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Biografia: Beppe Fenoglio

Biografia
Beppe Fenoglio nacque ad Alba nel 1922 e qui rimase per tutta la sua vita. Frequentò l’università di Torino senza arrivare alla laurea a causa della guerra che lo vide soldato e poi partigiano nella Resistenza. Tuttavia aveva studiato con impegno la lingua e la letteratura inglese che doveva essergli di grande aiuto per le sue scelte letterarie. Dopo la guerra, impiegatosi in un’azienda vinicola, visse schivo e appartato, appassionato di lingua inglese e dedito alla letteratura in cui seppe emergere con il suo schietto realismo. Aveva cominciato a scrivere all’indomani della guerra, ma poche furono le opere che pubblicò in vita, mentre una mole considerevole di carte è ancora in via di sistemazione. Fra il 1952 e il 1962 collaborò sporadicamente ad alcune riviste culturali e ottenne alcuni premi per le sue opere, ma i suoi libri migliori furono pubblicati postumi.
Agli inizi del 1962 il male che doveva portarlo alla morte si manifestò in modo allarmante; Fenoglio sperò un giovamento dal soggiorno sulle colline delle Langhe, ma il cancro ai bronchi, inarrestabile, lo uccise il 18 febbraio 1963.

Le idee e le tematiche
L’opera di Fenoglio è fra le più singolari del Novecento, incentrata su due temi predominanti: la guerra partigiana, a cui l’autore partecipò, e la vita contadina nelle Langhe, la campagna piemontese tanto cara anche a Pavese.
Quando Fenoglio parla della lotta partigiana nella Resistenza lo fa senza trionfalismi, con obbiettiva valutazione dei fatti, talvolta con un tono ironico che tende a ridimensionare l’aspetto epico per sottolinearne la sconvolgente crudeltà Parlando delle Langhe, invece, il suo sguardo è puntato sulla quotidiana fatica dei contadini, sul loro carattere violento, temprato dagli stenti della miseria, sulla essenzialità rude dei loro reciproci rapporti. Il tono realistico è stato accostato, da qualche critico, a quello del Verga.
Anche la lingua di Fenoglio è singolare e cambia registro al cambiare dell’argomento trattato: misurata e quasi letteraria, asciutta e con evidenti influenze della lingua inglese, nei romanzi e racconti sulla Resistenza; quasi espressionista e con influssi dialettali quando è in bocca ai langaroli. Sempre essenziale e scarna.

Opere
Molte opere di Fenoglio sono state pubblicate dopo la sua morte e proprio perché non curate dall’autore, hanno posto ai critici non pochi problemi di cronologia. Lo studio più completo sull’autore è stato condotto da Maria Corti che, nel 1978, ha curato una edizione completa e critica delle opere.
Le principali che possiamo ricordare sono le seguenti:

I VENTITRE’ GIORNI DELLA CITTA’ DI ALBA (1952): una raccolta di undici racconti che prende il titolo dal più importante di essi ambientato ad Alba durante la resistenza partigiana. Cinque racconti, infatti, hanno per argomento la guerra e la Resistenza, mentre gli altri sei sono di argomento contadino, langarolo.

LA MALORA (1954): è un lungo racconto che ha come protagonista una poverissima famiglia di contadini della valle del Bembo, i Braida. Gli stenti, le amarezze, le sventure, i debiti mettono a dura prova gli sventurati e solo la rabbiosa tenacia di Agostino, il figlio maggiore, che, sobbarcandosi il peso di un lavoro senza tregua, farà fruttare di nuovo la poca terra che gli è rimasta, avrà la meglio sulla disperazione.

PRIMAVERA DI BELLEZZA (1959): un altro racconto che tratta di Resistenza e d fascismo, ma con toni più pacati e con un linguaggio letterario e colto. Ottenne il premio Città di Prato 1960.

IL PARTIGIANO JOHNNY (1968): è il romanzo più famoso di Fenoglio. E’ incentrato sulla resistenza dei partigiani sulle colline di Alba. Vi sono numerosi spunti autobiografici e una visione antieroica e profondamente umana dei fatti. (A. Desideri).
Anche se non fu mai pubblicato dall’autore, forse fu proprio questo il suo primo scritto dopo l’esperienza partigiana; secondo la Corti ebbe una prima stesura prima del 1949. Interessante la lingua di questo romanzo che risente moltissimo della famigliarità che l’autore ebbe con la lingua inglese, tanto da usarla con altrettanta disinvoltura dell’italiano. Fu premiato nel 1968: premio Città di Prato.



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