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Riassunto: La Guerra Fredda

Storia completa e dettagliata

Yalta: la divisione dell'Europa in sfere d'influenza
Il futuro assetto politico europeo era stato delineato durante la conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945), pochi mesi prima della sconfitta della Germania nazista nella seconda guerra mondiale. Qui Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica avevano preso degli accordi politici, anche se in forma non ufficiale, sulla spartizione dell'Europa in sfere d'influenza: all'Urss furono di fatto riconosciute le conquiste già compiute dall'Armata rossa, cioè la Romania, la Bulgaria, gran parte di Polonia e Ungheria, i Paesi baltici, la Iugoslavia. Fu inoltre decisa la divisione dell Germania in zone di occupazione e, nello stesso tempo, furono stabiliti i principi generali cui avrebbero dovuto ispirarsi gli Alleati dopo la guerra: libere elezioni in tutti  Paesi d'Europa, diritto dei popoli a scegliere la forma di governo sotto cui vivere (principio dell'autodeterminazione), commercio internazionale aperto.
L'evidente contraddizione tra l'impegno a favorire libere elezioni da un lato, e il riconoscimento delle conquiste militari con relativa spartizione in zone d'influenza dall'altro, sarà all'origine dei contrasti che sorgeranno tra gli Alleati  di lì a breve tempo.

La ricostruzione economica: gli accordi di Bretton Woods
Per far fronte alla gravità e alla vastità delle distruzioni causate dalla guerra, era necessaria una politica di collaborazione e di solidarietà internazionale. I Paesi europei, ma anche l’Unione Sovietica, confidavano nel sostegno degli Stati Uniti per far fronte alla ricostruzione. Già nel 1944 i ministri dei Paesi alleati si erano incontrati nella città statunitense di Bretton Woods (New Hampshire), dove avevano deciso di istituire lo sviluppo attraverso la concessione di prestiti a lungo termine e un Fondo monetario internazionale (Fmi) per promuovere la cooperazione internazionale. Il dollaro sarebbe diventato la moneta di riferimento del sistema monetario e degli scambi internazionali. Le due istituzioni, con sede a Washington, entreranno in attività nel gennaio 1947, quando sarà firmato anche l’accordo sul commercio internazionale (Gatt), che stabiliva la progressiva riduzione delle tariffe doganali e dei limiti alle importazioni, con l’evidente scopo di garantire un sistema commerciale aperto alla libera circolazione delle merci e di mettere fine all’economia protezionistica affermatasi dopo la grande crisi del 1929.

La nascita dell’Onu
Accanto alla ripresa economica e monetaria si faceva strada la volontà di procedere a una riorganizzazione internazionale della pace. Nel giugno 1945 venne fondata a San Francisco, per opera di cinquantadue Stati l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu). Lo scopo dichiarato al momento della sua nascita era quello di assicurare la pace e la sicurezza internazionale, il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo, la promozione dello sviluppo economico, sociale e culturale di tutti i Paesi. Il presidente americano Roosevelt si era più di tutti impegnato nella costruzione di questa istituzione, che andava a prendere il posto della ginevrina Società delle Nazioni, dimostratasi incapace di garantire un mondo pacifico.
Gli organi delle Nazioni Unite erano l’Assemblea generale, a cui partecipavano in modo egualitario tutti gli Stati, e il Consiglio di sicurezza, composto da cinque membri permanenti e da dieci che ne facevano parte a rotazione. I membri permanenti erano gli Stati alleati durante la guerra, e cioè Usa, Urss e Gran Bretagna, cui si univano la Francia (considerata potenza vincitrice sebbene durante la guerra fosse stata governata per metà da un governo collaborazionista) e la Cina nazionalista di Chiang Kai-shek. Gli Usa avevano sostenuto la Candidatura della Cina in quanto, nel giugno 1945, la individuavano come Paese alleato (in funzione antigiapponese) nello scenario asiatico. Ciascun membro permanente aveva un potere di veto: soltanto l’unanimità dei cinque consentiva al Consiglio di sicurezza di poter prendere decisioni vincolanti e dunque di svolgere la sua funzione principale, il mantenimento cioè della pace e della sicurezza tra le nazioni. La prima sessione dei lavori dell’Onu si tenne a Londra nel gennaio 1946.

Il processo di Norimberga (1945-46)
Il conflitto mondiale aveva inesorabilmente incrinato la stessa tradizione di civiltà e di progresso dell’Europa: nella coscienza collettiva europea andò radicandosi infatti l’idea che il vecchio continente avesse prodotto una sorta di male assoluto, esploso con le dittature totalitarie e con il genocidio degli Ebrei, emblematicamente rappresentato dal campo di sterminio di Aushwitz-Birkenau. Per questo nell’agosto 1945 i vincitori decisero di istituire un tribunale militare internazionale con l’incarico di punire i responsabili dei crimini di guerra, in particolare quelli compiuti contro le popolazioni civili, contro i prigionieri e contro gli Ebrei.Vari processi si tennero nella città bavarese di Norimberga dal 14 novembre 1945 al 1° ottobre 1946. Nel processo principale ventiquattro tra i massimi esponenti del nazismo furono giudicati da magistrati che rappresentavano le quattro potenze vincitrici. Conclusosi con tre assoluzioni, dodici condanne a morte e diverse altre a pene detentive, questo processo risulterà nel complesso largamente deludente agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, poiché l’esiguo numero dei responsabili portati alla sbarra decretava, di fatto, l’impunità per la maggior parte dei criminali di guerra nazisti, spesso aiutati a nascondersi e a rifarsi un’identità dalle stesse potenze vincitrici, in primo luogo Usa e Urss.

