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Pensiero di Italo Svevo

Formazione e idee
In gioventù Svevo fu un lettore avido, eclettico, pur rimanendo sempre un lettore dilettante (un termine da intendersi nel senso nobile di colui che si diverte).
In particolare:
lesse i classici italiani, che gli furono maestri di lingua e stile;
lesse gli autori del Realismo e del Naturalismo francese (Flaubert, Balzac, Zola) e del grande romanzo russo, in particolare Turgenev (uno dei primi a creare già nell’Ottocento personaggi deboli e maldestri, non lontani dagli inetti sveviani) e Dostoevskij, capostipite del moderno romanzo psicologico;
coltivò infine, negli anni della maturità, un forte interesse per la cultura inglese, grazie anche ai soggiorni a Londra e all’amicizia con Joyce.
Fu proprio la cultura inglese, con i suoi scrittori umoristi, come Jonathan Swift, William M. Thackeray, Jerome K. Jerome, George Bernard Shaw, a incrementare nella narrativa sveviana gli accenti ironici e autoironici dell’ultima stagione.
L’attenzione verso il romanzo moderno fu un tratto decisivo nella formazione del futuro scrittore. Fin da giovane Svevo accolse il genere romanzesco come luogo non di letteratura, ma di analisi della vita; ne valorizzò perciò la tensione conoscitiva e la volontà di utilizzare la narrazione come mezzo di indagine della psicologia umana e delle forze che si scontrano nel tessuto sociale.

Il tema darwiniano della lotta per la vita
La formazione intellettuale di Svevo fu più ampia di una semplice formazione letteraria. Ebbe una conoscenza di prima mano (pur se procurata anch’essa con modalità dilettantesche) del celebre naturalista inglese Charles Darwin (1809-82): anzi, Svevo riteneva le sue tesi evoluzionistiche un contributo decisivo per giungere a comprendere davvero la natura umana.
Da Darwin provengono alcuni temi tipici della narrativa sveviana:
la lotta per la vita, anzitutto;
il difficile adattamento dell’uomo all’ambiente;
la trasmissione più o meno ereditaria dei caratteri;
l’influsso della società sull’indole e sul comportamento individuali.

Schopenhauer e la volontà inconsistente
Un’altra delle principali fonti di Svevo fu Arthur Schopenhauer (1788-1860), il filosofo tedesco che, secondo Svevo, aveva smascherato l’ingannevolezza del libero arbitrio e il carattere effimero e inconsistente della nostra volontà e dei nostri desideri. La debolezza della volontà diventerà uno dei temi prevalenti nei romanzi sveviani, traducendosi nel motivo dell’inettitudine e nel parallelo motivo della falsità: le ragioni che i personaggi adducono per le loro scelte sono, in realtà, fittizie e possono essere smascherate.
Un altro tema schopenhaueriano è quello (già darwiniano) del conflitto di tutti contro tutti. Secondo il filosofo tedesco, da esso provengono sia un’istintiva e tumultuosa volontà di vivere, sia, più in generale, il male inguaribile della vita sociale: una forza cieca muove gli esseri umani, angosciandoli in uno spreco di energia e di volontà mal finalizzata. Solo l’uomo geniale, colui che sa ritagliarsi uno spazio di contemplazione e riflessione, può sottrarsi alla condizione degli uomini comuni, che lottano per la sua supremazia individuale. E’ lo spunto che condurrà Svevo a idealizzare il personaggio del teorista che si apparta con indifferenza a esaminare la vita altrui, dal di fuori.

Domande inquietanti
Combinando Darwin con Schopenhauer, Svevo elaborò fin dal 1885-90, come documentano gli articoli pubblicati via via sull’indipendente, una propria sintesi intellettuale. Il mondo gli appare la sede di un inevitabile conflitto: ogni essere contende ai suoi simili il diritto all’esistenza; ciascuno è cacciatore e preda nel medesimo tempo. Ma tutto ciò non produce il bene dell’umanità, come ipotizzavano gli evoluzionisti, bensì una diminuzione della capacità vitale.
Svevo ritornerà su queste idee in saggi composti nel primo decennio del Novecento (come La teoria darwiniana e La corruzione dell’anima). In essi l’autore rileva il malcontento che ha preso la specie umana e l’ha spinta a trasformarsi per raggiungere il successo, a prezzo però della corruzione dei suoi impulsi vitali e migliori. Il punto di arrivo di questo processo non sarà forse, si chiede Svevo, l’epoca in cui il tempo si fermi e i suoi ordigni, opera della sua anima, non più si sviluppino?. Una domanda inquietante, che sembra preparare l’apocalittica profezia di distruzione della vita universale che chiuderà la Coscienza di Zeno.

