
Nacque a Siena nel 1883 e fin dalla giovinezza, malgrado le opposizioni della famiglia, cominciò ad occuparsi di letteratura. Fu autodidatta, interessato soprattutto a studiare gli antichi scrittori toscani. Passato da posizioni socialiste ad altre più moderate, nel 1913 insieme con l’amico Giuliotti, fondò il quindicinale cattolico La Torre che ebbe breve durata. Alcune vicende infelici della sua vita, anche a causa della modesta eredità ottenuta dopo la morte del padre, ebbero grande influenza sulla sua personalità e sulle sue opere. Trasferitosi a Roma, fu redattore de Il messaggero della domenica, diretto da Luigi Pirandello da cui Tozzi ebbe grande incoraggiamento, e iniziò una intensa attività di scrittore e di pubblicista, purtroppo interrotta per la morte prematura, sopravvenuta nel 1920 in seguito ad un attacco di febbre spagnola.
Le idee e la poetica
L’opera di Federigo Tozzi ha avuto valutazioni critiche spesso contrastanti in quanto egli è scrittore in cui senz’altro sopravvive la struttura del romanzo naturalista, ma vi si sentono anche le inquietudini di una sensibilità nuova. Ormai i critici sono concordi nell’avvicinarlo a Svevo e a Pirandello perché egli è il narratore che è andato più di ogni altro al di là del vero, verso la ricognizione di quelli che egli chiama i misteriosi atti nostri (L. Baldacci). Notevole p, infatti, nelle sue opere, lo scavo dell’animo umano, di un mondo interiore dominato da impulsi istintivi e da angosce drammatiche. Nei suoi romanzi prevale la figura dell’uomo inetto, vinto dalle circostanze e dagli individui più forti di lui, incapace di sfuggire alla propria ansia esistenziale. Le descrizioni sono scarne, impostate con la rude efficacia di un linguaggio antiletterario, apertamente in polemica con la narrativa tradizionale: tutto questo fa di Tozzi uno dei primissimi edificatori della nuova giornata letteraria italiana. (A. Borgese).
Le sue opere principali sono:
La zampogna verde (1911): raccolta di poesie in cui sono reperibili alcune suggestioni dannunziane.
I ricordi di un impiegato (1913, pubblicato nel 1920): romanzo in cui è evidente l’elemento autobiografico: anche lo scrittore, come il suo protagonista Leopoldo fu per un certo periodo (1911-13) impiegato nelle ferrovie.
Con gli occhi chiusi (1919): il romanzo di Pietro, un giovane timido e sempliciotto che vive ad occhi chiusi, insicuro e passivo di fronte alla realtà che lo circonda. La vicenda essenziale del romanzo è costituita dall’amore di Pietro per Ghisola, una contadinotta che egli crede pura e ingenua, finché aperti gli occhi in seguito ad una lettera anonima, scopre invece che è ambiziosa e civetta e subito è consapevole di non amarla più.
Tre croci (1919): romanzo impostato sulla squallida storia dei tre fratelli Gambi, Giulio, Niccolò, Enrico, travolti da un dissesto economico a cui fa seguito il loro sfacelo morale. Essi sono incapaci di risollevare le sorti della libreria ereditata dal padre e si lasciavano travolgere dagli avvenimenti fra prestiti, cambiali, firme false, in una vita di continui litigi e di reciproca diffidenza. Il primo a cedere è Giulio che non sopporta la vergogna di avere firmato false cambiali, e si uccide. Niccolò ed Enrico non hanno il tempo di risollevarsi economicamente perché muoiono a breve distanza l’uno dall’altro; Modesta, la vedova di Niccolò, pianta sulle loro tombe tre croci, segno del comune destino nella morte dei tre fratelli che la vita aveva diviso.
Il podere (1920): Remigio, che se ne andò di casa per non sentirsi di troppo quando suo padre Giacomo Selmi sposò in seconde nozze Luigia, ritorna per mandare avanti il podere che ha avuto in eredità dopo la morte del padre. Su quel podere, però, si appuntano le cupidigie di Giulia Cappuccini, una giovane serva, amante del vecchio Giacomo, che pretende salari mai riscossi; della matrigna Luigia, convinta di non avere la sua parte legittima; di contadini e salariati che approfittano della situazione per rubare più che possono. Remigio si trova in difficoltà, incapace di comandare perché non sa nulla di agricoltura, ossessionato dagli avvocati, deriso dai contadini che lo sentono in loro balìa. Il peggiore dei contadini è Berto il quale, per un odio quasi istintivo contro Remigio che gli intralcia la possibilità di fare a suo modo in quel podere di cui si sente quasi padrone, lo uccide con un colpo di accetta.