Potsdam e l’emergere dei primi contrasti tra gli alleati
Nell’estate del 1945 le tre potenze vincitrici ridiscussero la situazione delle frontiere europee nella conferenza di Potsdam (17 luglio- 2 agosto 1945), che si svolse quando ancora la guerra sul fronte del Pacifico non era cessata. Fu il nuovo presidente americano Truman (succeduto a Roosevelt dopo la sua morte) a partecipare alla conferenza insieme a Stalin e a Churchill, primo ministro britannico, sostituito quasi subito dal laburista Clement Attlee, uscito vincitore dalle elezioni inglesi e in carica dal 3 luglio.
I confini fra Polonia e Germania furono spostati, su richiesta di Stalin, sulla linea Oder-Neisse (a spese della Germania rispetto a quanto stabilito a Yalta); fu inoltre resa operativa l’occupazione della Germania, che, smilitarizzata e privata della sua forza industriale, venne suddivisa in quattro zone dove Usa, Francia, Inghilterra e Urss avrebbero assunto poteri di governo. A Potsdam emersero anche i primi contrasti tra potenze occidentali e Urss, soprattutto sul tema dell’autodeterminazione nei Paesi dell’Europa orientale, In particolare l’Unione Sovietica non si mostrava intenzionata a garantire lo svolgimento delle elezioni in Polonia, dove era in carica un governo provvisorio di coalizione (costituito nel giugno 1945) con la netta prevalenza dei comunisti e dove le elezioni libere e pluraliste avrebbero probabilmente portato a una loro sconfitta.

Verso la formazione di due blocchi contrapposti
Accanto alla volontà di collaborazione tra gli Alleati, che si era espressa in una riorganizzazione economica e monetaria (Bretton Woods), in una riorganizzazione internazionale della pace (con l’istituzione dell’Onu), nella creazione di un tribunale internazionale per punire i crimini di guerra (a Norimberga), i contrasti tra i Paesi vincitori, già emersi a Potsdam, erano destinati ad acuirsi. Il 9 febbraio 1946, in un discorso tenuto al teatro Bolscioj di Mosca sui temi della pace e della guerra, Stalin parlò di inevitabilità di un conflitto fra mondo capitalista e blocco socialista. Nel marzo dello stesso anno Churchill, alla presenza del presidente americano Truman, usò per la prima volta la definizione cortina di ferro, per indicare la linea che divideva ormai l’Europa delle democrazie dall’Europa dei regimi comunisti.

Il problema dell’assetto della Germania
Nel frattempo le trattative per la pace con la Germania, cominciate a Londra nel settembre 1945, ripresero a Parigi nell’Aprile 1946. Qui nel febbraio 1947 i ministri dei Paesi vincitori firmarono cinque trattati con Romania, Ungheria, Bulgaria, Finlandia, Italia. Complessivamente l’Unione Sovietica uscì dalla conferenza di pace con 670.000 kmq di territorio in più rispetto ai confini del 1939. A Parigi però non fu trovato nessun accordo sulla Germania: né Usa né Urss avevano infatti intenzione di ritirarsi dalla propria zona di influenza e queste difficoltà nel trovare una soluzione al problema tedesco furono una delle ragioni del deteriorarsi dei rapporti tra Usa e Urss.

La dottrina Truman e la nascita del blocco sovietico
L’unità di azione delle potenze vincitrici contro le forze nazi-fasciste si era così trasformata nel volgere di poco tempo in un antagonismo sempre più marcato, che passerà alla storia con la definizione di guerra fredda. Ad aggravare la tensione fra i due blocchi contribuiva quella che si stava rivelando un’agghiacciante novità nella tecnologia bellica: l’arma atomica, usata dagli Stati Uniti nell’agosto 1945 a Hiroshima e Nagasaki, che ben presto anche l’Urss avrebbe posseduto. L’inizio della guerra fredda venne sancito nel marzo 1947 dalla dottrina Truman, enunciata di fronte al Congresso dal presidente americano in carica. Truman parlò di due modi di vita alternativi: uno fondato sul rispetto delle libertà umane e l’altro sul totalitarismo e sull’oppressione. Egli promise un aiuto incondizionato ai regimi democratici minacciati da movimenti interni o da manovre militari esterne mirante a imporre un ordinamento di tipo comunista. Era la cosiddetta politica del contenimento dell’espansione sovietica in Europa. Nel settembre 1947 Stalin dette vita a sua volta al Cominform (Ufficio informazione dei partiti comunisti), con lo scopo di tenere sotto controllo gli Stati dell’Europa dell’Est che ormai gravitavano nell’orbita dell’Urss e i partiti comunisti dell’Europa occidentale. Con il Cominform nasceva ufficialmente il blocco sovietico.

