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Purgatorio canto 30 Analisi e Commento

Apparizione di Beatrice, illustrazione di Gustave Doré

Analisi del canto

Il canto dell'incontro con Beatrice
In questo canto trova realizzazione un momento cruciale e solenne dell’intera vicenda. L’incontro con Beatrice porta a compimento la principale tensione narrativa che ha sostenuto Dante nel viaggio dal secondo canto dell’Inferno, e segna il passaggio dall’esperienza ancora terrena dei primi due regni dell’oltretomba a quella delle sublimi verità celesti.
Il senso di questo scarto ideologico è marcato fortemente da un altro fondamentale elemento di struttura: la scomparsa di Virgilio e il sopravvenirgli di Beatrice come guida di Dante per la definitiva purificazione e per l’ascesa al Paradiso.
L’episodio dell’incontro con Beatrice, che nella sua prima fase occupa questo intero canto e il successivo, concentra su di sé tutti i motivi della sequenza: l’allegorico, l’autobiografico, il morale


Il tema allegorico
L'apparizione di Beatrice si innesta direttamente nella grande rappresentazione allegorica della processione mistica descritta nel canto precedente: sul carro trionfale, fermatosi proprio di fronte a Dante, ella si svela tra invocazioni e voli d'angeli. Il primo valore simbolico di Beatrice è quello di immagine di Cristo; il suo avvento ricalca per dichiarata analogia la discesa di Gesù alla fine del mondo, nel giorno del Giudizio universale, e l'equazione è confermata da citazioni evangeliche (cfr. v. 19) e da dettagli nella raffigurazione (cfr. nota ai vv. 31-33). II secondo significato allegorico di Beatrice — quello sostanziale —è di «figura», personificazione della Teologia che si fa tramite fra l'uomo e Dio: da qui la sua posizione al centro del carro della Chiesa — che ne è la depositaria la sua autorità nella conoscenza delle verità celesti — per la quale lei sola potrà essere guida a Dante in Paradiso —, e la sua severità rispetto ai comportamenti morali.


Il tema autobiografico
I personaggi di Beatrice e Dante sono rappresentati su piani molto diversi e distanti: lei come raffigurazione di teologica spiritualità, lui palpitante di emozioni sentimentali. Attraverso l'invenzione e l'esperienza letteraria, Dante si riunisce qui con la donna di cui fu innamorato fin da tenera età, e che ricolmò poi di significati estetici, culturali e ideologici (cfr. d'antico amor sentì la gran potenza, v. 39; e conosco i segni de l'antica fiamma, v. 48). La trepidazione, l'estasi d'amore di questi versi costituiscono il riferimento autobiografico più forte e commovente del poema, poiché riuniscono il significato di una vita e danno motivazione esistenziale all'impresa poetica.
In questa dimensione affettiva del canto (senza dimenticare che la poesia della Commedia ha comunque sempre diversi livelli di interpretazione) rientra l'episodio della tacita scomparsa di Virgilio, che suscita il breve ma intenso moto di dolore di Dante (vv. 40-54).


Il tema morale
Le prime parole di Beatrice sono di aspro rimprovero a Dante per la sua condotta di vita: egli sprecò le virtù innate e si dimenticò di lei nonostante i continui richiami. Viene così tracciata la biografia morale del poeta, che si scioglie ora nel pentimento e nel pianto che costituiscono il primo atto del rito della confessione — il momento della «contrizione» —, indispensabile per purificare l'anima e rendersi degno di salire al cielo. Beatrice non è mossa a pietà, nonostante la compassione degli angeli (vv. 9499), poiché il male compiuto deve essere scontato secondo la superiore giustizia divina, con scotto/di pentimento che lagrime spanda (vv. 144-145), cioè pagandone il prezzo di calde lacrime.


Una scrittura da paradiso
Da quando Dante giunge nel Paradiso terrestre, e quindi in una realtà di perfezione spirituale, le forme espressive mutano in corrispondenza dei contenuti, e assumono caratteristiche che anticipano la scrittura del Paradiso. Si tratta in particolare di scelte stilistiche e lessicali che hanno la funzione di elevare i toni del discorso, per adeguarli alla nobiltà e alla sacralità degli argomenti. Ne abbiamo due significativi esempi in questo canto:
  • l'incipit astronomico; secondo un modello che si affermerà nella terza cantica, l'esordio del canto è costituito da una serie di riferimenti e allusioni astronomiche di non immediata comprensione, e che spesso hanno la funzione di arricchire intellettualmente delle semplici indicazioni narrative: in questo caso, il fermarsi della processione;
  • le citazioni dotte e i latinismi; si tratta soprattutto di citazioni scritturali e liturgiche, che vogliono sottolineare la sacralità della situazione narrata (cfr. vv. 11, 17, 19-21, ecc.). Rientrano nella stessa strategia i calchi dall'Eneide (cfr. v. 48), gli autoriferimenti alla Vita nuova (cfr. vv. 28-33 e 115) e i latinismi (cfr. la basterna al v. 16).



Commento

Beatrice
Il canto XXX del Purgatorio è il luogo della riconciliazione, dell'incontro fatale in cui Dante ritrova il suo Amore, nella luce beatifica di Dio. Dante rivede Beatrice dopo molto tempo e non può che esclamare, ancor prima di identificarne le fattezze: conosco i segni de l'antica fiamma (v. 48). Umano e divino, in questo, caso, si integrano a creare una nuova fiamma d'amore, che cattura e salva. Beatrice è il sogno ritrovato e lì, nel Paradiso terrestre, il suo incontro è l'anticipazione di una promessa che presto si realizzerà; la conquista del Paradiso.
Beatrice, la Teologia, la rivelazione cristiana da lei simboleggiata nel sistema religioso-filosofico-esistenziale di Dante, sarà la nuova guida del poeta, la compagna di un viaggio condiviso. Ma Beatrice è anche la donna amata, quella figura femminile che, lasciata in giovinezza ne La Vita Nova, il poeta ritrova nella maturità della Commedia. Beatrice è morta e non ci sono più i suoi occhi a confortare Dante. Ma, nel momento della disperazione totale, il sogno nascosto nel profondo ha ritrovato la via per manifestarsi, comparendo di nuovo nella dimensione della vita ed è riapparso improvviso, inaspettato, salvifico (cfr. Inferno, canto II). Ora qui, nel Paradiso terrestre, si è tramutato in vera e propria realtà: lì, davanti a Beatrice, Dante non può che ribadire lo sconvolgimento interiore che prova alla vista della magnifica donna. Lei, ferma sul fianco vicino al carro, di fronte al tremore della passione che investe il poeta, si erge a giudice impassibile. Quello a cui assiste il lettore non è l'abbraccio fra due amanti né l'incontro di due sguardi, ma la scena di un solenne rimprovero in cui la donna amata formula accuse precise. Dante piange perché non vede più Virgilio, ma, ancor di più, per la dura requisitoria di Beatrice. Prima, però, appare un cuore di pietra. La passione travolgente, bloccata dalla durezza di Beatrice, forma un pezzo di ghiaccio nel cuore di Dante e solo la possibilità di accedere al perdono avvia il progressivo scioglimento emotivo che sfocerà nel pianto. Eppure l'atteggiamento di Beatrice è proprio dettato dall'amore, da quel bene velle (dal latino, "voler bene") che il poeta Catullo non poteva più concedere a Lesbia, l'amante colpevole di adulterio. Il "voler bene", per il poeta latino, è quello del padre per i figli e per i generi, non l'attrazione fisica fine a se stessa che prova per Lesbia; qui, sulla cima della montagna del Purgatorio, è tutto un voler bene. Beatrice intende portare Dante con sé nella beatitudine di Dio e sa che, per giungervi, il suo amico non de la ventura ha bisogno di compiere un percorso di conoscenza di sé e di pentimento. Non c'è più la fanciulla eterea che ammicca al poeta strappandogli un sospiro ineffabile , c'è invece la donna che attua tutti i mezzi per realizzare il bene del suo amore. L'immagine tuttavia della donna che stempra, cioè consuma Dante, vela allegoricamente la teologia cristiana del pentimento: il pianto è la sanzione dell'abbandono di un passato di colpa e dell'inizio di una nuova vita.


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Purgatorio canto 29 Analisi e Commento

I ventiquattro vecchi, illustrazione di Gustave Doré

Analisi del canto

Il tema allegorico: la processione dell'Eden
Il canto costituisce una delle più classiche pagine di rappresentazione allegorica medievale: il topos letterario della processione, in cui con immagini concrete e riprese da testi sacri (qui in particolare l’Apocalisse di S. Giovanni) si simboleggiano e si dispongono in un preciso ordine gli elementi fondamentali della religione cristiana. Essenziale, per la comprensione e l’interpretazione del canto, è decodificare i significati dei singoli simboli:
  • i sette candelabri: i sette doni dello Spirito Santo (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio);
  • i dieci passi che distanziano le liste di luce lasciate dai candelabri:i dieci comandamenti la cui osservanza concede i doni dello Spirito Santo;
  • i ventiquattro vecchi: i ventiquattro libri della Bibbia;
  • i quattro animali, ognuno con sei ali e con le penne maculate come da tanti occhi, coronati da una fronda verde: i quattro Vangeli, che si diffondono rapidi, sono onniveggenti e durano in eterno;
  • il carro trionfale: la Chiesa;
  • le ruote del carro: l’Antico e il Nuovo Testamento (o la vita attiva e contemplativa);
  • il grifone che trascina il carro: Cristo;
  • le tre donne alla destra del carro: le tre virtù teologali (Fede, Speranza e Carità);
  • le quattro donne alla sinistra del carro: le virtù cardinali (Giustizia, Fortezza, Prudenza e Temperanza);
  • i due vecchi dietro il carro: gli Atti degli Apostoli e le Epistole di S. Paolo;
  • i quattro vecchi di umile aspetto: le Epistole canoniche di S. Pietro, S. Giacomo, S. Giovanni e S. Giuda;
  • il vecchio solo e addormentato: l’Apocalisse di S. Giovanni.

La maestosa rappresentazione allegorica, che vive ovviamente della descrizione poetica dei vari elementi, si ispira all’immagine delle processioni dei trionfi romani. Il dato più notevole è l’importanza attribuita già qui alle Sacre Scritture come base della Chiesa: la sospensione che si crea proprio alla fine del canto, con il carro che si ferma di fronte a Dante, prepara infatti all’apparizione di Beatrice, simbolo della Teologia, cioè delle conoscenze umane rispetto al divino, rese possibili attraverso la rivelazione dei testi sacri.


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Scioglilingua napoletani: più belli e famosi


Gli scioglilingua sono giochi di parole (anche frasi più o meno lunghe) che risultano difficili nella pronuncia e nella comprensione orale. A volte sono così difficili da capire da avere la sensazione di star sentendo una lingua straniera. Dovete sapere che esistono scioglilingua per ogni lingua del mondo: italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo... non potevano di certo mancare quelli nella lingua napoletana!

In questa pagina trovate una raccolta di scioglilingua napoletani, e a seguire la relativa traduzione letterale italiana. Vedi anche gli scioglilingua siciliani.



Gli scioglilingua napoletani

'A batessa 'e Pirepilessa venette a Nàpule sentì' messa, se vutaie 'a batessa 'e Nàpule 'nfaccia â batessa 'e Pirepilessa Pecchè si benuta a Nàpule a sentì' messa, Pecchè a Pirepilessa nun ce stanno messe?
La badessa di Pirepilessa venne a Napoli a sentir messa, si voltò la badessa di Napoli verso la badessa di Pirepilessa: Come mai sei venuta a Napoli per sentir messa, perchè, a Pirepilessa non ci sono messe?


