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Biografia: Francesco Guicciardini

Biografia
Francesco Guicciardini nasce a Firenze nel 1483 da una famiglia strettamente legata ai Medici. Compie studi di legge a Firenze,a Padova e a Pisa, dove consegue la laurea in diritto civile. Nel 1508 sposa la figlia di un esponente del partito degli ottimati. Intanto redige le Storie fiorentine. Nominato ambasciatore della Repubblica fiorentina si reca in Spagna dove scrive il Discorso di Logrogno.
1513-Ritornati al potere i Medici diventa membro degli otto della Balia, intanto scrive i due discorsi di "Come assicurare lo Stato ai Medici".
1521-26-Viene nominato commissario generale dell'esercito pontificio e inizia la redazione del Dialogo del Reggimento di Firenze. Gli vengono conferiti incarichi dal papa.
1527- Caduto il governo medici fu processato nella Firenze repubblicana per la sua attività al servizio dei papi medicei e venne accusato di varie colpe, malgrado si riconobbe sempre innocente e venendo escluso dalle cariche pubbliche si ritira a vita privata. Il processo si conclude con la confisca dei beni.
A Roma scrive le "Considerazioni sopra ai Discorsi del Machiavelli e inizia a scrivere i Ricordi.
Nel 1533 tornati nuovamente i Medici viene invitato da Clemente VII a Firenze per organizzarvi il governo. Intanto tenta di limitare l'assolutismo di Cosimo de' Medici.
1538- Si ritira a vita privata, redige La Storia d'Italia che lascia incompleta perché muore nel 1540.

Francesco Guicciardini sperimentò la sua vita successi e scacchi. Fu ambasciatore della Repubblica fiorentina presso Ferdinando il Cattolico, fu diplomatico al servizio della curia papale e governatore di provincie dello Stato pontificio, fu anche processato e subì la confisca dei beni e fu costretto a ritirarsi a vita privata. Con lui si attua la figura dell'intellettuale tecnico, cioè dell'intellettuale che mette a disposizione del potere le sue competenze specifiche e offre la sua preparazione tecnica purché lo si metta a frutto. Le sue competenze furono di ordine politiche e le mise a servizio della Repubblica fiorentina, dei Medici e dei papi. (Si può definire come studioso degli Stati). Anche per il Guicciardini, come per il Machiavelli, la riflessione politica è sollecitata dalla contingenza storica, dai problemi della Repubblica fiorentina (1494-1512) nella quale entrambi si fermano. Il Guicciardini esordisce con le Storie fiorentine mettendo in luce le manchevolezze e i difetti del vivere popolar, cioè della repubblica fiorentina. Nella altre opere di teoria dello Stato politico si è costata un cambiamento di posizioni, approda un'accettazione del governo democratico sottolineando che per governare è necessaria competenza ed esperienza, che la democrazia, il vivere populare non significa partecipazione di chiunque al governo, dell'efficienza della gestione della cosa pubblica, rifugge da atteggiamenti e da soluzioni populistiche, teorizza una monarchia meritocratica e al tempo stesso studia i meccanismo del governo e delle istituzioni sulla quali si legge. Nel panorama politico 400-500entesco occupa un posto importante, e i suoi interessi e le sue competenze sono di ordine costituzionale. Oltre la produzione politica si deve considerare anche quella moralista, cioè dei Ricordi, e tra i due settori vi sono nessi e riprese tematiche. In entrambi si ha una visione disincantata della vita, una fredda conoscenza dei limiti della natura umana (anche lui come Machiavelli non crede molto nell'uomo), il ripudio delle facili fiducie.
Nei ricordi chiarisce in breve le sue posizioni, ed emerge una disincantata rassegnazione e il crollo di tante certezze umanistiche. A differenza del Machiavelli, non crede ai modelli esemplari e non ritiene praticabile l'imitazione emulazione, ha vivissimo il senso della complessità del reale e non si stanza di suggerire, nel giudizio storico o nel comportamento quotidiano, discrezione, fredda valutazione dei molteplici aspetti della realtà, diffidenza verso gli ideali sbandierati con belle parole. La crisi testimoniata dal Machiavelli investe la condizione umana. L'esperienza politica, la ricerca storica, vocazione a riflettere sulla natura umana si fondono nella Storia d'Italia.