1948-1949: il sistema di alleanze durante la guerra fredda
I Paesi europei erano a questo punto divisi in due blocchi contrapposti: l’Europa orientale, caratterizzata da regimi di tipo socialista sotto la diretta influenza dell’Unione Sovietica, e l’Europa occidentale, strettamente legata agli Stati Uniti e i cui governi si ispiravano ai principi della democrazia liberale. I due blocchi si diversificavano non solo per l’indirizzo politico, ma anche per le scelte economiche (comunismo, statalista, capitalismo).
Lo Stato sovietico, rispetto alla situazione esistente prima della guerra, aveva incorporato nel proprio territorio l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, nonché alcune parti della Finlandia, della Germania, della Cecoslovacchia, della Romania e della Polonia. Il regime politico aveva assunto sempre più chiaramente la forma di una dittatura di un limitato gruppo dirigente, alla cui testa vi era Stalin. Il modello staliniano di società socialista era stato esteso, nei primi anni del dopoguerra, a tutti gli Stati europei liberati dall’Armata rossa. Attraverso la pressione delle forze di occupazione e dei comunisti locali, tra il 1945 e il 1948 si era venuta così costruendo una catena di Stati satellite, governati inizialmente da coalizioni di partiti di sinistra, ma successivamente sottoposti al predominio di un partito unico, sul modello dello Stato sovietico e controllati direttamente dall’Urss anche dal punto di vista economico. Nell’orbita di Mosca vi erano la Germania orientale, la Polonia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria e l’Albania.
Particolarmente drammatico era il caso della Cecoslovacchia, dove un colpo di Stato effettuato a Praga dai comunisti nel febbraio 1948 aveva costretto il presidente Edvard Benes, eletto nel giugno 1946, a rassegnare le dimissioni e a espatriare, mentre il ministro degli Esteri Jan Masaryk sceglieva di uccidersi piuttosto che sottostare al regime dittatoriale istituito dal comunista Klement Gottwald. Andarono a vuoto invece sia il tentativo compiuto dall’Unione Sovietica di estendere la propria influenza sulla zona degli Stretti (Bosforo e Dardanelli) e di fare così il proprio ingresso nel Mediterraneo; sia le aspirazioni dei partigiani comunisti in Grecia, miranti a far rientrare anche il loro Paese nell’ambito delle nazioni a regime socialista. Una conseguenza della divisione del mondo in due blocchi fu l’allontanamento dei partiti comunisti dalle coalizioni governative dei Paesi dell’Occidente (Francia e Italia), mentre nei gruppo dirigenti degli Stati dell’Est europeo si scatenava la persecuzioni contro i revisionisti, coloro cioè che venivano accusati di abbandono dei principi fondamentali del socialismo.
Quanto il controllo dell’Urss fosse rigido e intransigente è dimostrato da alcuni eventi, come, ad esempio, la condanna mossa da Stalin nei confronti del leader iugoslavo Josip Broz, detto il maresciallo Tito, che aveva guidato la Resistenza contro la Germania nazista. Egli aveva dato vita il 31 gennaio 1946 alla Repubblica socialista federativa iugoslava, che raccoglieva Paesi di etnie diverse: Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia. Alla guida della nuova repubblica federale vi era un governo centrale molto forte, di chiara ispirazione sovietica e rigidamente inquadrato nell’orbita moscovita. I rapporti tra Mosca e Belgrado, tuttavia, si sarebbero ben presto deteriorati: nel giugno del 1948 il partito iugoslavo fu espulso dal Cominform con l’accusa di non avere pienamente applicato le direttive sovietiche. La Iugoslavia, che subì il blocco di ogni rapporto economico oltre alla rottura di tutti i legami politici con i vicini Paesi orientali, seguì da allora la via iugoslava al socialismo (le prime leggi varate andarono in direzione di un socialismo più democratico di quello sovietico). L’isolamento internazionale fu comunque breve, in quanto già nel 1951 gli Usa fornirono al Paese i primi aiuti economici e militari.
L’espressione più tipica della guerra fredda fu senz’altro la questione relativa alla sistemazione della città di Berlino. In base a quanto avevano stabilito Usa, Urss e Inghilterra a Yalta, la Germania era stata smembrata in quattro zone: lo stesso destino era toccato anche all’ex capitale, che si trovava al centro della zona sovietica e che venne divisa in quattro eserciti alleati (americano, sovietico, francese, inglese). Ben presto però, nel clima della guerra fredda, le potenze occidentali decisero di riunificare le zone di loro competenza, per paura che cadessero sotto l’influenza di Mosca. I Sovietici naturalmente si opposero a tale progetto e, nell’intento di costringere gli altri Paesi ad abbandonare Berlino, bloccarono tutti gli accessi stradali e ferroviari alla città. Gli Stati Uniti e l’Inghilterra risposero organizzando un efficiente ponte aereo, che fra il giugno 1948 e il maggio 1949 consentì di trasportare tonnellate di merci quasi ininterrottamente lungo il ristretto corridoio aereo concesso dai trattati di pace, garantendo così i rifornimenti alla maggiore città tedesca. Alla fine i Sovietici, resisi conto dell’inutilità del blocco economico, cominciarono ai loro propositi, togliendo i posti di controllo.
La risposta alleata non si fece attendere: il 23 maggio del 1949 venne creata la Repubblica federale tedesca (Rft), che raggruppava gli undici Lander (regioni) della Germania occidentale: il suo primo cancelliere, designato con le elezioni che si tennero nel mese di settembre, fu il presidente del Partito cristianodemocratico Kondrad Adenauer (1876-1967), esponente della repubblica di Weimar perseguitato dal nazismo. La Germania occidentale poté così avviare una consistente e rapida ripresa economica, grazie all’effettiva ricchezza del Paese, agli aiuti americani e a una notevole stabilità governativa. A loro volta i Sovietici, il 7 ottobre del 1949, dettero vita, nella Germania orientale da essi occupata, alla Repubblica democratica tedesca (Rdt). La Rft venne riconosciuta solo dal blocco occidentale, la Rdt solo dal blocco orientale: la divisione della Germania era il segno più tangibile della guerra fredda finora raggiunto.
Il 4 aprile 149 fu fondata una nuova alleanza fra i Paesi del blocco occidentale, il cosiddetto Patto atlantico, firmato a Washington tra gli Stati Uniti, il Canada e quasi tutti gli Stati dell’Europa occidentale, compresa l’Italia. La decisione di stipulare questa alleanza fu presa durante il blocco di Berlino e può essere considerata la risposta occidentale al controllo che l’Urss esercitava sui Paesi dell’Europa orientale. Sulla base di tale alleanza si procedette anche alla creazione della Nato (North Atlantic Treaty Organizzation), un organizzazione militare comune che sarebbe intervenuta in caso di attacco sovietico anche a uno solo dei Paesi firmatari. Lo stato di permanente sospetto e di accesa rivalità tra i due blocchi andò crescendo di pari passo con la corsa agli armamenti nucleari. Il 29 agosto 1949 l’Unione Sovietica era infatti riuscita a sperimentare la sua prima bomba atomica a fissione nucleare, uguale a quella sganciata dagli Stati Uniti su Nagasaki nel 1945, grazie all’acquisizione dei piani militari americani ottenuti attraverso lo spionaggio.
Come era facile prevedere, la guerra fredda alimentò negli Usa un’atmosfera di sospetto, aggravata dalla preoccupazione per lo scoppio della prima atomica sovietica. Ciò portò all’approvazione di numerose leggi contro la libertà politica e sindacale, nell’ambito di quel particolare clima di intolleranza politica che prese il nome di maccartismo dal senatore repubblicano Joseph McCarthy, che fu il principale ispiratore. Egli infatti era a capo di una speciale commissione per la repressione delle attività antiamericane, incaricata di individuare, spesso con metodi persecutori, l’eventuale presenza di comunisti negli Stati Uniti e la loro possibile influenza nella gestione del Paese. Si determinò così una lotta accanita al comunismo, o meglio una vera caccia alle strega, che colpì indiscriminatamente chiunque fosse sospettato di essere comunista o una spia dei comunisti. Di tale clima persecutorio furono vittime i coniugi Julius e Ethel Rosemberg, condannati a morte e giustiziati nel giugno 1953 sotto l’accusa di spionaggio atomico a favore dell’Urss: un’accusa mai formalmente provata.