L’influsso di Marx e l’incontro con Freud
L’apertura di Svevo ai nuovi fermenti ideologico-politici che si stavano sviluppando e diffondendo in Europa è testimoniata anche dall’interesse con cui egli lesse Karl Marx. In gioventù nutrì simpatie per il socialismo; nel romanzo Senilità (1898) tali simpatie vengono attribuite al protagonista Emilio Brentani, anche se con una punta d’ironia che è tipica di Svevo. Da Marx, in particolare, egli maturò una forte consapevolezza circa i riflessi che l’economia e i processi della produzione esercitano sulla psicologia e sui comportamenti individuali.
Un incontro decisivo fu poi quello con le nuove teorie psicoanalitiche. Svevo conobbe l’opera di Sigmund Freud nel 1910-11, con largo anticipo rispetto agli altri scrittori italiani; intorno alla dottrina freudiana strutturerà il suo capolavoro, La coscienza di Zeno (1923). Tuttavia, anche nei confronti della psicoanalisi Svevo mostra un atteggiamento fortemente critico: in una lettura privata egli affermò che essa è utile più come spunto letterario che non come strumento medico e terapeutico.

L’influenza della cultura ebraica
Da non dimenticare è poi l’influsso che provenne a Svevo dalle sue origini ebraiche. Benché egli non fosse credente né praticante, la cultura dei padri si rende presente in lui per due motivi:
anzitutto per l’atteggiamento arguto e tragico, fantasioso e realista, incline all’autoanalisi e all’ironia, tipico dei gruppi intellettuali ebrei della Mitteleuropa: con questo sentimento di fondo Zeno guarderà all’esistenza umana;
in secondo luogo per la sensibilità dell’uomo di pena, per usare le parole di Saba, poeta ebreo e anch’egli triestino. I protagonisti dei due primi romanzi sveviani vivono il dolore fino al suicidio o alla rinuncia alla vita; Zeno, il terzo protagonista, assume invece la sofferenza in modo critico, come strumento di conoscenza. L’epilogo di questo terzo romanzo pronostica infine che sarà il dolore del mondo intero a esplodere in un apocalisse generale.

Un intellettuale di profilo europeo
Riassumendo, il profilo culturale di Svevo appare ben più ampio e variegato rispetto a quello degli intellettuali italiani delle poca. La conoscenza delle lingue straniere gli consentì letture in lingua originale che lo resero realmente un intellettuale europeo: le sue idee e le sue scelte espressive appaiono vicine a quelle dei grandi autori della sua generazione (Robert Musil, Marcel Proust, James Joyce, Franz Kafka) che, come lui, avvertirono i limiti della mentalità e della cultura ottocentesche e che, come lui, esplorarono le zone della coscienza e dell’inconscio, aprendo la via al romanzo moderno e fornendo nuovi paradigmi di scrittura. Nelle sue opere Svevo narra l’impossibilità, tipica dell’uomo moderno, d’inserirsi nella società, e spiega come questo mancato inserimento derivi da motivazioni e disagi sia individuali o psicologici, sia determinati da fattori sociali ed economici (la lezione di Marx si sposa qui a quella di Schopenhauer). Svevo ha narrato, superando la forma di romanzo realtà elaborata dal Naturalismo, la fine dei grandi imperi e la crisi della borghesia, come pure la solitudine di piccoli uomini. In sostanza, la sua è una delle voce più alte dell’età della crisi e della letteratura che la testimonia.
Su queste basi, possiamo spiegarci l’incomprensione che a lungo lo circondò: la cultura italiana era troppo legata a modelli antiquati (tardo romantici, veristi, carducciani o dannunziani) per capire questo anomalo letterato dilettante, di formazione commerciale e non umanista, con i suoi radicali ripensamenti sull’uomo e sulla società, con la sua attenzione a svelare le menzogne, le falsità e gli autoinganni che spesso mascheriamo con scelte e ideali. L’ironia di Svevo, davvero insolita nella nostra tradizione, non poteva certo essere apprezzata dalla mentalità retorica e nazionalistica che il fascismo stava imponendo alla cultura italiana.



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