Il pensiero
Il suo pensiero si fonda inizialmente su presupposti analoghi a quelli del Machiavelli: anche per lui l'uomo singolo, con le sue azioni e passioni, è il motore della storia, anche per lui lo studio dei rapporti umani va risolto esclusivamente al campo delle vicende politiche e gli interessi morali e religiosi rimangono decisamente in secondo piano. Anch'egli parte dall'amara costatazione che gli uomini si lasciano per lo più traviare dalle passioni e proprio questo sfrenarsi continuo di cupidigie e meschini egoismi nella trama complessa e spesso caotica della vita associata sulla quale si estende per giunta, l'ombra grave della Fortuna, impone la ricerca spregiudicata e lucida di una norma d'azione, che sia tale da garantire all'individuo la sopravvivenza e l'affermazione nel mondo. Qui però si arrestano le somiglianze tra i due pensatori.
Il Machiavelli, infatti pur partendo da questa visione amara dell'uomo e del limite invalicabile opposto al suo agire dalla fortuna, crede tuttavia nello stato come formazione razionale e umana trova in esso una superiore moralità su cui fondare i progetti costruttivi di una virtù attiva e energica. La meditazione del Guicciardini parte, invece dal riconoscimento amaro dall'incapacità da parte del singolo di riuscire a modificare il corso degli eventi e di ridurli in schemi razionali. C'è in lui la coscienza di un'estrema complessità del reale che non si lascia esaurire da nessuna formula. Vano è dunque pretendere di ristabilire norme e leggi generali d'azione, dato che una realtà sempre imprevedibile sconvolge gli schemi in cui vorremmo costringerle. Alle virtù del Machiavelli egli sostituisce pertanto la discrezione, che è la capacità di comprendere e sviscerare i fatti singoli nella loro infinite sfumature per poter inserire la propria azione nel loro caso tumultuoso, senza venirne travolti, salvando il proprio particolare, cioè il proprio interesse, inteso nel senso più ampio, e cioè anche di dignità, di realizzazione piena della propria intelligenza e capacità di agire in favore di se stessi e dello stato. Manca comunque al Guicciardini, la fede in un ideale che superi l'immediata sfera individualistica, e questo rende la sua visione della vita scettica e, a volte amara e gelida, anche se non priva di un vago rimpianto per gli ideali umanistici e cristiani, e tristemente consapevole della vanità finale di ogni soddisfazione umana. Si può in un certo modo affermare che nel suo pensiero la Fortuna vince la virtù, e la fiduciosa affermazione rinascimentale della capacità, costruttiva dell'uomo nel mondo appaia ormai in declino. Questo atteggiamento deriva dalle sue concrete esperienze. Egli rimase l'ambasciatore diplomatico fine, abituato a svolgere e a tentar di interpretare con lucida intelligenza e costante impegno dei propri impulsi e sentimenti, la trama complessa della politica. La sua carriera di governo gli insegnò il realismo ma anche il senso di compromesso e della forza inoppugnabile dei fatti ai quali le teorie andavano applicate con cautela estrema, non ignare di rinunce. Il Guicciardini insomma non è l'ideologo, l'uomo di principi, ma uno spirito lucido e intelligente, volto all'azione in un momento in cui esso non era, ne poteva essere in Italia o nello Stato pontificio, guidato da alti principi ideali o da entusiasmi. Si tenga presente che egli scrive la Storia d'Italia, la sua opera più grande, dopo il tramonto definitivo della libertà italiana e l'affermazione decisiva del predominio spagnolo sulla penisola, quando ciò le sorti dell'Italia apparivano definitivamente concluse senza speranza di evoluzione. Di questa situazione il Guicciardini fu lo storico accorto, il testimone consapevole della crisi di una civiltà. Sulla tragedia della libertà italiana innalzai il funebre lamento della sua storia, espressione altissima di intelligenza, di capacità critica e di giudizio realistico e spregiudicato, secondo il miglior insegnamento rinascimentale, manche ultimo monumento, e senz'altro il più maturo e profondo di una storiografia umanisticamente concepita scritta mentre veniva meno la fiducia dell'uomo.



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