A ccuoppo cupo poco pepe cape, E ppoco pepe capo a ccuoppo cupo.
In cartoccio stretto entra poco pepe, e poco pepe entra in un cartoccio stretto.


A tacco curto, e pure curto tacco, e pure curto tacco a tacco curto.
A tacco corto, e pure corto tacco, e pure corto tacco a tacco corto.


Chi porta 'o puort 'e porte aperte, parte d'o puort.
Chi si reca al porto e trova le porte aperte parte dal porto.


'Into a tre casce cascette casciune: stanno tre lazze lazziette lazziune.
Dentro tre casse cassette cassoni: stanno tre lacci laccetti laccioni.


Jenno, venenno, mellune cuglienno; a ddenocchiune cuglienno mellune.
Andando, venendo, cocomeri raccogliendo: in ginocchio raccogliendo cocomeri.


L'Abbatessa de Mineminessa è bbenuta a Nnapole a sentì messa: ha dato no càucio ncopp''a la fossa; comme maje meza messa fosse, e comme maje meza fosse messa.
La Badessa di Mineminessa è venuta a Napoli a sentir messa: ha dato un calcio sulla fossa; come mai fosse mezza messa, e come mai mezza fosse messa.


Lo munno monna.
Il mondo spoglia.


Lu princepe de Caiazzo, venette a Nàpule p'accattà' tazze. Se vutaie Nàpule e Cajazzo, ca a Caiazzo nu' ce stanno tazze, ca lu princepe de Caiazzo va a Nàpule p'accattà' tazze.
Il principe di Caiazzo, venne a Napoli per comprare tazze. Si girò Napoli e Caiazzo, ché a Caiazzo non ci sono tazze, che il principe di Caiazzo va a Napoli per comprare tazze.


Nnanze Palazzo nce sta 'na capo de cane pazzo; dàlle mazze e pane a 'sta capo de pazzo сапe.
Davanti al Palazzo c'è una testa di cane pazzo, dagli busse e pane a questa testa di pazzo cane.


Nun t'acala' che m'acale i', si tu t'acale io nun m'acala.
Non abbassarti, mi abbasso io, se ti abbassi tu , non mi abbasso io.


'O pane 'e Puzzulo è scarzo e crudo e chello 'e Palazzo è crudo e scarzo.
Il pane di Pozzuoli è scarso e crudo e quel di Palazzo è crudo e scarso.


Paro para piglie, e para piglie paro.
Un pari prende una pari, e una pari prende un pari.


Pascale spaccaje a capa a me, io nun riesci e spacca' a capa a Pascale.
Pasquale mi spacco' la testa, ma io non sono capace di spaccarla a lui.


P’a via ‘e Pavia, Pav’ia.
Sulla strada per Pavia, pago io.


Ràlle 'rì 'ra' cà rì 'ra' ll'jà rà.
Dagli due w:grano (moneta)grani che due grani gli hai da dare.


Sotto nu' palazz c'è stàn tre cap e can pazz, na cap e can pazz e uno, na cap e cane pazz e due, na cap e cane pazz e tre.
Sotto un palazzo ci stanno tre teste di cane pazzo, una testa di cane pazzo uno, una testa di cane pazzo due, una testa di cane pazzo tre.


Tre casce, tre frezze, tre còfene 'e munnezza; tre casce 'ncasciate, tre còfene 'ncufanate; tre frezze 'nfrezzate.
Tre casse, tre frecce, tre corbelli di spazzatura; tre casse incassate, tre corbelli incorbellati, tre frecce infreciate.


Tre tàz a strèt in' da tre strèt taz.
Tre tazze strette in tre strette tazze.
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Purgatorio canto 28 Analisi e Commento

Il fiumicello, illustrazione di Gustave Doré

Analisi del canto

Il canto di Matelda
È una tappa decisiva nel progredire di Dante verso la purificazione, verso Beatrice e verso la beatitudine. Ha raggiunto infatti la divina foresta del Paradiso terrestre, luogo della perfezione naturale e vetta del Purgatorio; e qui avviene l'incontro con Matelda, ultimo tramite a Beatrice. II canto, dopo l'introduzione descrittiva del luogo, consiste interamente nell'incontro fra Dante e Matelda, dove si intrecciano valori simbolici e rituali (la stessa Matelda, il fiume Letè, ecc.), dati strutturali sulla natura dell'Eden, ed emozioni liriche (la figura femminile, l'idillio naturalistico, ecc.). Il discorso prende spunto ancora una volta da un dubbio di Dante: la presenza del vento e del fiume nel Paradiso terrestre sembra in contraddizione con la natura del luogo, che dovrebbe essere incontaminato da qualunque perturbazione atmosferica. Da qui deriveranno gli altri motivi intellettuali del canto.


Il paradiso terrestre
La rappresentazione dell'Eden costituisce un tema centrale di mitologia sacra e di tradizione culturale. In ambito religioso significa il recupero della purezza primigenia nel luogo creato da Dio per l'uomo. Dal punto di vista antropologico, riproduce la natura idillica del mito delle origini, della «età dell'oro», tramandato da tutte le culture antiche e ricordato qui dalla stessa Matelda (vv. 139-148). Il Paradiso terrestre di Dante riporta tutti i tratti idillici del naturalismo mistico: il profumo e i colori dei fiori, l'alito dolce e costante della brezza, il delicato fruscio delle foglie, il canto degli uccelli, l'acqua limpida e fresca, la germinazione spontanea delle piante. Il locus amoenus della cultura classica, il luogo dello stato felice di natura, diventa il luogo eletto / a l'umana natura (vv. 77-78).


La figura di Matelda
Protagonista di questo e del canto successivo, Matelda, è stata prefigurata come immagine e come simbolo dalla Lia del sogno di Dante nel canto precedente; a sua volta, è in qualche modo prefigurazione di Beatrice, alla quale ella accompagnerà il poeta. Molti i significati allegorici a lei attribuiti; il più convincente è quello che rappresenti la vita attiva che conduce l'anima alla santità: vita attiva moralmente e intellettualmente, così da essere in grado di fornire a Dante le spiegazioni richieste, di prepararlo all'avvento di Beatrice e di guidarlo all'immersione purificatrice nel Letè e nell'Eunoè.


Il tema strutturale
La spiegazione di Matelda sulla presenza di fenomeni naturali nel Paradiso terrestre — il vento e i fiumi — ripropone il mito delle origini cristiane e la visione cosmologica dantesca. L'Eden si pone come spazio miracoloso a metà fra il divino e l'umano, prodotto della natura metafisica e fisica della creazione; per la cultura medievale è un luogo realmente esistito, per cui nel costruirlo poeticamente è necessario il rigore logico e teologico che permetta di inserirlo nelle strutture ordinate dell'universo. Matelda imposta infatti il suo discorso secondo i criteri della Scolastica: si parte dall'assioma della creazione divina (vv. 91-93) con la condanna della corruzione umana (vv. 94-96); segue la descrizione della struttura fisica del luogo che spiega il fenomeno del vento e della vegetazione spontanea in rapporto al moto dei cieli (vv. 97-120); quindi svela l'origine metafisica delle sue acque, indicandone le virtù miracolose (vv. 121-133); infine riconduce la realtà dell'Eden alle intuizioni divinatorie della poesia (vv. 134-148).


Dalla selva oscura alla foresta spessa e viva
Nel canto sono presenti tre elementi di forte carica simbolica: la divina foresta spessa e viva (v. 2), il fiume Letè che impedisce di proseguire (vv. 25-27) e l'incontro con Matelda (vv. 37 sgg.). Sono tre oggetti narrativi che segnalano l'arrivo di Dante a una tappa decisiva: si conclude qui il viaggio nei regni del peccato e dell'espiazione — che conservano le tracce della vita terrena —, e inizia il pellegrinaggio nel mondo delle realtà divine. A sottolineare il senso di un'esperienza che si conclude, ci sono i rimandi alle simmetriche situazioni che avevano determinato l'inizio del racconto, nella cantica infernale: la selva oscura in cui Dante si trova smarrito nel primo canto, il fiume Acheronte del terzo canto, e l'incontro con Virgilio .


La raffigurazione di Matelda
Due tipologie stilistiche caratterizzano il canto: nella prima parte quello bucolico di tradizione classica, per descrivere la natura idillica dell'Eden; nella seconda quello razionalistico dell'esposizione teologico - scientifica. Al centro c'è Matelda, raffigurata da Dante con speciale varietà di motivi formali. Tra questi, risaltano la ripresa del modello provenzale della «pastorella» — diffuso anche fra i poeti dello Stil Novo—, e la ricchezza di similitudini per esaltarne la grazia ( vv. 37-41, 49-51, 52-57, 64-66).



Commento

Matelda e la critica 
Il canto si avvia con toni dolci, in un'esultanza della natura, tanto più sentita quanto più sommessa, come si conviene a chi sta per conquistare il sovrumano, ma ha gli occhi e il cuore ancora colmi delle dolcezze terrene. Così Dante, dopo aver provato l'orrore del male (l'Inferno) e aver espiato le proprie colpe (Purgatorio), può ritornare allo stato di purezza dell'uomo prima del peccato originale e aspirare alla piena felicità. Essa è vicina ma ancora irraggiungibile: Matelda è lì viva ma distaccata, poiché tre passi di acqua la separano da Dante. L'apparizione di Matelda è già prefigurata nel sogno di Dante (Purgatorio, XXVII, vv. 94-108) in Lia, simbolo, per gli esegeti della Bibbia, della vita attiva, ossia della felicità che è possibile raggiungere in terra, mentre sua sorella Rachele, bellissima ma sterile, è simbolo della vita contemplativa, ossia della beatitudine eterna, probabile prefigurazione di Beatrice. Matelda è creatura tanto attraente quanto misteriosa, oscillante tra il sogno e la realtà, tra la bellezza e la felicità terrena da una parte e la tensione verso la beatitudine eterna dall'altra, bella donna ma anche simbolo. La sua apparizione in uno scenario che è tutto una festa dei sensi, ne esalta la bellezza (sembianti), l'armonia della voce e la delicatezza dei movimenti, ma, proprio quando il terreno sembra prevalere sul divino, ecco Matelda assumere la funzione che le è propria e diventare guida, svelatrice di misteri, anello di congiunzione tra Virgilio (ragione umana) e Beatrice (rivelazione). È perciò che può essere messa in corrispondenza con San Bernardo, che, alla fine del Paradiso, conduce Dante alla visione di Dio. Bella donna e simbolo, rivelatrice e svelatríce, perfetta consonanza tra apparire e sentire (sembianti che soglion esser testimon del core), Matelda è la figura centrale del canto, il punto di congiunzione fra la prima parte, vivace e armoniosa, e la seconda, concettosa e tecnica, colei che, nella sua duplice realtà, realizza la profonda unità dell'ispirazione dantesca. Matelda può essere identificata col personaggio storico di Matilde di Canossa, come fecero quasi tutti gli antichi commentatori della Commedia ai quali Bruno Nardi, nel suo famoso saggio sul canto XXVIII del Purgatorio, restituì attendibilità; ma essa è anche simbolo della vita attiva, anticipazione della vita contemplativa (Beatrice). In questo senso sembra condurre anche il nome Matelda, che, deriverebbe da mathematica (arte) più Eden (gioia), per cui "gioia nell'arte" o "arte tra la gioia", quindi vita attiva nel Paradiso terrestre. Secondo altri il nome sarebbe un anagramma di ad laetam. Certamente Matelda, creatura ridente e amorosa, può simboleggiare sia la condizione di felicità dell'uomo preesistente al peccato originale, sia la riconquistata felicità dopo il peccato originale attraverso il pentimento e la purificazione. Al di là del suo significato simbolico, resta nella memoria come una figura femminile fascinosa, suggestiva insinuazione della divina piacevolezza dell'Eden.


