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Giovanni Pascoli: Onomatopee

Una figura di suono
L'onomatopea, o armonia imitativa, è una figura retorica che vuole riprodurre suoni o rumori, naturali e artificiali tramite gli strumenti della lingua, combinando vocali e consonanti nel modo più imitativo possibile.
L'onomatopea è una figura retorica di tipo simbolico, perché riecheggia il suono dell'oggetto o dell'azione che si intende designare.
E' onomatopea qualunque voce del vocabolario che conservi un'evidente intenzione mimetica rispetto al suono dell'oggetto significativo: un esempio è il verbo belare, costruito con l'aggiunta del comune suffisso -are alla voce onomatopeica bee, che trascrive il verso della pecora. Ma si possono coniare onomatopee più dirette, come, per esempio, quando si dice il tic tac dell'orologio: l'espressione tic tac è priva di significato proprio, e vale solo in quanto imita il suono prodotto dalle lancette dell'orologio stesso.
Attraverso l'uso dell'onomatopea, la comunicazione può assumere vigore o originalità inusuali; le onomatopee possono sottolineare l'adesione emotiva dello scrittore alla materia rappresentata; oppure creare uno spiccato effetto di verosimiglianza.

Uno strumento per il poeta fanciullo
Fin da Myricae Pascoli mostra di prediligere l'onomatopea: essa gli consente di riprodurre poeticamente i suoni che attraversano il mondo naturale, di cui egli celebra i valori estetici e morali. Le sue soluzioni più semplici e, insieme, più radicale sono onomatopee pure, come un gre gre di ranelle, un don don di campane. Molto frequenti sono poi i termini già esistenti nella lingua, ma usati da Pascoli a scopo imitativo, come ruzzola, rombo, rimbomba, trillo, tremule, tinnulo, sgrigiola, sussurro, sussulto.
In altri casi, l'unione di onomatopee e allitterazioni crea effetti più complessi:
<<Viene il freddo. Giri per dirlo / tu, sgricciolo, intorno le siepi; / e sentire fai nel tuo zirlo / lo strido di gelo che crepi. / Il tuo trillo sembra la brina / che sgrigiola, il vetro che incrina... / trr trr trr terit, tirit (da L'uccellino del freddo, in Canti di Castelvecchio). Qui, all'onomatopea del ritornello finale si accompagna l'armonia imitativa ottenuta con la ripetizione di alcuni suoni ricorrenti, e soprattutto delle /r/, che alludono al verso dell'uccellino infreddolito. Nella stessa lirica troviamo il neologismo scricchiolettio, o anche le voci dialettali scrio scrio, stiocchi, grecchia, termini che imitano i rumori prodotti dalla legna posta ad ardere nel focolare.
Infine, nell'ultima strofa di La mia sera (Don... Don... E mi dicono, Dormi! / mi cantano, Dormi! sussurrano, / Dormi! bisbigliano, Dormi! / là, voci di tenebra azzurra...) il verbo all'imperativo, che traduce il messaggio allusivo delle campane, nasce da una pura suggestione fonica emergente dalla realtà, e traduce una di quelle voci misteriose che parlano all'inconscio e lo riportano all'età fanciulla.



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