L’Europa del dopoguerra e la ricostruzione economica


L’immediato dopoguerra fu per l’intera Europa, dopo la devastazione del secondo conflitto mondiale, un periodo di ricostruzione economica e sociale. Gli Stati Uniti decisero di intervenire massicciamente con i loro capitali per stimolare il rilancio economico europeo, facendo affluire in sedici Paese (tutti occidentali, con l’eccezione della Turchia) oltre tredici miliardi di dollari (un miliardo e mezzo circa fu destinato all’Italia). Il piano americano di aiuti economici fu elaborato dal segretario di Stato George Marshall (1880-1959) e divenne operativo nell’aprile del 1948 sotto il nome di European Recovery Program (Erp, Programma di ricostruzione europea), comunemente noto come piano Marshall (1948-1958). Questo piano di aiuti economici fu determinato, oltre che dalla volontà di offrire un solido aiuto all’Europa devastata dalla guerra, anche da motivazioni interne, di carattere sia politico che economico. Dal punto di vista politico, gli Stati Uniti intendevano dare solidità all’Europa, considerata esposta al pericolo di una progressiva crescita dell’influenza comunista; dal punto di vista economico gli Usa, essendo l’unica potenza uscita dalla guerra indenne da distruzioni e da invasioni del proprio territorio, avevano un apparato produttivo perfettamente intatto, al quale era indispensabile trovare uno sbocco anche verso il vecchio continente, se non si voleva correre il gravisimo rischio di una sovrapproduzione interna simile a quella verificatesi nel 1929. Il piano, rimasto attivo fino al 1958, si proponeva tre obiettivi essenziali:
1. esaminare le richieste più urgenti avanzate dai singoli Paesi, uniti in un’Organizzazione europea per la cooperazione economica (Oece), con sede a Parigi.
2. formulare programmi comuni in vista della ricostruzione.
3 farli concretamente eseguire sotto un adeguato controllo.
Gli aiuti americani permisero la rinascita dell’Europa occidentale, avviando quel processo di sviluppo socio-economico che ne avrebbe caratterizzato la storia nel ventennio successivo. Nell’Europa occidentale la scelta capitalista portò tra l’altro alla valorizzazione della proprietà privata, della libera iniziativa e del libero mercato e fu accompagnata da una attenzione ai problemi sociali della popolazione, uscita impoverita dalla guerra.
In ambito sociale si segnalò la Gran Bretagna, che per prima ebbe la sensibilità di attuare la politica del Welfare State (Stato del benessere), nella convinzione che un moderno Stato liberale dovesse assicurare ai cittadini, oltre che i diritti politici e civili, anche quel complesso di bei primari (con forme di protezione del lavoro, istruzione pubblica e gratuita, edilizia popolare, creazione del servizio sanitario nazionale, sistema pensionistico) senza i quali essi non avrebbero potuto vivere un’esistenza dignitosa.
Elaborato per la prima volta nel 1942 (piano Beveridge), il Welfare State fu poi attuato in forme moderate nell’immediato dopoguerra dal governo laburista britannico. Le elezioni svoltesi in Inghilterra nel luglio 1945, poco dopo la fine del conflitto, avevano infatti decretato la clamorosa quanto inaspettata vittoria dei laburisti e l’attribuzione della carica di primo ministro al posto di Winston Churchill, al loro rappresentate Clement Attlee (1883-1967).
Particolarmente difficile si presentava invece la situazione della Francia, che portava le ferite del regime di Vichy e del collaborazionismo. Alla fine della guerra si erano formati dei governi di unità nazionale, presieduti dal generale De Gaulle, uno dei principali leader della Resistenza antinazista. Le esigenze di rinascita del Paese si espressero nell’approvazione di una nuova Costituzione (entrata in vigore nel dicembre 1946), che dette vita alla Quarta Repubblica francese).
Ben diversa soluzione fu data ai problemi della ricostruzione nell’Est europeo, dove la situazione politica era legata al comunismo internazionale posto saldamente nelle mani di Stalin. Man mano che la ripresa economica dell’Europa cominciava a divenire una realtà, si rendeva comunque sempre più necessario per i Paesi europei avviare un processo di sviluppo autonomo dalla dipendenza transoceanica. A favorire l’attuazione del primo passo in tal senso fu proprio il piano Marshall, che fin dal 1947 aveva previsto l’assegnazione di consistenti aiuti all’Europa, purché i singoli Stati si fossero tra loro organizzati e avessero raggiunto un accordo per la ricezione e la distribuzione di quanto fosse giunto dagli Stati Uniti. Proprio sulla base di questa necessità pratica si formò un movimento teso all’unificazione europea e al conseguente abbattimento delle barriere doganali. Elaborato all’inizio da un ristretto numero di intellettuali, tale progetto era destinato ad assumere sempre maggiore rilievo nell’opinione pubblica: si cominciò così a parlare di Stati Uniti d’Europa, ovvero di un’entità che riunisse il maggior numero possibile di Paesi europei attraverso un governo di tipo sovranazionale e che fosse in grado di competere con le due superpotenze in campo politico ed economico.
Nel maggio del 1949 dieci Stati europei dettero vita al Consiglio d’Europa, con sede a Strasburgo, allo scopo di intensificae i rapporti tra i diversi Paesi aderenti. Il processo di unificazione trovò la sua prima concreta attuazione nell’aprile 1951, allorché si procedette alla creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), alla quale aderirono Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Italia e Germania occidentale (Repubblica federale tedesca). Tale organismo, regolato da un’autorità sovranazionale e indipendente dai governi degli Stati membri, divenne un utilissimo strumento di collaborazione economica, finalizzato a superare ogni possibile forma di restrizione nel campo della produzione di carbone e acciaio e a operare super partes nell’interesse dell’intera comunità. Si trattava di un passo, oltre che di natura economica, anche di grande valore politico, perché contribuiva a rimuovere uno dei motivi di secolare contrasto fra la Francia e la Germania, che proprio sul controllo delle zone di produzione del carbone e dell’acciaio avevano sedimentato rivalità profonde. Gli stessi Paesi aderenti alla Ceca sottoscrivevano nel 1957 il trattato di Roma, che dava vita alla Comunità economica europea (Cee), detta anche Mercato comune europeo (Mec), e alla Comunità europea dell’energia atomica (Euratom), entrate in funzione il 1° gennaio 1958. Tali istituzioni ebbero un ruolo importante nel favorire l’integrazione tra gli Stati membri, anche se limitatamente al campo economico. Le varie iniziative prevedevano infatti l’eliminazione delle tariffe doganali e la libera circolazione della forza-lavoro e dei capitali, ma non condizionavano in alcun modo la sovranità politica dei singoli Stati. Appariva ormai evidente che per arrivare a un’effettiva unità europea bisognava attuare una progressiva limitazione delle sovranità nazionali.

