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Lucca - Ungaretti: spiegazione, analisi e commento

Appunto di letteratura riguardante la poesia "Lucca" di Giuseppe Ungaretti: testo, spiegazione, analisi del testo, figure retoriche e commento.
Piazza dell'Anfiteatro di Lucca

La poesia "Lucca" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti nel 1919 e fa parte della raccolta L'allegria.



Indice




Testo

A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario, mia madre
ci parlava di questi posti.
La mia infanzia ne fu tutta meravigliata.
La città ha un traffico timorato e fanatico.
In queste mura non ci si sta che di passaggio.
Qui la meta è partire.
Mi sono seduto al fresco sulla porta dell'osteria con della gente
che mi parla di California come d'un suo podere.
Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone.
Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei miei morti.
Ho preso anch'io una zappa.
Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere.
Addio desideri, nostalgie.

So di passato e d'avvenire quanto un uomo può saperne.
Conosco ormai il mio destino, e la mia origine.
Non mi rimane che rassegnarmi a morire.
Alleverò dunque tranquillamente una prole.
Quando un appetito maligno mi spingeva negli amori mortali, lodavo
la vita.
Ora che considero, anch'io, l'amore come una garanzia della specie,
ho in vista la morte.



Analisi del testo

È una poesia in prosa, caratterizzata da un testo molto lungo in cui le frasi sono brevi e schematiche grazie alla punteggiatura, ma rispetto alle sue poesie più ermetiche, questa presenta versi più articolati e collegati fra loro.

Non vi sono rime e manca l'intestazione diaristica tipica di molte composizioni di Ungaretti, con l'indicazione del luogo e della data.

Viene fatto un frequente uso di aggettivi possessivi che svelano il forte legame che il poeta avverte con le tematiche trattate. Ciò che racconta è la sua reale esperienza e non il frutto di qualche vaga immaginazione. Inoltre se nella prima parte del testo compaiono parole rustiche e semplici come "zappa", "rosario", "madre", "città" e "osteria"; la seconda parte è caratterizzata da uno slancio poetico concentrato sull'interiorità del poeta e, quindi, compaiono termini più sofisticati ("nostalgie e desideri", "appetito maligno", "amori mortali") e tematiche più concettuali e profonde (amore, destino, morte).

La città è spesso caratterizzata da aggettivi di accezione negativa ("Timorato e fanatico") o termini che richiamano alla semplicità della vita campestre ("zappa", "prole").



Figure retoriche

Ossimoro = "timorato" e "fanatico" (v. 4).

Similitudine = "come d'un suo podere" (v, 8).

Ossimoro = "passato" e "avvenire" (v. 14).

Similitudine = "come una garanzia della specie" (v, 20).

Enjambements = vv. 1-2; 7-8; 18-19.



Commento

Nel testo Ungaretti descrive Lucca, città natia dei suoi genitori, ma non la sua perché egli è nato in Alessandria d'Egitto.
Il testo si apre con un ricordo d'infanzia: dopo aver cenato tutti insieme e dopo aver recitato il rosario, la madre del poeta era solita raccontare al figlio di come era la città lucchese e che poi dovette lasciare per andare a lavorare in Egitto, dove Ungaretti nasce e trascorre la sua prima infanzia. Alessandria d'Egitto era una città nella quale fatica a riconoscersi e identificarsi. Invece, Lucca, descritta amorevolmente come una sola madre sa fare, affascinava il piccolo Ungaretti al punto che si ritrovava ad immaginare la fisicità della città, con le sue mura ed il traffico, e si immaginava lui stesso in quelle mura.
Un giorno (al termine della Prima Guerra Mondiale) Ungaretti, che si trova in una fase molto significativa della sua vita (scosso dal dolore), decide di recarsi nella città che ha visto nascere i suoi genitori (Lucca), con la speranza di ottenere un cambiamento o una maturazione, e si scopre simile alla gente che lo circonda. I lucchesi di cui parla Ungaretti sono persone molto semplici, che ben poco hanno conosciuto al di là della propria esistenza paesana (non sanno dove sia o addirittura cosa sia la California).
Questo pensiero gli piace e allo stesso tempo lo turba: da un lato si sente parte di questo mondo contadino e si immagina con la zappa, ma dall'altro questo pensiero lo terrorizza.
Il terrore che prova Ungaretti nasce dal fatto che lui si è sempre considerato senza patria, come un viandante che aspira al ritorno a casa, invece, in questo modo egli sa di avere radici toscane e contadine e, lo riscoprire le proprie radici, significa per lui essere diventato vecchio. Quando Ungaretti scrisse questa poesia aveva solo trent'anni, e il fatto che questo aspetto lo facesse sentire vecchio lo terrorizzava.
Giungendo nella patria tanto ricercata, il poeta si ritrova costretto ad abbandonare nostalgie e desideri passati. L'insoddisfazione di questa scoperta lo obbliga a cambiare il suo stile di vita con triste rassegnazione. Il futuro e il destino si tramutano in momenti di morte, di cambiamento e di distacco dai desideri e dai sogni giovanili diventando una routine priva di interesse e di stimoli. Anche il concetto di amore è costretto a trasformarsi: all'appetito maligno che lo spingeva negli "amori mortali" sostituisce un rapporto amoroso concepito unicamente come mezzo per dare vita alle generazioni future.
Per questo si sente pronto ad "allevare tranquillamente una prole" e a diventare "un'origine", così come i suoi antenati lo sono stati per lui. Si rende conto che il destino e il futuro non sono un'incognita misteriosa ma la semplice continuazione della vita cittadina, e che bisogna abbandonarsi alla quotidianità come qualcosa di inevitabile e di giusto.
Lo stato d’animo che si può cogliere nei versi finali è di pace e rassegnazione, serenità e mancanza di turbamento. Ora il poeta ha ricostruito le dinamiche della propria esistenza, conosce la sua origine e il suo destino, l’inizio e la fine, e può abbandonarsi all’idea della morte.



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