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Purgatorio Canto 27 - Analisi e Commento

Lia, illustrazione di Gustave Doré

Analisi del canto

Dal purgatorio al paradiso
È un canto chiave nella struttura del Purgatorio, poiché segna il passaggio dal regno della penitenza al Paradiso terrestre, luogo di diversa natura anche fisica, dove avverrà l'incontro di Dante con Beatrice. A segnare questa eccezionalità sono gli elementi allegorici che lo caratterizzano, e che si possono riassumere in tre momenti: il passaggio del fuoco, il sogno di Dante, le ultime parole di Virgilio.


Il passaggio del fuoco
L'episodio occupa la prima parte del canto (vv. 1-57): i poeti, ancora sulla settima cornice, devono superare il muro di fiamme per raggiungere la scala che porta alla vetta del colle. Due sono i motivi più evidenti del brano:
  • motivo allegorico: le fiamme rappresentano lo strumento di universale purificazione per tutti coloro che desiderano salire alla beatitudine; le esortazioni di Virgilio a Dante rappresentano le convinzioni razionali che inducono al bene, cui però si contrappongono le istintive debolezze e paure simboleggiate dall'esitazione di Dante;
  • motivo psicologico: il valore simbolico dell'episodio è arricchito dalla dimensione affettiva con cui viene vissuto (e narrato) da Dante, prima terrorizzato, poi ostinatamente recalcitrante alle esortazioni di Virgilio, ma infine entusiasta all'annuncio dell'imminente incontro con Beatrice.


Il sogno di Dante
Sorpresi dalla notte lungo le scale che salgono al Paradiso terrestre, i poeti si addormentano sugli scalini. È la terza notte che trascorrono in questo secondo regno dell'oltretomba, e coincide con il terzo sogno di Dante, dopo quello nel canto ix dell'aquila e quello della femmina balba nel canto xix. È un sogno sereno, che si raccoglie nell'immagine luminosa di una landa fiorita e di una bella fanciulla, Lia, che intreccia ghirlande cantando e parlando della sorella Rachele. Si tratta di un sogno di facile interpretazione allegorica: Lia, simbolo della vita attiva, cui si affianca Rachele, tradizionale simbolo della vita contemplativa, sono le due figure bibliche (la loro vicenda è narrata in Genesi) che rappresentano i due aspetti della santità di vita. Ma Lia è anche prefigurazione di un'altra figura femminile che apparirà direttamente agli occhi di Dante nel canto successivo, cioè di Matelda.


Le ultime parole di Virgilio
Negli ultimi versi del canto (vv. 124-142) Virgilio parla per l'ultima volta. Egli rappresenta la ragione umana, non più in grado di guidare il viaggio, poiché nel regno della beatitudine solo la Teologia (cioè Beatrice) può chiarire le verità divine.


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Vivi e lascia vivere - Significato


Vivi e lascia vivere è un noto proverbio italiano parecchio utilizzato anche ai giorni nostri. A differenza di altri proverbi il cui significato risulta facile e immediato, questo lascia dei dubbi circa il suo significato: "vivi e lascia vivere" viene usato in senso negativo o positivo?



Significato

Il proverbio sta a significare che bisogna vivere la propria vita senza infastidire gli altri con un comportamento invadente e critico.

Questo proverbio è necessario perché troppa gente ormai crede di avere il diritto di decidere cosa sia giusto e cosa sbagliato non solo per se stessi ma anche per gli altri, anche quando nessuno glielo ha chiesto. Ognuno deve vivere la propria vita e avere la libertà di fare delle scelte.
Si possono dare dei buoni e saggi suggerimenti, ovviamente, ma non si deve per forza far valere la propria opinione quando questi rifiutano il consiglio. L'importante è in questi casi avere la coscienza pulita, quella di chi ha fatto il possibile per fare la cosa giusta, ma quando questa non viene ascoltata la cosa migliore da fare è non andare oltre, altrimenti si finisce per diventare irritanti, ma vivere la propria vita e lasciarla vivere anche agli altri come meglio credono. 

Oggigiorno viene usato anche con il significato di "lasciar perdere", di "fregarsene", di "vivere con un po' di leggerezza".



Come si usa?

Questo proverbio può essere usato in diversi modi, eccovi alcuni esempi:

In senso negativo: quando si è eccessivamente altruisti e si pensa in modo morboso agli altri, come se qualsiasi scelta prendessero senza il proprio aiuto sarà sicuramente sbagliata.
- Ma lascia che sia tua figlia a decidere la scuola che più le piace. Vivi e lascia vivere!

Altro uso negativo potrebbe essere quando dopo aver subito le contraddizioni e le delusioni della società se ne esce completamente rassegnati e sconfitti e non si vuole più dare fiducia al prossimo, pensando solo quello che è giusto per se stessi, in modo assolutamente egoistico.
- Sono stanca di inseguire le persone chiunque esse siano, da ora in poi chi mi vuole mi cerca. Il mio motto è diventato vivi e lascia vivere!

Un altro uso negativo è quello di vedere gli altri sbagliare e poi fingere di non averci fatto caso proprio perché non ci si vuole immischiare in cose che non ci riguardano.
- Guarda Giacomo, sta tradendo la moglie con una collega di lavoro.
- Ma non ci pensare, ognuno fa come gli pare. Vivi e lascia vivere!

In senso positivo (forse anche troppo), quando si vive questo proverbio come uno stile di vita, senza tutte quelle preoccupazioni, ansie e paure che ci caratterizzano ma preferendo gustarsi senza pensieri il lento trascorrere del tempo.
- Siamo solo degli esseri viventi di passaggio, non possiamo avere la soluzione per ogni problema. Fai come me: vivi e lascia vivere!
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Purgatorio Canto 26 - Analisi e Commento

Miniatura ritraente Arnaut Daniel

Analisi del canto

Il canto dei lussuriosi
Dante e Virgilio sono alla settima e ultima cornice, quella dei lussuriosi. Qui si svolge tutta l'azione, e si conclude il viaggio nel Purgatorio vero e proprio: nel prossimo canto ci troveremo già sulla cima del monte, nel Paradiso terrestre. Dante sceglie per un momento così solenne tutte figure di poeti, e a loro affida un «testamento» ideale nella lode della poesia contemporanea. Il canto è impostato sul dialogo fra Dante e l'anima di Guido Guinizzelli e si divide in due parti:
  • vv. 1-93; sequenza di carattere strutturale, descrive la condizione e i comportamenti dei lussuriosi e tratta ancora una volta il tema dello stato eccezionale di Dante;
  • vv. 94-148; sequenza di carattere intellettuale e sentimentale, sposta il colloquio fra Dante e Guinizzelli sul tema della poesia del tempo, con l'intervento finale di Arnaldo Daniello.


Il canto di Guinizzelli
Il celebre poeta bolognese è il protagonista narrativo e ideologico del canto. Con lui si completa la sezione del Purgatorio dedicata agli incontri con poeti e alla trattazione di questioni letterarie. Il tema, presente fin dall'inizio dell'opera, giunge ora a una conclusione anche cronologica: dalla celebrazione della poesia classica (l'incontro fra Virgilio e Stazio) all'esaltazione dei maestri moderni (l'incontro fra Guinizzelli e Dante).


Il tema strutturale: la condizione dei lussuriosi
La prima parte del canto vive della descrizione dei lussuriosi: avanzano nelle fiamme purificatrici, cantando lodi a Dio e gridando esempi di castità e lussuria. La variazione a questa condizione è l'incontro fra le due schiere di penitenti — bisessuali e sodomiti — ai vv. 31-48: i casti baci che si scambiano sono il segno capovolto della loro lussuria. A proposito di questi penitenti, è motivo di riflessione la loro sollecitudine nell'espiazione, che Dante sottolinea nella costanza con cui si tengono all'interno delle fiamme (vv. 13-15) e nella rapidità dello scambio amoroso con l'altra schiera, senza fermarsi (v. 33).


Il tema letterario: poeti e poesia ai tempi di Dante
Il dialogo con Guinizzelli completa il motivo del rincontro con i maestri del suo tirocinio letterario — iniziato già nell'Inferno con Brunetto Latini —, e diventa anche dichiarazione di differenza sul modo di intendere la poesia e l'amore. Dante ha già superato l'idea di questo sentimento come lussuria; tutta questa seconda cantica è infatti tensione a Beatrice come figura dell'Amore di carità, che «brucia» di ben altro fuoco. Ma proprio al limitare della sua ascesa a verità divine e ignote agli altri, Dante propone qui un ultimo giudizio sulla poesia a lui contemporanea. Il primo dato è la celebrazione di Guinizzelli come sommo poeta moderno, il padre / mio e de li altri miei miglior (vv. 97-98); egli è l'iniziatore dello Stil Novo, la poesia lirica di cui Dante fu grande interprete, caratterizzata dalla dolcezza dello stile e dalla rinnovata sensibilità alla tematica amorosa. L'eccellenza di Guinizzelli discende dalle rime d'amor dolci e leggiadre (v. 99), dai suoi dolci detti (v. 112) che gli meriteranno gloria eterna in terra. Secondo elemento: il dibattito letterario sui diversi modi di poetare. Dante dichiara, tramite Guinizzelli, che il primato debba andare ad Arnaldo Daniello, scrittore d'amore. Entra così in polemica anche aspra (lascia dir li stolti, v. 119) con chi gli anteponeva le poesie morali di un altro famoso trovatore, Giraut de Bornelh, quel di Lemosì (v. 120). La trattazione offre spunto anche a una critica contro Guittone d'Arezzo, accusato da Dante di non aver saputo adeguare il linguaggio e i costrutti all'alta materia. Terzo dato centrale della sequenza è l'incontro con Arnaldo Daniello, introdotto dall'apprezzamento di Guinizzelli come miglior fabbro del parlar materno, il più alto scrittore in lingua volgare (v. 117). E proprio nella sua lingua materna, il provenzale, si esprime Arnaldo: è l'esempio più lungo in tutta la Commedia di realismo linguistico, un atto di omaggio a quella tradizione letteraria in cui tutta la poesia lirica medievale riconosceva la propria origine.


Le citazioni poetiche
In un colloquio fra poeti, uno dei codici espressivi più efficaci è quello della citazione, dell'allusione. Così opera Dante nella seconda parte del canto, intessuta di echi e rimandi da un autore all'altro. Due esempi:
  • vv. 73-75; la rima marche / imbarche, molto rara, deriva da un sonetto di Guinizzelli a Guittone d'Arezzo, e da questi ripresa poi nella risposta;
  • v. 140; l'incipit del breve discorso di Arnaldo Daniello ricalca quello di una canzone di Folchetto da Marsiglia, altro poeta provenzale che Dante incontrerà in Paradiso.
    II rimprovero di Guido Guinizzelli (A voce più ch'al ver drizzan li volti) contro quanti sostengono la superiorità del poeta provenzale Giraut de Bornelh rispetto ad Arnaut Daniel (v. 121) vale ancora oggi per tutti quegli "stolti" che si affidano all'opinione comune, alla voce corrente piuttosto che alla verità.