1945-1954: la guerra fredda in Asia e la corsa agli armamenti
Lo scenario mondiale della guerra fredda ebbe importanti conseguenze anche in Asia, dove assunse primaria importanza l’ascesa della Cina. Nel 1945, subito dopo la disfatta del Giappone, l’alleanza fra i nazionalisti di Chiang Kai-shek e i comunisti di Mao Tse-tung si dissolse a causa dei contrasti sorti fra i due leader sulla forma da dare alla Costituzione: secondo Mao essa doveva ricalcare quella sovietica e ispirarsi ai principi del maxismo-leninismo; secondo Chiang doveva invece essere ispirata a un sistema parlamentare di orientamento democratico-liberale. I contrasti sfociarono in una cruenta guerra civile (1946-1949). I comunisti, che avevano conquistato l’appoggio delle masse contadine, riuscirono a prevalere su Chiang, al quale nel 1948 venne oltretutto a mancare l’appoggio degli Stati Uniti, impegnati a concentrare tutti i loro sforzi politici ed economici in Europa. Dopo avere occupato nel corso del 1948 la Manciuria e la parte settentrionale e centrale della Cina, nel gennaio 1949 l’esercito popolare di Mao riuscì a entrare a Nanchino.
La vittoriosa avanzata di Mao costrinse a cercare rifugio con i resti del suo esercito nell’isola di Taiwan (Formosa). Qui egli dette vita a uno Stato autonomo e fu riconosciuto dagli Stati Uniti e dai Paesi occidentali come unico e legittimo capo del popolo cinese, in nome del quale Chiang occupò anche il seggio di membro permanente all’Onu e lo detenne fino al 1971, anno in cui sarà assegnato alla Cina di Pechino. Taiwan, da cui Chiang Kai-shel dichiarava di voler portare avanti la liberazione dell’intero continente dai comunisti, divenne così un punto nevralgico della guerra fredda in Asia. Nel frattempo Mao, raggiunta Pechino, dava vita il 1° ottobre 1949 al primo governo della Repubblica popolare cinese, da lui stesso presieduto. Dopo avere compiuto il suo primo viaggio all’estero per firmare con Mosca un trattato di amicizia e assistenza economica (1950), il neopresidente avviò una decisa trasformazione e modernizzazione dello sterminato Paese, ormai quasi completamente unificato, attraverso una riforma agraria che prevedeva la confisca di tutte le terre appartenenti ai grandi proprietari e alle comunità religiose e la loro assegnazione alla popolazione cinese. Questa riforma fu tuttavia insufficiente ad assicurare un livello minimo di sussistenza alla popolazione. Uno dei momenti di maggior tensione della guerra fredda si registrò in Corea, dove esplose una crisi di estrema gravità, in una zona altamente strategica, fra Cina, Unione Sovietica e Giappone. La Corea, possesso giapponese dal 1910, al termine del conflitto mondiale era stata occupata a nord dalle truppe sovietiche e a sud da quelle americane. Il Paese venne temporaneamente diviso, di comune accordo tra le due potenze, da una linea che correva lungo il 38° parallelo.
Il rifiuto sovietico di far svolgere libere elezioni sotto il controllo dell’Onu portò alla nascita di due Stati separati: la Corea del Sud (nel maggio 1948), con capitale Seul, retta dalla dittatura anticomunista di Syngman Rhee, e la Corea del Nord (nel settembre 1948), con capitale Pyongyang, guidata dal Partito comunista di Kim Il Sung. Nel 1950 i Coreani del Nord, forti dell’appoggio cinese e sovietico, varcarono improvvisamente la linea del 38° parallelo e arrivarono a occupare la capitale del Sud, e Seuò, sicuri di poter realizzare l’unificazione della penisola. Gli Stati Uniti però ottennero dal Consiglio di sicurezza dell’Onù l’autorizzazione all’intervento militare: si formò così una forza internazionale comprendente, oltre agli Usa, numerosi Paesi, fra cui Gran Bretagna, Australia, Canada e Turchia. Fu l’inizio di un conflitto che durò tre anni, provocando decine di migliaia di morti fra i militari dei vari schieramenti e ben un milione e mezzo di vittime fra la popolazione civile, e che tenne il mondo con il fiato sospeso, rischiando di sfociare in uno scontro diretto tra i due blocchi. L’armistizio di Panmunjon del 1953 riconfermò, con l’assenso tacito dell’Urss, la precedente ripartizione territoriale. Esso non impedì comunque ai governi della Corea del Sud e del Nord di mantenere sui confini dei due Paesi una situazione di continua tensione e di vera e propria ostilità, sottolineata successivamente dalla costruzione di una lunghissima barriera di cemento armato, eretta lungo il 38° parallelo. La Corea da allora non si è più riunificata e i due Stati non hanno relazioni diplomatiche fra loro, né ufficialmente hanno mai firmato la pace.
La guerra di Corea ebbe come conseguenza quella di far accettare la corsa agli armamenti da parte delle due superpotenze. Fu infatti nel novembre 1952 che gli Stati Uniti fecero il primo esperimento con una bomba H a fusione nucleare dell’idrogeno pesante, e nel 1953 che l’Urss dichiarò di possedere la stessa arma. Si era passati così in pochissimo tempo da ordigni distruttivi della potenza di dieci chiloton (diecimila tonnellate di tritolo), qual era la prima atomica, a ordigni della potenza di vari megaton (milioni di tonnellate di tritolo), quali furono poi le bombe H.
La corsa agli armamenti finì comunque per impegnare la maggior parte delle risorse di usa e Urss nella struttura difensiva invece che nella produzione di beni di consumo e nella prestazione di servizi sociali ai cittadini, e divenne pertanto un fattore di peggioramento delle condizioni di vita in particolare nell’Unione Sovietica, dove la mancanza di un’economia di mercato aveva già pesantemente limitato la produzione al consumo. Essa ebbe però anche un’altra importante conseguenza: la paura della capacità distruttiva della potenza nemica finì per costituire un fattore di equilibrio e di dissuasione al conflitto, visto che lo scoppio di una nuova guerra mondiale avrebbe significato devastazione e annientamento totale per entrambe le parti. Si determinò così il cosiddetto principio delle deterrenza, che dette luogo a una preparazione militare affannosa e soggeta a continue modifiche e costosissimi aggiornamenti per la realizzazione di armi nucleari e non, sempre più sofisticate e capaci di incutere paura all’avversario e distoglierlo dall’intraprendere una guerra diretta.
A partire dall’armistizio di Panmunjon gli Stati Uniti offrirono la loro protezione al governo nazionalista di Taiwan e consentirono al Giappone, ex nemico, di rianimarsi. In questi anni si costituì anche un nuovo sistema di alleanze extraeuropeo finalizzato ad accerchiare l’Unione Sovietica: nel 1951 gli Stati Uniti dettero vita a un’allenza con l’Australia e la Nuova Zelanda e nel settembre 1954 a un’alleanza speculare a quella della Nato, la Seato (South East Asia Treaty Organization), di cui facevano parte Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Australia, Nuova Zelanda, Filippine, Thainlandia, Pakistan. Gli Usa furono anche i promotori di un’alleanza tra Gran Bretagna, Turchia, Pakistan, Iraq, Iran. Inoltre, nel 1952 entrarono nella Nato anche la Grecia e la Turchia, dove si trovavano già basi militari americane. A loro volta i Paesi dell’Est europeo decisero di stipulare, nel maggio del 1955, il Patto di Varsavia sotto la guida dell’Unione Sovietica. Il patto andava a sostituire gli accordi bilaterali di difesa già esistenti fra l’Urss e i Paesi satellite dell’Est.
Con la vittoria dei comunisti in Cina e, poi, in seguito alla guerra di Corea, gli Stati Uniti cambiarono strategia nei riguardi di Tokyo. Il Giappone, dopo essere stato costretto a cedere tutti i territori conquistati nel corso del conflitto, subì una lunga occupazione militare americana sotto il comando del generale Douglas MacArthur. In questo periodo, che si concluse l’8 settembre 1951 con la firma a San Francisco del trattato di pace con gli Stati Uniti, furono fatte importanti riforme volte alla democratizzazione del Paese: nel 1947 entrò in vigore la nuova Costituzione in base alla quale il Giappone diventava una monarchia parlamentare. La Costituzione dichiarava altresì che il Giappone rinunciava alla guerra, alle forze armate e persino alle industrie belliche. Gli eventi che si verificavano in Asia spinsero però gli Usa a cercare un alleato piuttosto che a punire un nemico già vinto. Da allora il Giappone venne considerato non più un Paese ostile, bensì una nazione alla quale affidare compiti essenziali nei piani di difesa contro l’espansione del comunismo in Estremo Oriente e da aiutare economicamente. Il mutamento di rotta da parte degli Stati Uniti rispetto ai programmi formulati nell’immediato dopoguerra spiega perché la ripresa economica fu così rapida, al punto che il Giappone divenne in pochi anni la terza potenza industriale del mondo dopo Usa e Urss, con un tasso di viluppo medio annuo nettamente superiore a quello dell’Occidente industrializzato e con un bilancio commerciale in perenne attivo. Fino al 1956 il Giappone continuò comunque a restare fuori dalla Nazioni Unite a causa del veto sovietico.

