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Scrittori e poeti futuristi

Molti scrittori di quell’epoca, specie i più giovani e sperimentali, aderirono al Futurismo; ma si trattò di un’adesione quasi sempre temporanea. Uno di loro fu Corrado Govoni (1884-1965), incerto, all’inizio, tra Futurismo e Crepuscoliano. Del Govoni futurista si ricorda il libro Rarefazioni e parole in libertà (1915), nel quale il paro liberismo giunge talvolta alla poesia visiva. Invece Aldo Palazzeschi portò nel Futurismo, con i versi di L’incendiario (la prima stampa uscì nel 1910 per le edizioni di Poesia, il gusto dell’irrisione, l’eversione contro l’onorabilità borghese, le forme, dissacratorie e anche un po’ melanconiche, del saltimbanco, del clown.
Al Futurismo guardarono per qualche anno anche scrittori di ambienti vociano, in particolare Giovanni Papini (1881-1956) e Ardengo Soffici (1879-1964), i due fondatori della rivista Lacerba. Soffici auspicava che il Futurismo si fondesse con il Cubismo pittorico; nel 1915 pubblicò Bif&zf + 18, Simultaneità, Chimismi lirici, raccolta di paro liberismi e calligrammi (poesie visive) ispirate da Guillaume Apollineaire, uno dei protagonisti dell’avanguardia parigina. Poco dopo Soffici si spostò sulle posizioni classiciste della Ronda.
Più vicini al nucleo del Futurismo marinettiano altri autori, tra cui:

  • il milanese Paolo Buzzi (1874-1956), autore di Aeroplani (1909) e di Versi liberi (1913);
  • Enrico Cavacchioli (1885-1954), poeta e drammaturgo;
  • Omero Vecchi (1888-1966), conosciuto con lo pseudonimo di Luciano Folgore: nei versi liberi di Il canto dei motori (1912) celebrò la civiltà delle macchine; in Ponti sull'oceano (1914) macchine e velocità si rincorrono, nell'intento di accorciare ogni distanza, liberando l'inconscio;
  • l'estroso napoletano Francesco Cangiullo (1888-1977), imitatore del grottesco palazzeschiano (le cocottesche, 1912) e poi sperimentatore fonovisivo (parole + immagini) in Caffé concerto (1916, 1918) e in Poesia pentagrammata (1923).
I prosatori del Futurismo
Il Futurismo ebbe anche i suoi prosatori raccolti attorno alle riviste La Difesa dell'arte e Il Centauro. All'inizio essi si esercitano soprattutto nel genere del poemetto in prosa, già praticato da Rimbaud e altri simbolisti.
Si ebbe anche qualche prova interessante, come Retroscena (1915), un romanzo di Mario Carli (1888-1935): l'opera comincia narrando la scrittura di un romanzo; quindi si arresta e, per contestarne la falsità, ne offre un brano, presentando più avanti un'analitica ricostruzione delle fasi di elaborazione. Sembra di leggere un'anticipazione di certi libri di Borges o di Calvino, dove il farsi del romanzo si sposa con una riflessione critica in proposito.
Da ricordare è anche il romanzo sintetico Sam Dunn è morto (1915) di Bruno Corra (1892-1976), che narra una vicenda di medium e di psiche turbata. In seguito lo stesso Corra passò disinvoltamente dall'avanguardia alla scrittura di romanzi popolari.

Un bilancio del Futurismo
Il Futurismo italiano ebbe molti limiti: la violenza dei suoi proclami, le serate troppo gridate, l'approssimazione di certe proposte, che negavano la tradizione senza realmente conoscerla. Soprattutto, per realizzare il programma dei vari manifesti di Marinetti occorrevano veri artisti, mentre i futuristi rimasero, per lo più, dei comprimari.
Ciononostante, il Futurismo rimane un fenomeno degno del massimo interesse e che infatti continua a suscitare studi e analisi critiche. Ebbe intuizioni geniali e anche importanti realizzazioni, specie nell'ambito delle arti figurative, con Umberto Boccioni (1882-1916), Gino Severini (1883-1966), Giacomo Balla (1871-1958). Più in generale, fu una grande avanguardia storica, una di quelle che maggiormente influirono sulla letteratura e sulla cultura contemporanee.

Seconda generazione futurista
Protetta dal fascismo, l'avanguardia futurista finì, con il tempo, per smarrire la sua originale carica di contestazione. Nella nuova generazione di poeti futuristi, attivi dopo il 1920, si segnalano comunque alcuni autori, come Alceo Folicaldi (Nudità futuriste, 1933) e Farfa (pseudonimo di Vittorio Tommasini), che in Noi, miliardario della fantasia (1933) liberò un immaginario irridente, grottesco. Si ebbero anche sperimentazioni di aeropoesia (Aeropoema futurista della Sardegna di Gaetano Pattarozzi, 1939; Aeropoema futurista delle torri di Siena di Dina Cucini, 1943).
Le volontà del regime incombevano: i poeti futuristi dovettero darsi cantori del potere (come in Studenti fascisti cantano così di Emilio Buccafusca, 1936); alcuni intonarono l'estetica della guerra perfino durante la tragedia della Seconda Guerra mondiale (Bombardata Napoli canta di Piero Bellanova, 1943; A passo romano, 1943, di Fortunato Depero). Più interessanti i Testi-poemi murali (1944) di Carlo Belloli, che anticipavano la poesia concreta delle avanguardie post 1945.



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