Commento

La passada folor
Dante è concentrato nella difficoltà del percorso e nella riflessione sulla lussuria, quando vede due schiere di anime che, incontrandosi, si scambiano casti baci, poi gridano esempi di lussuria punita. Il grido Soddoma e Gomorra non lascia equivoci sulla comprensione del tipo di peccatori: si tratta di una schiera di sodomiti e il grido ricorda le due città bibliche colpite dalla punizione divina proprio perché dedite alla pratica omosessuale. L'altra schiera invece è composta di eterosessuali che usarono il sesso al di fuori di ogni razionalità e misura: come Pasife che volle gli amori bestiali col toro. Quell'amore che in vita fu inquieta passionalità, ora, dentro il fuoco purificatore, è diventato tenerezza infinita. Ma il grido sta ad attestare una colpa i cui effetti sono ancora cocenti, nel vero senso della parola, e suggellati da lacrime. Piangono i lussuriosi il loro peccato, ma a un tratto s'accorgono che Dante è vivo. Uno di loro si avvicina curioso e il poeta viene a sapere che si tratta proprio del suo caposcuola, quel Guido Guinizelli che iniziò a poetare alla nova mainera. La commozione è tanta e Dante vorrebbe slanciarsi ad abbracciare Guido se non ci fosse il fuoco tra loro. Ma Guido, manifestando l'umiltà propria delle anime del Purgatorio, addita a Dante un altro poeta che fu miglior fabbro del parlar materno, il provenzale Arnaut Daniel; poi si perde nel fuoco come un pesce dentro l'acqua. Figura centrale del canto, Guido Guinizelli compare e svanisce: astro di breve durata ma di intensa luminosità. Al dissolversi nel fuoco di Guido subentra Arnaut, dolce nel suo linguaggio provenzale. Il suo trobar clus (= poetare oscuro e difficile, cioè chiuso) qui non ha spazio, ma i versi servono a sancire definitivamente lo stacco tra poesia-folor (= follia) e poesia-ragione. Folor infatti è amore-passione, libero abbandono sensuale, ma folor è anche la trascrizione poetica di questo amore-passione. Sembra di risentire Francesca da Rimini e la sua professione di amore cortese: ma Francesca è rimasta lì, legata per sempre alla sua passionalità che l'ha inchiodata in eterno nell'Inferno; Arnaut coglie invece la differenza tra i due tipi di amore. Egli nel Purgatorio, luogo di penitenza e di attesa, denuncia con angoscia il folor dell'amore lussurioso ma anche di una poesia che ne abbia registrato i momenti, le sensazioni, i desideri. Ora non gli resta che chiedere il perdono di Dio. Ma il raffinato e malinconico calco delle parole di Arnaut nella sua lingua provenzale è, in Dante, la più alta testimonianza d'affetto e di stima verso il poeta e verso la cultura in lingua d'oc di cui Arnaut fu uno dei più alti rappresentanti. Dietro il triste vau cantan del poeta provenzale si legge la tristezza di Dante, anch'egli colpevole della folor d'amore, cantata ad esempio nelle Rime Petrose, ma anche la consapevolezza del poeta fiorentino di appartenere a un sodalizio umano legato da una intensa e a volte totalizzante passione: la poesia come prorompente bisogno di espressione.


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A buon cavaliere non manca lancia - Significato


A buon cavaliere non manca lancia è un proverbio italiano che viene usato raramente perché fa riferimento all'epoca medievale che è ben distante dai giorni nostri (se non fosse per qualche film, serie tv o gioco ambientato nel medioevo molti non saprebbero nemmeno di quale periodo storico si stesse parlando).



Significato

Il proverbio sta a significare che un cavaliere non viaggia mai sprovvisto di armi, disarmato.
Viene nominata la "lancia" perché è una delle armi più comuni per i cavalieri dell'epoca ma il senso è più ampio, per "lancia" si intende una qualsiasi arma con la quale sarebbe in grado di combattere e non solo ed esclusivamente la lancia. Quindi a un cavaliere non mancherà di certo un'arma per combattere, se non possiede una lancia, avrà un martello da guerra, un'ascia da battaglia, una spada ecc.

E tutto ciò si potrebbe riassumere con la seguente spiegazione: se qualcuno di valoroso vuole davvero qualcosa nella vita, troverà sempre i mezzi ("la lancia") per ottenerla.



Come si usa?

Si usa rivolto a quelle persone che essendo sprovvisti di qualcosa rinunciano o rimandano la faccenda da sbrigare, per fargli comprendere che se uno vuole fare una cosa, si trova ugualmente il modo di farla.


ESEMPIO:
- Oh no, la penna non mi funziona più; poi mi presteresti il quaderno per copiare quello che sta dettando?
- Puoi benissimo usare la matita o la penna rossa su un foglio di brutta!

Lo studente è rimasto temporaneamente "disarmato" e l'altro studente gli ricorda che ha altre "lance" da usare, in questo caso sono la matita e la penna rossa. A buon cavaliere non manca lancia, ma a buon studente non deve mai mancare la penna di riserva.
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Purgatorio Canto 25 - Analisi e Commento

I lussuriosi, illustrazione di Gustave Doré

Analisi del canto

È un canto essenzialmente dottrinale, in cui Stazio, prendendo spunto da un dubbio di Dante («Come possono i golosi dimagrire, se non hanno bisogno di mangiare, essendo puri spiriti?»), spiega l'origine dei corpi fittizi che si accompagnano nell'aldilà alle anime dei morti. In verità, Stazio la prende molto alla lontana, finendo con l'impartire una vera e propria, articolata lezione scientifica sulla procreazione umana o, come forse diremmo oggi, sull'evoluzione dell'individuo, dal concepimento alla morte, e oltre. Certo, è una scienza medievale, molto lontana da noi, e che a noi moderni può sembrare astrusa e primitiva. E infatti: non è vero che il liquido seminale maschile sia una forma particolarmente pura e raffinata di sangue, che scende dal cuore ai testicoli; non è vero che la parte della donna, nella procreazione, sia puramente passiva, cioè che il seme dell'uomo trovi nell'utero femminile solo un altro sangue su cui imprimere, come su un semplice terreno di coltura, il suo programma generico (e qui non si può non osservare come l'ignoranza del fatto che il corredo cromosomico sia apportato in pari misura dallo sperma maschile e dall'ovulo femminile, al momento della procreazione, abbia costituito a lungo il presupposto di una configurazione culturale del ruolo maschile -attivo- e del ruolo femminile -passivo- durissima a morire e di pesantissime conseguenze sociali e perfino politiche). E che dire dell'infusione divina dell'anima razionale (e immortale) nel feto, ma solo quando questo abbia sviluppato appieno il cerebro, il cervello, quando l'odierna dottrina cattolica sostiene piuttosto l'esistenza di una persona, soggetto di diritti, fin dall'istante del concepimento?
Pure, non ci si può sottrarre, in questi versi, al contagio del senso di meraviglia e di ammirato stupore, con cui Stazio ripassa le fasi di questa evoluzione dell'individuo. Il sangue maschile che stilla nel natural vasello della donna; l'attivarsi dell'anima vegetativa, che ci fa simili alle piante, con la differenza che per noi si tratta però solo di uno stadio intermedio dell'evoluzione; l'emergere dell'anima sensibile, che ci fa come spungo marino; il piegarsi di un Dio lieto, quasi lui stesso commosso da questo capolavoro della natura, sul feto pronto ad accogliere il soffio dell'anima immortale: la scienza (la scienza medievale, certo) si fa in questi versi emozionato racconto del formarsi progressivo di quel miracolo che è la vita umana. Una vita che non finisce con la morte. La morte significa soltanto che l'anima razionale (e immortale) infusa in ciascuno di noi direttamente dal Creatore sopravvive (anzi, esaltata nelle sue funzioni di memoria e di intelligenza), tirandosi dietro, per così dire, anche tutta la sua stratificazione evolutiva: ovvero, anche le funzioni dell'anima vegetativa e dell'anima sensibile, pur se mute, in quanto mancano gli organi corporali che se ne facevano carico. Ma appena l'anima trova il luogo che le è destinato, all'Inferno o in Purgatorio, quelle funzioni tornano a irradiarsi intorno a lei e ricreano un corpo nuovo, un corpo aereo simile a quello perduto e perfettamente in grado di funzionare come quello.
Fine della spiegazione. Convincente? Sì e no. Nel senso che questi corpi fittizi Virgilio li aveva citati come esempi dell'imperscrutabile volontà divina, nel canto III (State contenti, umana gente, al quia...); e si badi che Stazio, prendendo la parola, si scusa di sostituirsi a Virgilio, cioè non si attribuisce, parrebbe, sapienza ulteriore rispetto a quella del suo compagno. Rimane, dunque, una sorta di sconnessione fra la conferenza scientifica di Stazio, qui nel canto XXV, e il turbato silenzio di Virgilio, nel canto III. A noi lettori, la scelta di cosa sia preferibile... Alla fine del canto, eccoci arrivati all'ultima cornice del Purgatorio, quella dei lussuriosi. Dalla parete di roccia si sprigiona un alto rogo di fuoco, che arriva fino quasi all'orlo del girone. Dentro quel fuoco gli spiriti alternativamente recitano un inno latino di penitenza del peccato di lussuria, e gridano ad alta voce esempi di castità. Dante, che procede non senza paura sull'orlo dello strapiombo, un po' guarda il suo cammino, un po' le anime dentro il muro di fuoco. Ma questo è uno di quei gironi in cui egli non potrà sottrarsi alla condivisione della pena dei purganti.


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Frasi sui matematici


Il termine "matematico" deriva dal greco mathematikós che significa "studioso, desideroso di apprendere", a sua volta derivante da máthema, traducibile in "scienza", "conoscenza" o "apprendimento". Si definiscono matematici coloro che professano lo studio e l'insegnamento della matematica. Questi i nomi di alcuni fra i più grandi matematici della storia: Pitagora, Euclide, Talete, Archimede, Torricelli, Barrow, Lagrange, Gauss, Cauchy, Liebniz, Rolle, Dirichlet, Riemann.

In questa pagina trovate una raccolta di frasi, aforismi, citazioni e battute divertenti sui matematici, categoria che si adatta ad ogni situazione perché ha la forma mentis per capire i problemi ed imparare velocemente a risolverli.