1953-1963: la coesistenza pacifica e le sue crisi
Il 1953 segna una svolta nelle relazioni fra Usa e Urss, che avrà come conseguenza un allentamento, se pur fragile, della tensione fra i due blocchi. Nel 1953 infatti morì Stalin e nel 1955, dopo una serie di contrasti per il potere, il nuovo leader sovietico divenne Nikita Krusciov. Uno dei primi atti compiuti da Krusciov fu quello di partecipare a una conferenza per il disarmo convocata a Ginevra nell’aprile del 1954. L’anno seguente egli si recò a Belgrado per giungere a una riconciliazione con Tito, che pure continuò a non voler allineare la sua politica estera con quella condotta dall’Urss. Durante questo viaggio Krusciov parlò per la prima volta della necessità di una coesistenza pacifica fra comunismo e capitalismo. L’Urss sembrava ormai sempre più decisa ad abbandonare la dottrina dell’inevitabilità dello scontro tra due sistemi ritenuti incili abili, affermata alcuni anni prima. La modifica della linea di condotta dell’Unione Sovietica venne confermata nel corso del XX congresso del Partito comunista sovietico (14-25 febbraio 1956), durante il quale il nuovo segretario denunciò gli errori e i crimini commessi da Stalin. Con la sua relazione, che fu letta in una seduta segreta, ma che ebbe ugualmente un’ampia circolazione in Urss e nei Paesi satellite, Krusciov non negò i meriti del suo predecessore nella trasformazione di un Paese arretrato in un Paese moderno e nella vittoriosa organizzazione dello sforzo bellico contro la Germania nazista. Egli tuttavia, mise per la prima volta in luce la tendenza autoritaria e dittatoriale progressivamente assunta dal regime sovietico dopo la morte di Lenin. A Stalin venivano rimproverati, oltre all’abbandono della direzione collegiale nella gestione del potere, soprattutto il culto della personalità e gli eccessi legati all’imposizione delle direttive di partito in ogni settore. Di conseguenza veniva auspicata una revisione del sistema sovietico (destalinizzazione), imperniata non solo sulla fine dello stalinismo in politica interna, ma anche su una diversa linea di azione in politica estera. Di fronte al XX congresso Krusciov approfondì inoltre i concetti già annunciati nel 1954 durante la visita a Belgrado: egli parlò infatti di evitabilità della guerra con l’Occidente e di possibilità per il socialismo in un quadro di coesistenza pacifica. A questo mutamento di prospettiva nella politica estera sovietica verrà dato il nome di distensione o disgelo.
Nello stesso anno del XX congresso Krusciov sciolse il Cominform, nell’intento di sottolineare con un segno inequivocabile la sua nuova linea politica. Il processo di destalinizzazione rimase però incompiuto e deluse le speranze che aveva suscitato. Non pose infatti in discussione il sistema economico-politico e il modello di vita sovietico, ma soprattutto non eliminò all’interno del Paese quel regime poliziesco e liberticida che trovava la sua aberrante espressione nei gulag, i campi di concentramento in cui continuarono a essere rinchiusi e a morire i dissidenti.
Il nuovo corso annunciato da Krusciov sembrò offrire ai Paesi satellite la speranza di ottenere una maggiore autonomia nei confronti dell’Urss, che parve effettivamente avere allentato la pressione militare ed economica sull’Europa orientale. In Polonia, nell’ottobre 1956, un movimento di operai e di intellettuali guidato dal capo del governo Wladislaw Gomulka cercò di imprimere una svolta alla politica del Paese, espellendo i dirigenti stalinisti del partito e aprendo relazioni commerciali con il mondo occidentale, con l’assenso dei Sovietici. Si trattava di un’assoluta novità, che spezzava la rigida chiusura cui erano stati sottoposti i Paesi satellite nei riguardi dell’Occidente. Le notizie giunte dalla Polonia ebbero un’immediata risonanza nella vicina Ungheria, dove si verificò una vera e propria sollevazione popolare contro il capo del governo Matyas Rakosi. AL suo posto furono nominati due perseguitati dello stalinismo, Imre Nagy e Janos Kadar, rispettivamente capo del governo e segretario del partito. Il nuovo governo stabilì anzitutto in nome di una politica di neutralità di abbandonare l’alleanza militare con l’Unione Sovietica e di sottrarsi al Patto di Varsavia.
Una simile decisione non fu però accettata dall’Urs, che vedeva incrinarsi la cintura di sicurezza creata dai Paesi satellite. Di fronte all’ampiezza delle manifestazioni popolari e al pericolo che il moto dilagasse, l’Unione Sovietica nel 1956 fece intervenire l’esercito per soffocare nel sangue la rivolta. Le disperate richieste d’aiuto rivolte dagli insorti non vennero accolte dagli Stati Uniti e dall’Europa, preoccupati di non rompere l’equilibrio internazionale. La rivoluzione fu pertanto duramente repressa con il ricorso ai carri armati e con l’eliminazione dei leader della rivolta. Imre Nagy venne addirittura giustiziato nel 1958. Kadar, schieratosi a un certo momento contro Nagy, assunse la direzione del governo con l’appoggio dei Sovietici. Egli cercò di attuare, per quanto possibile, una politica di sviluppo economico mirante soprattutto a migliorare le condizioni di vita della popolazione e promosse una blanda occidentalizzazione, che fece dell’Ungheria, negli anni successivi, il Paese più aperto tra quelli dell’Europa dell’est. Mentre accadevano i fatti d’Ungheria, la situazione internazionale venne a sua volta complicata da una vera e propria aggressione contro l’Egitto, eseguita nell’ottobre 1956 da Francia, Gran Bretagna e Israele, conosciuta sotto il nome di crisi di Suez o guerra del Sinai.