Nacque a Siena nel 1883 e fin dalla giovinezza, malgrado le opposizioni della famiglia, cominciò ad occuparsi di letteratura. Fu autodidatta, interessato soprattutto a studiare gli antichi scrittori toscani. Passato da posizioni socialiste ad altre più moderate, nel 1913 insieme con l’amico Giuliotti, fondò il quindicinale cattolico La Torre che ebbe breve durata. Alcune vicende infelici della sua vita, anche a causa della modesta eredità ottenuta dopo la morte del padre, ebbero grande influenza sulla sua personalità e sulle sue opere. Trasferitosi a Roma, fu redattore de Il messaggero della domenica, diretto da Luigi Pirandello da cui Tozzi ebbe grande incoraggiamento, e iniziò una intensa attività di scrittore e di pubblicista, purtroppo interrotta per la morte prematura, sopravvenuta nel 1920 in seguito ad un attacco di febbre spagnola.
Le idee e la poetica
L’opera di Federigo Tozzi ha avuto valutazioni critiche spesso contrastanti in quanto egli è scrittore in cui senz’altro sopravvive la struttura del romanzo naturalista, ma vi si sentono anche le inquietudini di una sensibilità nuova. Ormai i critici sono concordi nell’avvicinarlo a Svevo e a Pirandello perché egli è il narratore che è andato più di ogni altro al di là del vero, verso la ricognizione di quelli che egli chiama i misteriosi atti nostri (L. Baldacci). Notevole p, infatti, nelle sue opere, lo scavo dell’animo umano, di un mondo interiore dominato da impulsi istintivi e da angosce drammatiche. Nei suoi romanzi prevale la figura dell’uomo inetto, vinto dalle circostanze e dagli individui più forti di lui, incapace di sfuggire alla propria ansia esistenziale. Le descrizioni sono scarne, impostate con la rude efficacia di un linguaggio antiletterario, apertamente in polemica con la narrativa tradizionale: tutto questo fa di Tozzi uno dei primissimi edificatori della nuova giornata letteraria italiana. (A. Borgese).
Le sue opere principali sono:
La zampogna verde (1911): raccolta di poesie in cui sono reperibili alcune suggestioni dannunziane.
I ricordi di un impiegato (1913, pubblicato nel 1920): romanzo in cui è evidente l’elemento autobiografico: anche lo scrittore, come il suo protagonista Leopoldo fu per un certo periodo (1911-13) impiegato nelle ferrovie.
Con gli occhi chiusi (1919): il romanzo di Pietro, un giovane timido e sempliciotto che vive ad occhi chiusi, insicuro e passivo di fronte alla realtà che lo circonda. La vicenda essenziale del romanzo è costituita dall’amore di Pietro per Ghisola, una contadinotta che egli crede pura e ingenua, finché aperti gli occhi in seguito ad una lettera anonima, scopre invece che è ambiziosa e civetta e subito è consapevole di non amarla più.
Tre croci (1919): romanzo impostato sulla squallida storia dei tre fratelli Gambi, Giulio, Niccolò, Enrico, travolti da un dissesto economico a cui fa seguito il loro sfacelo morale. Essi sono incapaci di risollevare le sorti della libreria ereditata dal padre e si lasciavano travolgere dagli avvenimenti fra prestiti, cambiali, firme false, in una vita di continui litigi e di reciproca diffidenza. Il primo a cedere è Giulio che non sopporta la vergogna di avere firmato false cambiali, e si uccide. Niccolò ed Enrico non hanno il tempo di risollevarsi economicamente perché muoiono a breve distanza l’uno dall’altro; Modesta, la vedova di Niccolò, pianta sulle loro tombe tre croci, segno del comune destino nella morte dei tre fratelli che la vita aveva diviso.
Il podere (1920): Remigio, che se ne andò di casa per non sentirsi di troppo quando suo padre Giacomo Selmi sposò in seconde nozze Luigia, ritorna per mandare avanti il podere che ha avuto in eredità dopo la morte del padre. Su quel podere, però, si appuntano le cupidigie di Giulia Cappuccini, una giovane serva, amante del vecchio Giacomo, che pretende salari mai riscossi; della matrigna Luigia, convinta di non avere la sua parte legittima; di contadini e salariati che approfittano della situazione per rubare più che possono. Remigio si trova in difficoltà, incapace di comandare perché non sa nulla di agricoltura, ossessionato dagli avvocati, deriso dai contadini che lo sentono in loro balìa. Il peggiore dei contadini è Berto il quale, per un odio quasi istintivo contro Remigio che gli intralcia la possibilità di fare a suo modo in quel podere di cui si sente quasi padrone, lo uccide con un colpo di accetta.