Frasi

Un matematico è una macchina che converte caffè in teoremi. (Alfréd Rényi)

Un matematico è un cieco in una stanza buia che cerca un gatto nero che non è lì. (Charles robert Darwin)

I matematici non studiano oggetti, ma relazioni fra oggetti; per loro, dunque, è indifferente sostituire alcuni oggetti con altri, a condizione che le relazioni non cambino. A loro non importa la materia, importa solo la forma. (Henri Poincaré)

I matematici sono come i francesi: se si parla con loro, traducono nella loro lingua, e diventa subito qualcosa di diverso. (Johann Wolfgang von Goethe)

Gli strumenti del mestiere del matematico sono carta e penna: come conseguenza, nessun matematico se li porta con sé, e devono sempre farsi prestare una penna e scrivere su un tovagliolo. (Ian Stewart)

I matematici possono dimostrare solo teoremi banali perché ogni teorema che viene dimostrato è necessariamente banale. (Richard Feynman)

Uno scienziato degno di questo nome, e soprattutto un matematico, prova lavorando la stessa impressione di un artista; la gioia che gli dà il suo lavoro è altrettanto grande e della medesima natura. (Henri Poincaré)

Tutti gli idioti danno dell'idiota a un matematico perché non sanno misurare la propria intelligenza. (Jayanth Eric)

Si dice che la prima guerra mondiale sia stata la guerra dei chimici, la seconda dei fisici, la terza (potesse non arrivare mai) sarà la guerra dei matematici. (Reuben Hersh)

Se un teorema porta il nome di un matematico, è certo che questo matematico non sia il suo inventore. (Felix Klein)

I bravi matematici vedono le analogie tra teoremi o teorie, i grandi matematici, invece, vedono le analogie tra analogie. (Stefan Banach)

Quando un matematico o un filosofo scrivono con nebbiosa profondità, dicono qualche sciocchezza: su questo non c'è pericolo di sbagliare. (Alfred North Whitehead)

La matematica non mente, ci sono solo molti matematici bugiardi. (Henry David Thoreau)

La vita matematica di un matematico è breve. È raro che si producano risultati migliori dopo i 25-30 anni. Se si è prodotto poco fino a quel momento, si continuerà a produrre poco. (Alfred W. Adler)

Il matematico tradizionale riconosce e apprezza l'eleganza matematica quando la vede. Propongo di fare un ulteriore passo avanti e considerare l'eleganza un ingrediente essenziale della matematica: se è sgraziata, non è matematica. (Edsger Dijkstra)

Ogni generazione ha un gruppetto di grandi matematici, e la matematica non si accorgerebbe nemmeno dell'assenza degli altri. Essi sono utili come insegnanti, e le loro ricerche non fanno male a nessuno, ma non hanno alcuna importanza. Un matematico è un grande o non è nessuno. (Alfred W. Adler)

Tra amici, gli scrittori possono discutere i propri libri, gli economisti lo stato dell'economia, gli avvocati le loro ultime cause, e gli uomini di affari le loro ultime acquisizioni, ma i matematici non possono affatto discutere della propria matematica. E più profondo è il loro lavoro, meno è comprensibile. (Alfred Adler)

Un matematico che non abbia un po' del un poeta non sarà mai un perfetto matematico. (Karl Weierstrass)

Quanto è felice la vita del matematico! Egli viene giudicato solamente dai suoi pari, e lo standard è talmente elevato che nessun collega o rivale può ottenere una reputazione che non merita. (Wystan Hugh Auden)

Fra tutti coloro che hanno finora ricercato la verità nelle scienze, soltanto i matematici hanno potuto trovare qualche dimostrazione, ossia qualche ragione certa ed evidente. (René DescartesCartesio)

Bisogna essere filosofo per poter compilare la dichiarazione dei redditi; per un matematico è troppo complicato. (Albert Einstein)

Un avvocato energico in una causa giusta, un matematico profondo davanti al cielo stellato appaiono entrambi simili a Dio. (Johann Wolfgang Goethe)

Ho raramente conosciuto un matematico che fosse in grado di ragionare. (Stephen Hawking)

Può capitare che un cuoco vada anche lui a caccia e spari bene; ma farebbe un grosso sbaglio se sostenesse che, per sparare bene, sia necessario essere cuochi. Così mi sembra che facciano i matematici, i quali sostengono che non si possa, nelle cose della fisica, veder nulla o trovar nulla senza essere matematici, dal momento che potrebbero sempre essere contenti di vedersi portare in cucina roba che possono lardellare di formule e cucinare a loro piacimento. (Johann Wolfgang Goethe)

Il matematico è affascinato dalla meravigliosa bellezza delle forme che costruisce, e nella loro bellezza scopre verità eterne. (George Bernard Shaw)

Nessun matematico può permettersi di dimenticare che la matematica, più di qualsiasi altra arte o di qualsiasi altra scienza, è un'attività per giovani. (Godfrey Harold Hardy)

Quando sono infelice, faccio matematica per ritornare felice. Quando sono felice, faccio matematica per restare felice. (Alfréd Rényi)

Molta della nostra conoscenza è dovuta a relativamente pochi grandi matematici come Newton, Eulero, Gauss, o Riemann; poche carriere possono essere state più soddisfacenti delle loro. Essi hanno contribuito all'intelletto umano qualcosa che durerà ancora più della grande letteratura, perché è indipendente dalla lingua. (Edward Charles Titchmarsh)

Il matematico non scopre: inventa. (Ludwig Wittgenstein)

Un letterato, un fisico e un matematico stanno viaggiando in treno in Scozia e ad un certo punto vedono su un prato una pecora rossa. Il letterato la guarda e dice: «Però. Interessante. In Scozia le pecore sono rosse». Il fisico scuote la testa e risponde: «No. In Scozia esistono anche pecore rosse». Il matematico li guarda con commiserazione, e conclude: «Esiste almeno un prato, in Scozia, su cui esiste una pecora almeno un lato della quale è rosso». (Anonimo)

Un matematico, come un pittore o un poeta, fabbrica modelli. Se i suoi modelli sono più duraturi dei loro, è solo perché sono fatti con le idee. (Godfrey Harold Hardy)

La differenza tra la matematica e le altre arti, come la musica e la pittura, è che la nostra cultura non la riconosce come tale. Tutti comprendono che i poeti, i pittori e i musicisti creano delle opere d'arte e che si esprimono per mezzo di parole, immagini e suoni. In effetti la nostra società è piuttosto generosa nei riguardi delle manifestazioni di creatività: architetti, chef e persino registi televisivi sono considerati artisti. Perché, allora, non i matematici? (Paul Lockhart)

Noi matematici non sappiamo fare niente, però impariamo in fretta. (Ermanno Lanconelli)

Essere un matematico non significa possedere una spiccata intelligenza (anche se non guasterebbe); significa piuttosto possedere sensibilità estetica e un gusto raffinato. (Paul Lockhart)

In Jurassic Park Michael Crichton dice che oggi i matematici non sembrano più dei ragionieri, e alcuni somigliano addirittura a delle rock star. Se è così, non è un gran guadagno per le rock star. (Ian Stewart)

Come dicono i matematici di tutto il mondo, ogni cosa è impossibile o banale. (Ian Stewart)

I vecchi insegnanti di matematica non muoiono mai. Tendono all'infinito. (Anonimo)

Colmo per un matematico: abitare in una frazione, andare a casa con un mezzo e trovare la moglie a letto con un terzo.

Colmo per un matematico: non avere nessuno su cui contare.

Sembra che il matematico André Weil paragonasse il trovare le giuste definizioni in teoria algebrica dei numeri - che era come scolpire roccia diamantifera - col fare le definizioni nella teoria degli spazi uniformi (che aveva fondato), che era come scolpire con la neve. (Samson Abramsky)
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Purgatorio Canto 24 - Analisi e Commento

Illustrazione di Gustave Doré

Analisi del canto

Il canto prosegue in perfetta continuità con quello precedente e conclude sia l'incontro di Dante con Forese sia il passaggio attraverso la cornice dei golosi. Al centro del canto così composito si accampa uno degli episodi cruciali della Commedia: l'incontro di Dante con Bonagiunta da Lucca.
Bonagiunta è un poeta, uno di quei toscani che nel tardo Duecento trapiantarono in terra di liberi comuni i modi della lirica siciliana fiorita alla corte di Federico II. Per Dante, questo incontro diventa l'occasione di esporre una volta per tutte il suo vero e proprio manifesto poetico. A dire il vero, egli lo fa esporre soprattutto a Bonagiunta: o meglio, fa sì che le sue idee sulla poesia nascano dal dialogo, e quasi dalla dialettica del suo incontro col poeta lucchese. Ma quali sono i capisaldi di questo manifesto poetico di Dante? Innanzitutto, l'idea del poeta come scriba: secondo Dante, il poeta è uno scrivano che opera sotto la diretta dettatura di Amore. Il che non significa affatto sfogare i propri sentimenti così come vengono; significa, anzi, essere capaci di analizzarli oggettivamente, mettendo su carta parole che non sono del poeta, ma di Amore stesso; cioè, che corrispondono a una teoria e a una interpretazione del sentimento amoroso. E questa idea, esposta da Dante, che provoca in Bonagiunta la famosa reazione: «Fratello mio, egli dice adesso mi rendo conto dell'impedimento che trattenne Giacomo da Lentini, Guittone d'Arezzo e me stesso, al di qua del dolce stil novo che tu mi hai così bene descritto». Nasce così in questo canto una delle più celebri definizioni della nostra storia letteraria: dolce stil novo, in cui si compendia la novità introdotta da Dante e dalla sua generazione nella poesia del loro tempo.
Dolce stil novo significa che siamo di fronte a una rivoluzione formale, stilistica (stil) e non di contenuti (tema dominante rimane l'amore); che si tratta, appunto, di un'innovazione rivoluzionaria, la quale intende rompere con la recente tradizione siciliana e toscana (novo); che il nuovo stile si caratterizza per una particolare dolcezza e musicalità (dolce), che si oppone all'eloquenza complicata e alla retorica esibita, specialmente di Guittone d'Arezzo e dei suoi imitatori. In effetti, l'incontro con Bonagiunta non è per Dante solo l'occasione di proclamare il suo manifesto poetico. È anche l'occasione per fare i conti con la propria storia di poeta e per tracciare una prima storia della nostra poesia delle origini. Per questo è importante che Bonagiunta identifichi Dante come il poeta che iniziò una nuova maniera poetica a cominciare dalla canzone della Vita nuova che s'intitola Donne ch'avete intelletto d'amore. Infatti, già nel suo libello giovanile Dante aveva visto in quella canzone l'inizio di una nuova stagione e di una nuova ispirazione poetica; adesso, guardandosi indietro a tanta distanza di tempo, egli riafferma attraverso le parole di Bonagiunta che sì, è proprio vero, è da quella canzone che sono cominciate le sue nove rime. D'altronde, queste "nuove rime" dividono in due non solo la vita di Dante come scrittore, ma anche la letteratura del suo tempo. Anche questo Dante mette in bocca a Bonagiunta: è quest'ultimo, infatti, che riconosce lo spartiacque fra lui stesso, i siciliani, i guittoniani e il dolce stil novo. Da una parte, quindi, la generazione precedente, la vecchia scuola; dall'altra i giovani, i nuovi poeti, a cui appartiene il futuro. Nel cuore del suo grande poema, dunque, Dante non rinnega affatto la sua gioventù di poeta lirico, di poeta d'amore. Anzi, egli riafferma solennemente la continuità della sua carriera e ribadisce che essa è cominciata proprio al centro del suo libretto giovanile, della Vita nuova. Allo stesso tempo egli rivendica orgogliosamente che con lui e con i suoi amici è cominciata davvero un'altra storia. E, bisogna osservare, con sottile perfidia egli affida il compito di riconoscere questo nuovo inizio, e di dargli un nome, a un rappresentante della vecchia generazione spodestata. Forse soltanto nel clima fraterno e senza invidia del Purgatorio un simile gioco delle parti poteva essere immaginato e raccontato.