1960: Gli Stati Uniti di Kennedy
La politica della coesistenza pacifica, ancora contraddittoria e incerta, sembrò svilupparsi in forme più concrete e precise dopo che le elezioni presidenziali negli Stati Uniti portarono alla vittoria, nel 1960, il candidato democratico John Fitzgerald Kennedy (1917-1963). Il neoeletto aveva condotto tutta la sua campagna elettorale in politica interna sul tema di una nuova frontiera, come la definì lo stesso Kennedy. Il programma della nuova frontiera prevedeva un forte impegno in alcuni cruciali settori della vita nazionale: la disoccupazione e le assicurazioni sociali; l’educazione; l’assistenza agli anziani; l’integrazione razziale; la parità dei diritti civili per tutte le minoranze. Nello stesso tempo Kennedy era interessato ad aprire anche in politica estera una nuova frontiera nei riguardi dell’Unione Sovietica, seguendo la via della coesistenza pacifica indicata da Nikita Krusciov, pur senza voler rinunciare al predominio americano. Il suo programma prevedeva inoltre un consistente aiuto economico alle nazioni più povere per combattere la miseria, il razzismo e la fame. Grazie alle sue idee Kennedy aveva trovato il consenso elettorale dei cattolici, dei neri e di tutte le minoranze, che avevano avuto poco spazio nel corso delle due amministrazioni del repubblicano Dwight David Eisenhower, il comandante delle operazioni militari alleate nella seconda guerra mondiale, rimasto alla Casa Bianca dal 1953 al 1960. Rispetto al suo predecessore, che aveva seguito un programma improntato esclusivamente sul modello liberale, il neopresidente puntava anche sull’impegno solidaristico-sociale e intendeva contribuire all’evoluzione del concetto di democrazia negli Stati Uniti. Tale progetto di riforme fu tuttavia realizzato solo in parte a causa della decisa opposizione dei conservatori presenti nel Congresso e delle molteplici difficoltà che Kennedy dovette fronteggiare, a cominciare dalle numerose dimostrazioni contro la discriminazione razziale da una parte e dalle violenze perpetrate dai razzisti più intransigenti dall’altra.

