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Giovanni Pascoli: Impressionismo

Il critico Giacomo Debenedetti (1901-67) volle interpretare alcune liriche di Myricae (Romagna, Dall'argine, Stoppia) attribuendo loro il titolo complessivo di impressionismo del visibile. In questi testi, a suo avviso, il quadro poetico finisce per sfaldarsi in larghe macchie di colore, e i contorni sfumare, analogamente a quanto avviene nelle tele dei pittori impressionisti di fine Ottocento (Monet, Manet, Degas, Renoir), che amavano raffigurare soprattutto le sfumature della luce che muta nelle diverse ore della giornata. Ciò che conta, per loro, è la sensibilità dell'artista che guarda gli oggetti e li ritrae soggettivamente, e così avviene anche in Pascoli, il cui impressionismo che essa suscita sul soggetto; ignora le sonorità dispiegate secondo l'esempio di D'Annunzio in Alcyone, e predilige accostare le immagini l'una all'altra, per lo più con impasti delicati, aloni e sfumature. perciò in molti suoi testi egli usa le immagini del fumo, della nebbia, dei camini, dei fuochi terrestri e celesti; o verbi come esalare, vaporare, vanire, a indicare gli incerti contorni che avvolgono le cose; le quali peraltro sono, nei particolari, colte con grande nettezza.
Per esempio in Arano, la nebbia mattinal è ritratta durante il suo fumare; oppure nella prima strofa di Lavandare viene abbozzato un paesaggio assolutamente spoglio, triste e malinconico, tenuto in equilibrio fra i colori grigio e nero della terra e la nebbia atmosferica: è un altro esempio dell'efficace ricerca di chiaroscuro intrapresa da Pascoli.



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