Commento

Un incontro tra amici
Dante e Forese camminano vicini, amici di sempre, amici ritrovati. Sono lontani i tempi della satira, della maliziosa tenzone quando si accusavano l'un con l'altro un po' per ridere, un po' per ferire. Ma Dante ha vissuto la drammatica esperienza della selva oscura e Forese ha già varcato la soglia dell'esistenza terrena. La conversazione tra amici s'interrompe per lasciare spazio a un colloquio dotto e intellettuale su un tema particolarmente caro a Dante: la poesia. Dante sembra introdurre l'argomento di sfuggita, come un discorso qualunque; in realtà l'episodio offre lo spunto per una definizione teorica del Dolce Stil Novo e per collocare la nuova poetica nell'ambito culturale del tempo. I poeti del Dolce Stil Novo qui prendono le distanze da quelli precedenti che avevano, come riferimento, Jacopo da Lentini e Guittone d'Arezzo. La prima novità su cui insiste il poeta è la materia di questo nuovo modo di poetare: essa riguarda solo ed esclusivamente l'amore. Scompaiono i temi politici e i drammi religiosi, poiché il poeta del Dolce Stil Novo va dietro all'amore come al proprio dittatore, attento a descriverne la fenomenologia. L'amore ispira il poeta e questi, dopo essersene lasciato investire, comunica al pubblico, attraverso la scrittura, i sentimenti, le sensazioni, i pensieri che prova. Ma qui si coglie un altro aspetto del Dolce Stil Novo: l'attenzione a ciò che amore ispira, la rielaborazione interiore e la significazione, cioè la trascrizione poetica del percorso emotivo vissuto. Dietro la poesia del Dolce Stil Novo c'è un'attenta cura formale, che non è meticolosità, ma volontà di rendere con verità ed efficacia il dato sentimentale. Alla base del nuovo percorso poetico sta la cultura filosofico-giuridica dello studio bolognese a cui fa riferimento Guido Guinizelli (Purgatorio, canto XXVI), il capo riconosciuto dei poeti del Dolce Stil Novo. Bonagiunta capisce e s'appaga di un'inedita spiegazione. Ma è tempo di espiare: per Dante e Forese s'avvicina il momento del congedo. Ciascuno vorrebbe rimandare, come capita, l'attimo dell'addio; il commiato però s'addolcisce all'idea di rivedersi presto. Ciò, per Dante, significa morire, ma al poeta, pessimista sulle condizioni politiche, sociali e morali di Firenze, la morte appare un consolante approdo. Alla sua mente si presentano, tra gli altri, lo spettro dell'esilio e Corso Donati, che consegna Firenze al papa e agli stranieri. Come in un sogno profetico, Forese vede Corso agonizzante, il quale, perso ormai il favore politico, sta ora consumando gli ultimi istanti di vita. Il cavallo, che lo trascina, dilania Corso, il quale giace come una cosa vile, annientato dall'odio, dall'avidità, dalla vendetta che egli stesso ha contribuito a scatenare. E quel cavallo che galoppa infuriato, personificazione forse di Satana stesso, è lì ad attestare la fine di una smisurata sete di potere, di una forza che ha inteso imporsi al di fuori di ogni regola civile e umana. Infine il sogno profetico cessa e i due amici si lasciano, mentre gli alberi, pieni di ogni ben di Dio, gridano esempi di golosità punita e l'angelo della temperanza cancella sulla fronte di Dante un'altra "P". Il pellegrino è sempre più vicino alla sospirata meta, portandosi dietro però la malinconia di un tragico oracolo.


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Purgatorio Canto 23 - Analisi e Commento

Incontro con Forese Donati, illustrazione di Gustave Doré

Analisi del canto

All'Inferno, come si ricorderà, Ciacco e gli altri golosi erano tormentati da una pioggia greve, gelida, che si sfaceva a terra in un fango puzzolente, in cui i dannati si rivoltavano come porci nel brago. Qui nel Purgatorio, le pene sono meno bestiali, meno truculente, ma non meno tormentose.
Qui infatti i golosi sono torturati dalla fame e dalla sete: come nel supplizio di Tantalo nell’Ade pagano, essi sfiorano gli alberi lussureggianti della loro cornice, carichi di frutti profumati e stillanti di acque chiarissime, ma non possono né sfamarsi di quei frutti né dissetarsi di quell’acqua. Essi compaiono pertanto, di fronte a Dante, come scheletri viventi: pelle e ossa, divorati da una sofferenza che però è insieme sollazzo, gioia, perché è patita come prezzo da pagare per raggiungere la beatitudine eterna.
Al centro di questo canto c’è l’incontro di Dante con Forese Donati. Membro della famosa (e famigerata) famiglia di parte Nera, fratello di Corso Donati e di quella Piccarda che incontreremo in Paradiso, nel cielo della Luna, Forese si rivela qui come uno degli amici di gioventù più cari a Dante. In Purgatorio il poeta incontra molti amici, colleghi e conoscenti, ma nessun incontro ha l’intimità di questo con Forese. Ciò dipende non tanto da quello che i due amici si dicono apertamente, quanto piuttosto da quello che viene sottinteso, dalle allusioni e quasi dagli ammicchi del loro dialogo.
Una delle cose non dette, ma che rimane sullo sfondo di questa conversazione e ne costituisce l’antefatto, è un episodio della vita giovanile dei due, che a sua volta è indizio del particolare tipo di amicizia che li lega. È rimasta infatti una tenzone poetica fra Dante e Forese, databile agli anni 1293-1296, che già di per sé testimonia come Forese condividesse con Dante anche una qualche passione letteraria. La tenzone è costituita da sei sonetti, a botta e risposta, tre di Dante e tre di Forese, in cui i due si scambiano ingiurie infamanti.
Dante accusa Forese di essere povero in canna, bastardo, sessualmente poco dotato, ladro e ghiottone. Forese accusa invece Dante di essere un morto di fame, figlio di genitori divorati dai debiti, votati all’ospizio pubblico; un vile incapace di rispondere alle offese fatte a lui e alla sua famiglia.
Forse tutti questi insulti non vanno presi proprio sul serio: questo stile di turpiloquio esagerato, osceno, grottesco era a quel tempo anche una moda di maniera, coltivata dalla scuola poetica
che è stata definita “comico-realistica”.
Sta di fatto, però, che Dante e Forese, qui in Purgatorio, sembrano alludere a quel precedente in modo molto serio. L’accusa di ghiottone, che Dante lancia a Forese nella tenzone, trova un corrispettivo vero nel peccato che si sconta in questa cornice: il Forese irriconoscibile che compare di fronte a Dante, con le sue occhiaie nere, gli occhi infossati, la pelle secca e squamata, non è uno scherzo; la gola è veramente un dato morale costitutivo del personaggio della Commedia. Più in generale, il tono canagliesco della tenzone non sembra soltanto una posa, una finzione poetica.
Dante infatti allude senza possibilità di equivoci a un passato comune, suo e di Forese, imbarazzante e vergognoso, quando dice all'amico che, a ricordarsi come si comportarono un tempo l’uno con l’altro, c’è veramente da sentirsi un peso sulla coscienza. In tal senso questo incontro purgatoriale serve anche come ammenda e riparazione degli scapestrati comportamenti di una volta. Lo si vede nella menzione della vedova di Forese, Nella. Infatti, Dante all’inizio rimane sconcertato nel constatare che l’amico è già qui nella sesta cornice. Come ha fatto, se (come Dante sa perfettamente) egli si è pentito proprio all’ultimo momento, prima di morire? E se (anche questo Dante se lo ricorda benissimo) egli è morto non più di cinque anni fa? E se i pentiti in extremis (e questo Dante lo ha appreso nell’Antipurgatorio) devono aspettare, prima di ascendere alla montagna sacra, un tempo corrispondente a quello in cui hanno rimandato la loro conversione? La spiegazione di Forese è questa: è stata Nella, la vedovella mia, che molto amai, egli dice, a liberarlo dall’attesa dell’Antipurgatorio e a spingerlo su per la montagna, con i suoi pianti e le sue devote preghiere.
Ora, Nella era la moglie che Dante aveva un po’ volgarmente presa in giro nella tenzone, sostenendo che era sempre raffreddata perché il marito, Forese, non la “copriva” bene di notte. Battutacce da non prendere troppo sul serio, si potrà dire. Il fatto è che, invece, adesso Dante le prende molto sul serio.
È chiaro infatti che egli mette in bocca a Forese non solo le lodi della moglie, ma un tenerissimo ricordo di felice vita coniugale proprio per smentire a posteriori le oscenità della sua poesia giovanile; per restituire a Forese la verità dell’esistenza, al di là delle smargiassate goliardiche della finzione comico-realistica.
Ravveduti e, se era necessario, riconciliati, i due amici dunque prendono distacco insieme da una stagione che non hanno neppur voglia di rammentare nei particolari, tanto sembra adesso lontana.
Tuttavia, proprio l’avere attraversato insieme quella stagione dona alla loro amicizia, e a questo episodio della Commedia, il suo sapore inconfondibile. Fra Dante e Forese non c’è soltanto affetto: c’è la complicità che nasce dall’aver vissuto insieme degli anni, nel bene e nel male, irripetibili.


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Frasi sulla matematica


La matematica è una parola che deriva dal latino mathematĭca e dal greco mathēmatikḗ che significa "arte di apprendere". È la scienza che in origine e a livello elementare si occupa di problemi relativi ai numeri (aritmetica) e alle figure (geometria); attualmente è suddivisa in diverse branche (algebra, analisi, topologia, matematica applicata ecc.), tutte caratterizzate da rigorosi metodi di formalizzazione, di calcolo e di deduzione. Si tratta di una delle materie più ostiche per gli studenti che finiscono col tempo per odiarla: perché capita che non viene spiegata bene e con il giusto entusiasmo e passione, oppure perché si è distratti durante la lezione in cui vengono spiegati concetti importanti che serviranno anche per le lezioni future, ma soprattutto perché è basata sulla logica e capire e apprendere certi passaggi non è da tutti. Ovviamente c'è anche chi la ama e non riesce a vivere senza perché sviluppa quasi tutte le capacità intellettive come la razionalità, la fantasia, l'intuito e quando si arriva ai livelli più alti dà ogni tanto l'impressione di appartenere a una "specie superiore" quando si deve dare un senso a ciò che ci circonda.

In questa pagina trovate una raccolta di frasi, aforismi, citazioni e battute divertenti sulla matematica: pensieri di scienziati e filosofi da dedicare a tutti coloro che hanno un rapporto speciale con questa particolare materia di studio. Per completezza andate a leggere le frasi sui matematici.