1961: Il Muro di Berlino
Nel 1961 una nuova crisi internazionale minacciò seriamente il clima di coesistenza pacifica che sembrava essersi stabilito tra i due blocchi. (Continua...)

La rivoluzione di Fidel Castro a Cuba
Una nuova crisi internazionale esplose nel 1962 a Cuba, isola dell’America centrale sotto l’influenza diretta del capitalismo statunitense. (Continua...)

Kennedy viene assassinato
Il 22 novembre 1963 John Fitzgerald Kennedy veniva assassinato a Dallas. Rimangono ancora oggi sconosciuti i moventi e gli organizzatori dell’attentato, per il quale venne arrestato Lee Oswald, ucciso a sua volta nel carcere di Dallas il giorno dopo l’arresto. L’ipotesi più plausibile è che i mandanti fossero tra coloro che si sentivano danneggiati dalla politica di Kennedy: le forze conservatrici e razziste del Sud, le lobbies mafiose del Nord, gli esuli cubani intenzionati a rovesciare il governo castrista e delusi dal disinteresse del presidente in seguito al fallimento dello sbarco alla baia dei Porci.
Poco tempo dopo anche l’altro protagonista della politica della distensione scompariva dalla scena internazionale: il 15 ottobre 1964, infatti, Krusciov venne sostituito al vertice dello Stato sovietico da Leonind Brexnev perché nessuno, o quasi, dei traguardi da lui indicati era stato raggiunto: né il superamento degli Stati Uniti nella produzione di beni di consumo, né la trasformazione di Cuba in una base missilistica, né il ritiro degli occidentali da Berlino Ovest.

Papa Giovanni XXIII il papa buono
Un notevole contributo al processo di distensione internazionale, che trovava i suoi protagonisti in Krusciov e in Kennedy, venne dato anche dal pontefice Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli (1881-1963), succeduto nel 1958 a Pio XII. Il nuovo papa, infatti, conquistò anche presso i Paesi non cattolici il riconoscimento di un’alta autorità morale, che egli mise al servizio della comprensione fra i popoli, adoperandosi con fervore a salvaguardare la pace e a elevare il tenore di vita di quanti versavano in condizioni di estrema povertà. Con questo spirito realmente ecumenico Giovanni XXIII promulgò due fondamentali ecicliche: La Pacem in terris, dedicata ai problemi della pace, e la Mater et magistra, con la quale aggiornò la dottrina sociale della Chiesa. In quest’ultima, il pontefice affrontava non solo i problemi classici del mondo economico  (proprietà privata, libera iniziativa, moderato intervento dello Stato, giusto salario, congestione degli operai nelle imprese ecc.), ma anche quelli relativi al sottosviluppo dei Paesi poveri e al preciso dovere da parte di quelli progrediti di attuare una valida cooperazione internazionale, eliminando le inutili spese per la realizzazione di paurosi strumenti di rovina e di morte.
Un’altra iniziativa di Giovanni XXIII fu la convocazione del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962). Il concilio si proponeva di discutere i principali problemi contemporanei e di sollecitare la Chiesa ad affrontarli in modo nuovo, abbandonando il tradizionale atteggiamento di condanna nei riguardi delle altre fedi e dei non credenti: tutto ciò al fine di stabilire un dialogo costruttivo con i popoli di tutti i continenti. La Chiesa cattolica, che in precedenza aveva risolto la propria attenzione quasi esclusivamente all'Europa, iniziativa dunque ad aprirsi ai problemi mondiali, grazie soprattutto al contributo dei numerosi padri conciliari provenienti dall'Asia, dall'Africa e dall'America latina, che si fecero portavoce di una realtà fino a qual momento pressoché ignorata dalla comunità ecclesiale europea. Papa Giovanni XXIII scomparve purtroppo prematuramente nel giugno 1963, mentre ancora in atto il concilio da lui convocato e di cui non poté vedere la fine (8 dicembre 1965).



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