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Italo Svevo scrive male?

Dopo aver conquistato la notorietà, dal 1927 in avanti, Svevo fu molto contestato dai critici per il suo stile, giudicato inadeguato e approssimativo. Le critiche si appuntarono sia sulla Coscienza di Zeno, sia soprattutto sui primi due romanzi. Ma per valutare se si tratta di critiche giuste, dobbiamo esaminare in quale situazione linguistica Svevo si trovò a vivere e a operare come scrittore.

Si trattava di una condizione simile a quella in cui si era trovato Manzoni quasi un secolo prima.
  • Sia Svevo sia Manzoni erano dialettofoni, parlavano cioè il dialetto per la comunicazione quotidiana e familiare: Svevo il dialetto triestino, affine al veneto, Manzoni il dialetto milanese.
  • Entrambi usavano invece una lingua straniera per gli usi sociali: Svevo usava il tedesco (a scopi burocratici e commerciali), Manzoni si serviva del francese per fini culturali.
  • Entrambi, infine scelsero l'italiano per la scrittura letteraria. Era una scelta dettata anche da finalità politiche: l'attaccamento alla letteratura italiana era tradizionale per la società triestina che si sentiva estranea al mondo asburgico, proprio come Manzoni aveva scelto l'italiano per i suoi Promessi Sposi, finalizzati a dare una comune patria linguistica a tutte le genti della penisola.
La scelta dell'italiano come lingua letteraria implicò per Svevo e Manzoni la necessità d'imparare l'italiano come si farebbe con una lingua straniera. A tale scopo Manzoni nel 1827 dimorò alcuni mesi in Toscana; Svevo s'immerse intorno al 1880-85 nei libri della Biblioteca Civica di Trieste. Altri concittadini di Svevo sceglieranno come lui la professione di scrittori, come Slataper e Saba: essi però avranno avuto la possibilità di recarsi a Firenze per impratichirsi nel toscano. Invece Svevo poté contare su una preparazione scolastica di tipo solo tecnico commerciale (appresa in tedesco) inoltre dovette iniziare presto a lavorare. Non poté dunque conoscere il toscano di prima mano.

Tale lacuna ha ripercussioni evidenti nelle sue opere, soprattutto per due aspetti:
  1. le incertezze morfosintattiche: spesso Svevo usa in modo scorretto alcune preposizioni in espressioni che sono calchi dal tedesco (per esempio: Sarebbe stato di dire perché... Attraverso al pensiero nobilante di Amalia ecc.);
  2. le incertezze lessicali: da qui il suo vocabolario ora arcaicizzante (per esempio: i portati per i doni, adusti per inariditi, aggradevoli per gradevoli ecc), ora sciatto e povero (continuammo a succhiellare, termine gergale per sfogliare le cartelle).
Tuttavia Svevo non era affatto un illetterato o uno scrittore ingenuo o naif. Soprattutto al tempo della Coscienza di Zeno avrebbe potuto scrivere in modo più elegante o letterario; ma non volle mai ripulire in profondità la lingua della patina di dialettalismi e arcaismi. In sostanza, scelse di scrivere male, o meglio, di utilizzare quello che Montale chiamò uno stile commerciale. Sempre Montale però si accorse che quel linguaggio era il solo che fosse connaturale ai suoi [di Svevo] personaggi. La neutralità e piattezza stilistica erano per Svevo un mezzo di sincerità, di adesione ai contenuti.
La sua prosa scialba e uniforme intendeva infatti riprodurre la banalità e la monotonia della psicologia e della vita dei suoi personaggi: il vocabolario è povero perché è povera l'esistenza interiore di chi lo parla.
Si rivela qui quella scelta di realismo che è il fondamento della poetica sveviana: una scelta vicina a quella compiuta, negli stessi anni, da Pirandello, un altro prosatore che preferisce la sobrietà a qualsiasi affettazione e magniloquenza.

Va perciò preso con prudenza quanto Zeno affermerà nella Coscienza, scusandosi per il suo brutto italiano: Una confessione per iscritto è sempre menzognera. Con ogni nostra parola toscana [cioè di buona forma letteraria] noi mentiamo! Se egli [lo psicanalista] sapesse come raccontiamo con predilizione tutte le cose per le quali abbiamo pronta la frase e come evitiamo quelle che ci obbligherebbero di ricorrere al vocabolario!
Si capisce come la nostra vita avrebbe tutt'altro aspetto se fosse detta nel nostro dialetto. L'osservazione di Zeno è uno degli infiniti sotterfugi dietro cui egli si nasconde per mascherare e mistificare la realtà: Zeno utilizza cioè la propria (pretesa) scarsa padronanza della lingua per giustificare preventivamente le proprie bugie.



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