Frasi

Così come nessuno sa spiegare perché le stelle siano belle, è altrettanto difficile esprimere in che cosa consista la bellezza della matematica. (Yōko Ogawa)

La matematica è fatta per il 50% di formule, per il 50% di dimostrazioni e per il 50% di immaginazione. (Anonimo)

La matematica è l'alfabeto nel quale Dio ha scritto l'universo. (Galileo Galilei)

La matematica sembra dotare una persona di qualcosa come un nuovo senso. (Charles Robert Darwin)

L'essenza della matematica sta nella sua libertà. (Georg Cantor)

Esiste un mondo segreto, un universo parallelo fatto di eleganza e bellezza, intrecciato in modi complessi con il nostro. È il mondo della matematica, invisibile alla maggior parte di noi. (Edward Frenkel)

La matematica è un gioco che segue alcune semplici regole giocato con segni senza senso sulla carta. (David Hilbert)

La matematica pura è il più bel gioco al mondo. È più coinvolgente degli scacchi, più azzardosa del poker, e dura più a lungo del Monopoli. Non costa nulla, e può essere giocata in qualunque luogo − Archimede l'ha fatto in una vasca da bagno. (Richard J. Trudeau)

La matematica è un motivo per andare avanti e non fermarsi mai .. Perché ha un inizio: parte da "zero", ma non ha una fine: è infinita. (Vignesh R)

Menti piccole discutono di persone. Menti medie discutono di eventi. Grandi menti discutono di idee. Ma le menti geniali discutono di matematica. (Anonimo)

L'uomo è confinato nei limiti angusti del corpo, come in una prigione, ma la matematica lo libera, e lo rende più grande dell'intero universo. (Pierre de la Ramée)

La matematica è bellezza e romanticismo. Non è affatto noioso il mondo matematico. Anzi è un posto straordinario in cui vale la pena passarci del tempo. (Marcus du Sautoy)

Se davvero esiste un Dio, non può che essere un grande matematico. (Paul Dirac)

I vecchi insegnanti di matematica non muoiono mai. Tendono all'infinito. (Anonimo)

La matematica è un luogo in cui puoi fare cose che non puoi fare nel mondo reale. (Marcus du Sautoy)

I matematici non arrivano a conclusioni certe e tutte le verità matematiche sono relative. (Charles Proteus Steinmetz)

Gli scacchi sono più vicini alla matematica di qualsiasi altra scienza. (A. Karpov)

Un uomo è come una frazione il cui numeratore è quello che è realmente e il cui denominatore è ciò che pensa di se stesso. Più grande è il denominatore, più piccola è la frazione. (Lev Tolstoj)

Tutti i matematici hanno in comune un senso di stupore per l'infinita profondità, la misteriosa bellezza e l'utilità della matematica. (Martin Gardner)

La matematica è tua amica. Frequentandola ogni giorno potrebbe anche diventare la tua migliore amica. Ma se la trascuri per un po' di tempo, lei ti dimenticherà, e tu ti dimenticherai di lei. (Muhammad Ahmed)

La matematica non mente, ci sono solo molti matematici bugiardi. (Henry David Thoreau)

La scienza della matematica offre il più brillante esempio di come la pura ragione possa con successo allargare il suo campo senza l'aiuto dell'esperienza. (Immanuel Kant)

La più alta categoria dell'intelletto immaginativo è sempre eminentemente matematica. (Edgar Allan Poe)

La matematica non conosce razze o confini geografici; per la matematica, il mondo culturale è una singola nazione. (David Hilbert)

La matematica, a differenza di altri ambiti esistenziali, ha un privilegio: vi si può dimostrare che qualcosa è impossibile. (Ian Stewart)

La matematica è quella parte della fisica dove gli esperimenti costano poco. (Vladimir Arnold)

Scendi abbastanza in profondità in qualsiasi cosa e troverai sempre matematica. (Dean Schlicter)

L'essenza della matematica non consiste nel rendere le cose semplici complicate, ma rendere semplici le cose complicate. (Stanley Gudder)

La vita è buona solo per due cose: imparare la matematica e insegnare matematica. (Simeon Poisson)

La poesia è creazione, finzione: mentre la matematica è la più sublime e la più meravigliosa delle finzioni. (D.E. Smith)

Matematica e Poesia sono il frutto del potere dell'immaginazione, solo che la prima è indirizzata alla testa e la seconda al cuore. (Thomas Hill)

La matematica è il temperino del cervello. (Angeliza Ampeloquio)

La matematica è un vasto e grandioso paesaggio adatto a coloro a cui il pensare rechi gioia, e inadatto a chi non ama la fatica del pensare. (Immanuel Lazarus Fuchs)

La matematica è una scienza meravigliosa, ma non ha ancora trovato il modo di dividere un triciclo fra tre bambini. (Earl Wilson)

Quando sono infelice, faccio matematica per ritornare felice. Quando sono felice, faccio matematica per restare felice. (Alfréd Rényi)

In matematica, le rivoluzioni sono eventi silenziosi. Nessuno scontro, nessun clamore. La notizia viene comunicata in qualche trafiletto ben lontano dalle prime pagine. (Donal O'Shea)

All'inizio e alla fine abbiamo il mistero. Potremmo dire che abbiamo il disegno di Dio. A questo mistero la matematica ci avvicina, senza penetrarlo. (Ennio De Giorgi)

Un quesito matematico ha un certo ritmo, è come la musica. Se lo si legge ad alta voce e se ne segue il ritmo, lo si può vedere nel suo insieme e riuscire a individuare i punti sospetti che potrebbero nascondere dei trabocchetti. (Yōko Ogawa)

Risolvere problemi nei quali l'esistenza di una risposta è garantita è come fare un'escursione a piedi in montagna insieme a una guida, diretti verso una cima che si riesce a vedere. La verità in matematica si cela furtiva alla fine di una strada mai percorsa, all'insaputa di tutti. Ma non è detto che si trovi sulla cima, potrebbe starsene tra le rocce di un ripido precipizio, oppure in fondo alla valle. (Yōko Ogawa)

Se la gente non crede che la matematica sia semplice, è soltanto perché non si rende conto di quanto complicata sia la vita. (John von Neumann)

In matematica non si capiscono le cose. Semplicemente ci si abitua ad esse. (John Von Neumann)

Il mio idolo è il mio libro di matematica che nonostante i numerosi problemi non ha mai pensato al suicidio. (Anonimo)

La matematica è ovunque ... in te ... in me .... è nell'aria ..... quello di cui hai bisogno sono gli occhi per vedere la matematica in ogni creazione di dio. (Shelly Gandhi)

Dio esiste perché la matematica è coerente, e il demonio esiste perché non possiamo dimostrare che lo è. (André Weil)

I computer sono macchine intelligenti, ma non servono a niente senza un bel po' di buona matematica. (Ian Stewart)

Quando fai matematica, le cose su cui lavori le avverti come reali; puoi quasi afferrarle, rovesciarle, schiacciarle, smontarle. (Ian Stewart)

La matematica, pur essendo un prodotto della mente umana, non si piega alla mente umana. Studiarla è come perlustrare un nuovo tratto di paesaggio; anche se non sai cosa ti aspetta dopo la prossima ansa del fiume, non hai altra scelta che aspettare e vedere. Solo che il paesaggio della matematica non esiste finché qualcuno non lo esplora. (Ian Stewart)

Insegnando la matematica agli altri finisci per comprenderla meglio tu stesso. (Ian Stewart)

In effetti, in matematica esiste una parola per indicare quei risultati che in seguito subiscono modifiche: si chiamano "errori". (Ian Stewart)

Più forziamo i confini della matematica, più questi si allargano. Non correremo mai il rischio di esaurire i nuovi problemi da risolvere. (Ian Stewart)

Ho letto che secondo un recente studio il 50% degli italiani capisce la matematica. Mi chiedo perché non abbiano scritto qual è la % di quelli che non la capiscono. (arcobalengo, Twitter)

"Seguire le mie lezioni di matematica è come bere acqua".. "Facile?".. "No un sacco di gente che deve andare in bagno." (orporick, Twitter)

L'80% degli studenti non conosce bene la matematica. Fiero di far parte del restante 30% 👍🏻 (Droghiere, Twitter)

Le Olimpiadi della Matematica sono un posto fantastico per intrecciare amicizie profonde. È pieno di persone che sanno fare la differenza. (egyzia, Twitter)

Al liceo in matematica avevo quattro. O almeno credo che quello fosse un quattro. (marcosalvati, Twitter)

Descriviti in tre parole.
Non sono un genio della matematica.
(ilmarziano1, Twitter)

Cose che dovrebbero durare meno:
- Code agli instore
- Code ai concerti
- Il mal di cuore
- Le cattive amicizie
- Le ore di matematica

Ho incontrato il mio vecchio prof di matematica. Lì per lì non sapevamo cosa dire, così abbiamo parlato del più e del meno. La mia ammirazione per lui era integrale, senza limiti e devo dire che tutto sommato è rimasto uguale, anche se un po' invecchiato diviso. (tragi_com78, Twitter)

Avere figli vuol dire che un giorno potrebbero aver bisogno di aiuto con i compiti di matematica E NON PENSO DI ESSERE PRONTO A FARE UNA FIGURA DI MERDA DEL GENERE. (DisagiatoComune, Twitter)

Soggetto per un racconto dell'orrore. Un attempato insegnante di matematica non assegna compiti per le vacanze; gli studenti, inizialmente contenti, scoprono con angoscia crescente che hanno nostalgia di teoremi e dimostrazioni. Finale con indicibile orrore di natura metafisica. (orporick, Twitter)

Domande che ho in testa:
- perché non sono al mare?
- perché devo svegliarmi presto?
- perché odio tutti a scuola?
- perché non dimagrisco mai?
- perché non capisco la matematica?
(Droghiere, Twitter)

- Mamma che senso ha studiare la matematica, è così noiosa
- Scherzi, è una materia fondamentale
- Sì certo, è utile solo se sei ricco e devi contare i tuoi soldi.
(TizziRadrizzani, Twitter)

Ho la sveglia tra sei ore e devo ancora correggere 22 compiti. Quando da ragazzo mi dicevano "la matematica è per gente sveglia" avevo capito un'altra cosa. (orporick, Twitter)

Ogni tanto apro il libro di matematica giusto per vedere se ancora non ci capisco nulla. (Droghiere, Twitter)

10 italiani su 6 non conoscono la matematica. (ilmarziano1, Twitter)

Sto pensando di andare a vedere IT, la storia di un tizio apparentemente buffo che terrorizza ragazzini. Praticamente un prof di matematica. (orporick, Twitter)

- Prof di matematica: avete domande?
- Io: sì... ma che cavolo è sta roba?
(Droghiere, Twitter)

L'ultima volta che un uomo mi ha dimostrato qualcosa è stato il mio prof. di matematica con il teorema di Pitagora. (Terza_Nota, Twitter)

Io volevo fare la rockstar, non il prof di matematica. Però l'effetto è lo stesso, adolescenti che si strappano i capelli quando arrivi. (orporick, Twitter)

- Per me sei come la matematica
- Numeri che sommati possono dare risultati straordinari?
- No, mi stai sul cazzo.
(Diavolo, Twitter)

Una volta sono stato sospeso a scuola dopo che la prof di matematica m'ha detto "elevamelo alla quarta" e io ho risposto "davanti a tutti?". (Pupitto, Twitter)

Speriamo che domani la prof di matematica non venga a scuola. Ma che cavolo dico, quella è robot. Sono spacciato. (Droghiere, Twitter)

La mia voglia di studiare matematica è pari al coefficiente angolare della retta passante per i punti "ma manco" e "se mi paghi". (Droghiere, Twitter)

Probabilmente sarei stato un genio in matematica se nei problemi al posto delle mele avessero usato piatti di carbonara come esempio. (darioloc81, Twitter)

Di tutta la matematica che ho studiato nella mia vita ho capito solo una cosa. Mi fa cagare. (Droghiere, Twitter)

Prendo la vita con filosofia perché se la prendessi con matematica sarei fottuta. (alemarsia, Twitter)

Non sono mai stato bravo in matematica perché per me era inspiegabile il motivo per cui il bambino che ha 3 caramelle, ne dava via due. (IlFuGigiBi, Twitter)

"ODIO LA MATEMATICA" E poi:
- 10 a ogni compito
- Vince il Pulitzer
- Discende da Pitagora
- Suo zio era Archimede.
(Droghiere, Twitter)

