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Frasi sul 2 Giugno - Festa della Repubblica


Dopo la prima guerra mondiale si affermò in Italia la Dittatura Fascista, evento che comportò la perdita delle libertà politiche per oltre vent'anni. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il 2 giugno 1946, un referendum istituzionale, per la prima volta a suffragio universale, stabilì l'abbandono della monarchia come forma di governo e l'adozione della Repubblica parlamentare (12.717.923 voti contro 10.719.284). Dopo questo referendum il Re d'Italia Umberto II di Savoia lascia il Paese. Contemporaneamente al referendum si svolgono le elezioni per l'assemblea costituente. Per ricordare la nascita della Repubblica Italiana il 2 giugno è riconosciuto come Festa della Repubblica italiana.

In questa pagina trovate una raccolta di frasi, aforismi, citazioni e battute divertenti sul 2 Giugno - Festa della Repubblica: una serie di frasi sulla Patria per riflettere sul senso della patria in occasione di questa giornata celebrativa nazionale italiana... ovviamente non potevano mancare anche quelle ironiche e divertenti. E se non dovessero saziare del tutto la vostra sete patriottica vi suggeriamo di leggere anche le più belle poesie dedicate all'Italia.


Le frasi

Il 2 giugno del 1946, dopo il duro ventennio fascista e la sciagura della guerra, l'Italia entrava a far parte a pieno titolo del novero delle nazioni libere e democratiche. E questo accadde, si badi bene, non soltanto perché la forma repubblicana prevalse su quella monarchica, ma perché, per la prima volta nella storia della nazione, ritrovata la libertà, la partecipazione al voto di tutti, uomini e donne, realizzava una piena democrazia. È stata l'introduzione dell'autentico suffragio universale a far compiere all'Italia il vero salto di qualità, trasformandola in un Paese in cui tutti i cittadini concorrono, in egual misura, a determinare, con il loro voto, le scelte fondamentali della vita nazionale. Furono i cittadini a scegliere la forma di Stato, ad eleggere i membri dell'Assemblea costituente, a determinare la formazione dei governi. Per questo credo che oggi si possa affermare che la festa del 2 giugno è la festa della libertà di scelta: e per questo è la festa che riunisce tutti gli italiani. (Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, il 2 giugno 2016 in un'intervista al Corriere della Sera)

È meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le dittature. (Sandro Pertini)

Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese. (John Fitzgerald Kennedy)

Quando il 2 Giugno 1946 nacque la Repubblica, tutti avemmo la consapevolezza che conservare integri nel tempo gli ideali cui essa si ispirava, avrebbe comportato momenti di duro impegno ed anche grandi sacrifici. (Giovanni Leone)

Su cosa poggia la speranza della repubblica? Un paese, una lingua, una bandiera! (Alexander Henry)

La pena che i buoni devono scontare per l'indifferenza alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi. (Socrate)

Questa repubblica non fu fondata dai codardi; e i codardi non saranno in grado di preservarla. (Elmer Davis)

Nella vita a volte è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza. (Sandro Pertini)

Libertà di pensiero,
forza nelle parole,
purezza nel nostro sangue,
orgoglio nelle nostre anime,
zelo nei nostri cuori,
viva l'Italia, viva la Repubblica.
(Anonimo)

La cultura di una nazione risiede nei cuori e nell'anima della sua gente.
Buona Festa della Repubblica!
(Mahatma Gandhi)

L’Italia vuole la pace, perché la pace è un seme che cresce solo se gli uomini imparano a stare insieme. (Anna Sarfatti, La costituzione raccontata ai bambini)

La repubblica è il governo della gente onesta, e se ne vide la prova in tutte le epoche. Esse durano mentre virtuose, e cadono quando corrotte e piene di vizi. (Giuseppe Garibaldi)

L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Degli altri. All'estero. (Anonimo)

È la festa della Repubblica e noi siamo il banchetto. (ChiNonMuore1, Twitter)

Ma se oggi è la festa della REPUBBLICA, domani festeggiamo il CORRIERE DELLA SERA?! (doppio_G, Twitter)

Meno male che nel '46 hanno votato repubblica, che con la monarchia non avremmo una giornata di ferie oggi. (TristeMietitore, Twitter)

Stringiamoci a corte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
il DIVANO chiamò, sì!
(FranAltomare, Twitter)

Art. 1 - L'Italia è una repubblica sfondata. (Dio, Twitter)

Quanto ci sembra normale, la parola Repubblica. Grazie a chi l'ha fatta, grazie a chi si impegna per non distruggerla. (insopportabile, Twitter)