E poi Satana disse: "Mettiamo l'alfabeto nella matematica". (DisagiatoComune, Twitter)

Credo che la vita non abbia mai superato il fatto che ho sempre odiato la matematica. Per questo ora mi riempie di problemi. (valemille, Twitter)

Ho solo tre parole per descrivere la mia competenza in matematica: non ne so niente. (diodeglizilla, Twitter)

Io applico tutto al campo della matematica, quindi:
Se fumare fa male NEGATIVO
Se bere fa male NEGATIVO
Negativo per negativo fa positivo.
(IlBomma, Twitter)

L'unica lezione di matematica che ho ascoltato è stata quella dove parlavano di seno. (postofisso2012, Twitter)

- Oggi ero al colloquio col prof. di matematica.
- Di cosa avete parlato?
- Mah, del più e del meno.
(MaxMangione, Twitter)

L'unica cosa che ho imparato grazie alla matematica è che odio la matematica. (DisagiatoComune, Twitter)

Nella vita, come nella matematica, se qualcosa ti sembra fin troppo facile, vuol dire che la stai sbagliando. (Scuolissima)

Matematica
Matematic
Matemati
Matemat
Matema
Matem
Mate
Mat
Ma
Mav
Mava
Mavaf
Mavaff
Mavaffa
Mavaffan
Mavaffanc
Mavaffancu
Mavaffanculo
(DisagiatoComune, Twitter)

Prima ero intelligente, poi ho incontrato la matematica. (DisagiatoComune, Twitter)

Mai giudicare un libro dalla copertina. Per esempio il mio libro di matematica ha un tizio che si diverte a farla. Io non mi diverto però. (DisagiatoComune, Twitter)

Cara Matematica, vai a comprarti una calcolatrici e risolviti i tuoi problemi. Sono un adolescente, non un terapista. (DisagiatoComune, Twitter)

Se un numero non è divisibile per 2 o per 5 la matematica inizia ad essere davvero fastidiosa. (DisagiatoComune, Twitter)

- Genitori: "Quale lingua straniera stai facendo quest'anno?"
- Io: "Matematica."
(DisagiatoComune, Twitter)

*Quando il mio nome è in un problema di matematica*
Classe: *Mi fissa*
Io: "Esatto, ho comprato 300 angurie."
(DisagiatoComune, Twitter)

- Insegnante: Dove diavolo è il tuo quaderno di matematica?
- Io: Ha commesso un suicidio, aveva troppi problemi.
(DisagiatoComune, Twitter)

Ricordo con terrore le lezioni di matematica. Le espressioni, erano quelle che avevo sulla faccia. (rattodisabina, Twitter)

Cose in cui faccio schifo: Essere attraente... Essere normale... Essere piacevole... Essere sociale... Matematica. (DisagiatoComune, Twitter)

Al compito di matematica: 2+2=?
Io: *Usa la calcolatrice per sicurezza*.
(DisagiatoComune, Twitter)

Durante il compito di matematica, la mia risposta=23.
Risposte disponibili: 170, 197, 325.
Io: 170 è più vicino a 23, è quella la risposta.
(DisagiatoComune, Twitter)

Come fare matematica:
1) Apri il libro di matematica.
2) Inizia a piangere lentamente.
3) Chiudi il libro di matematica.
(DisagiatoComune, Twitter)

Cara matematica, smettila di cercare la tua x... Non tornerà.
Sinceramente, tutti gli studenti.
(DisagiatoComune, Twitter)

- Mi dia 3x-4y+7 di banane e 6+2x²-y di mele, grazie.
- Mi dispiace, non la capisco.
- Non m’interessa, io non ho studiato invano.
(Droghiere, Twitter)

Vai in America e incontri per strada il tuo idolo. Vai in Italia incontri il professore di matematica che ti chiede pure se hai studiato. (DisagiatoComune, Twitter)

L'inferno personale per chi insegna matematica ha il suono devastante delle parole "Prof, che formula devo usare?". (orporick, Twitter)

Mario ha due mele, Luigi ne mangia una. Calcola la massa del Sole. (Tipico quesito da compito di matematica)

Solo le persone intelligenti capiranno:
2+2 = Pesce,
3+3 = Otto,
7+7 = Triangolo,
4+4 = Freccia,
8+8 = Farfalla.
(DisagiatoComune, Twitter)
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Purgatorio Canto 22 - Analisi e Commento

Dante Alighieri con il divino poema volge lo sguardo verso la montagna del Purgatorio in un dipinto cinquecentesco

Analisi del canto

Il rapporto fra i personaggi
L'inizio del canto ristabilisce l'atmosfera di solenne religiosità che si era perduta nella scena del riconoscimento di Virgilio da parte di Stazio (canto ventunesimo) in quanto caratterizzata da affettuosa confidenza e di reciproca simpatia.
Sia Stazio che Dante sono uniti dal comune amore per l'arte che essi rappresentano, entrambi ammirano il modello di «bello stile» di Virgilio, l'amato maestro e padre; proprio per questo motivo dietro alle parole di Stazio è possibile intravedere l'esperienza e le idee di Dante.


Stazio salvato dall'Eneide
Stazio afferma di essersi ravveduto dal peccato di prodigalità meditando su un passo dell'Eneide. Si tratta di soli due versi che, isolati dal loro contesto, vengono percepiti come un avvertimento morale.


Mondo pagano e cristiano
Durante tutto il medioevo il criterio di lettura era quello di associare la poesia alla sapienza, pertanto in tutte le opere poetiche classiche si andavano a cercare segni di una moralità naturale, raggiunta senza l'aiuto della grazia, ma capace di elevare l'uomo al punto che possa riceverla. Mondo pagano e mondo cristiano in campo morale sono dunque visti come omogenei e complementari.
Le parole della quarta Bucolica di Virgilio sono sembrate a Stazio un preannuncio della venuta di Gesù Cristo e quindi lo hanno indotto ad avvicinarsi ai cristiani (Virgilio ne è stato inconsapevolmente profeta).
Così la pietà di Enea era inconsapevole sottomissione ai disegni della provvidenza divina, che aveva destinato l'impero romano alla guida politica del mondo (Inferno Canto II).
Anche la stoica religiosità di Catone del primo canto del Purgatorio non era che fede inconsapevole nel vero Dio, capace di meritargli la salvezza.


Lo stile
Degni di nota in questo canto, oltre alla presenza dell'angelo, gli elementi stilistici quali le parole latine (sitiunt) e latinismi (labore), e la ricercata costruzione sintattica con l'inversione di oggetto e verbo (quei c'hanno detto n'avea).



Commento

Continua e si approfondisce, in questo canto, l'amicizia fra Virgilio e Stazio; mentre Dante si riserva piuttosto un ruolo di spettatore. È un canto, anche, assai indicativo del modo in cui il nostro poeta, attingendo a letture e informazioni disparate, talvolta erronee o magari esilissime (un nome, un titolo), riesce a rivitalizzare tale bagaglio culturale in situazioni narrative e in invenzioni poetiche di grande suggestione. Con l'ausilio, al solito, dell'atteggiamento attualizzante così tipico della sua cultura e, in genere, della cultura medievale non tanto interessata, come si è osservato più volte, all'accertamento storico dei fatti e all'esattezza dei dati, quanto all'appropriazione ideologica della cultura antica. Così qui con l'invenzione del personaggio di Stazio. Infatti, non c'è uno straccio di fonte antica che possa suggerire a Dante l'idea di uno Stazio convertito alla fede cristiana, e dunque destinato al Purgatorio, e non al Limbo. È Dante stesso a riconoscere candidamente questa totale mancanza d'indizi, quando fa osservare a Virgilio che, a leggere i poemi di Stazio, Tebaide e Achilleide, uno non potrebbe indovinare davvero di avere a che fare con uno scrittore cristiano. Ma che importa? Dove la storia tace, e le fonti non possono essere spremute a dire quello che non volevano dire, Dante inventa di sana pianta. Ecco così confezionata la leggenda di san Stazio: il quale avrebbe cominciato ben presto a frequentare i cristiani; sarebbe rimasto ammirato delle loro virtù morali; ne avrebbe commiserato la sorte sotto le persecuzioni di Domiziano; e, infine, si sarebbe fatto battezzare, ma rimanendo chiuso cristian, senza cioè rivelare all'esterno la sua nuova fede e, anzi, continuando a seguire i riti pagani; mancanza che gli ha fatto trascorrere quattrocento anni nel girone degli accidiosi, cioè dei tiepidi credenti. In particolare, è significativo l'uso che lo Stazio di Dante fa di Virgilio, e dei suoi scritti, ai fini di delineare il suo percorso di vita e di conversione. Va da sé che l'Eneide è stata, come ha già detto nel canto precedente, mamma e nutrice per la sua poesia. Ma il suo stesso ravvedimento dal peccato di prodigalità e, in seguito, la sua stessa adesione alla fede cristiana, vengono fatti risalire alla meditazione di testi virgiliani: e poco importa se per il primo, l'invettiva famosa contro la cupidigia, la auri sacra fames, l'"esecranda fame dell'oro", è del tutto stravolta, e diventa invece un auspicio che la "santa voglia di una giusta ricchezza" guidi le azioni umane, preservandole non dalla cupidigia, ma dalla pazza prodigalità (che è quello, naturalmente, che interessa a Stazio). Quanto poi alla conversione, ci dobbiamo stupire se anche Stazio (come tutto il Medioevo) ha letto la IV egloga come una profezia dell'avvento del Salvatore, invece che come un festoso augurio per la imminente nascita del bambino di un amico di Virgilio? E, di conseguenza, se Stazio ne ha ricavato la conferma dell'avvento di una nuova fede? Tutta questa abusiva costruzione della leggenda di san Stazio, tuttavia, dà luogo (come sempre in Dante) a una situazione sentimentale e narrativa di profondo significato. Lo Stazio di Dante, infatti, finisce con l'essere una sorta di transfuga del Limbo, da lui evitato per merito di un Virgilio che, invece, ci è rimasto imprigionato per sempre; un Virgilio, per riprendere la bella immagine di Stazio stesso, che ha fatto come quei viandanti i quali, di notte, portano la lanterna alle loro spalle, e illuminano il cammino non per sé, ma per quelli che li seguono. Delicata e nuova variazione del paradosso incarnato nel personaggio di Virgilio, simbolo dei meriti e dei limiti del puro ben far umano. Ma che Stazio sia personaggio sfuggito di misura al Limbo lo dice la curiosità stessa con cui egli si informa del destino eterno di tanti letterati e poeti: Terenzio, Plauto, Cecilio, Vario; e la generosità con cui Virgilio completa la lista, riprendendo a distanza l'elenco del canto IV dell'Inferno: Omero, Euripide, Antifonte, Simonide, Agatone... Molti di questi erano per lui meri nomi: ma Dante non resiste all'impulso di trasformarli, sia pure attraverso una breve menzione, in personaggi. E intanto, siamo arrivati alla sesta cornice. Uno strano albero, quasi un abete rovesciato, con la punta in basso e i rami più larghi e folti in alto, irrorato da una limpida acqua, ricco di pomi odorosi, si para davanti ai nostri tre poeti. Un albero parlante: appena ci si avvicina, dalle fronde esce una voce che proclama esempi di sobrietà nel bere e nel mangiare. Non ci vuole molto a capire che siamo entrati nel girone dei golosi.


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