La festa della Repubblica mi ha sempre un po' spiazzato perché non ho mai capito se si debba fare o no la grigliata. (Tremenoventi, Twitter)

Festa della Repubblica all'insegna del low cost. Buon 1,99 giugno a tutti. (ItsCetty, Twitter)

L'Italia è una repubblica anti-democratica fondata sul fancazzismo, su gente che si lamenta sempre anche quando trova un lavoro fisso. (_RoteFuchs, Twitter)

L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro ma:
- Stage gratuito
- Lavoro senza contratto
- Lavori e vuoi essere pagato?
(_iaci, Twitter)

Oggi si festeggia il referendum che ha sancito la nascita della Repubblica Italiana e l'ultima volta che è servito a qualcosa andar a votare. (dudek_kvar, Twitter)

La parata del 2 giugno all'insegna del silenzio e della sobrietà. I soldati avranno le pattine. (insopportabile, Twitter)

Svegliarsi ogni giorno in una Repubblica e non darlo mai per scontato. Buon 2 giugno, gente. (insopportabile, Twitter)

L'Italia è una repubblica democratica fondata sull'è meglio di niente. (mixmic76, Twitter)

L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, infatti il 2 giugno sfilano gli unici che hanno un lavoro garantito. #FestadellaRepubblica
(Rubinomauro, Twitter)

#2giugno, tutti concordi: è la nascita della Repubblica. Pareri discordanti invece sulla data del decesso e le modalità. (LaPausaCaffè, Twitter)

Festeggio il 2 giugno con le parole di Obi-Wan Kenobi: "Per oltre mille generazioni i Cavalieri Jedi sono stati i guardiani di pace e giustizia della Vecchia Repubblica. Prima dell'oscurantismo, prima dell'Impero." Buona Festa della Repubblica, ovunque tu sia. (orporick, Twitter)
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Simbolo croce con la tastiera del pc: come si fa


Qui di seguito riportiamo le croci più cercate e che sono reperibili anche nella mappa caratteri di Windows. Per alcune di esse è presente la combinazione tasti per attivarle (tasto ALT + un numero), per le altre, invece, non vi resta altro da fare che copiarle e incollarle ovunque vogliate.

Ricordiamo che essendo caratteri ASCII è possibile incrementarne le dimensioni (anche perché nella loro forma originale non si riescono a distinguere bene), il colore (blu, rosso, nero, giallo) e la forma (corsivo, grassetto).



Tipi di croci: tabella

Simbolo Descrizione
+ segno più, addizione
incrocio
croce doppia
croce doppia in verticale
croce doppia in orizzontale
obelisco
doppio obelisco
croce siriaca occidentale
croce latina ombreggiata
croce latina delineata
croce di Lorena
croce ortodossa
croce greca
croce greca delineata
croce di Gerusalemme
croce aperta centralmente
卐 o 卍 svastica
croce di Malta



Simboli croce: spiegazione approfondita

+ = simbolo che viene usato per l'addizione. Si trova vicino al tasto Invio (Enter), nella stessa posizione dell'asterisco e della parentesi quadra chiusa. Nelle tastiere con tastierino numerico a sinistra si può trovare un secondo pulsante per la creazione del segno più.


= Questa probabilmente rappresenta un incrocio, perché si trova nella sezione delle linee. Stesse discorso vale per le tre che seguono. Il codice è Alt+197.


= Croce con due linee verticali e due orizzontali. Il codice è Alt+206.


= Croce con due linee verticali e due orizzontali.


= Croce con una linea verticale e due orizzontali.


= L'obelisco, anche detto pugnale o spada, è un segno tipografico di uso specifico e limitato. Graficamente consiste essenzialmente in una croce a due o tre bracci. La forma più diffusa è oggi quella semplice, preferita solitamente a quella dotata di grazie (arrotondamenti), un tempo più utilizzata. Il codice è Alt+0134.


= Doppio obelisco. Il codice è Alt+0134.


= Croce siriaca occidentale.


= Croce siriaca orientale.


= Croce latina bianca e ombreggiata.


= Croce latina delineata.


= La croce di Lorena è un simbolo a forma di croce con doppia trasversa (croce patriarcale).


= La croce ortodossa, anche chiamata croce russa, è una variante della croce patriarcale.


= La croce greca è una croce formata da quattro bracci di uguale misura che si intersecano ad angolo retto.


= Croce greca delineata.


= La croce di Gerusalemme è un antico simbolo dei cristiani d'oriente.


= Croce aperta centralmente.


o = La svastica è un antico simbolo religioso e propizio per le culture originarie dell'India quali il Giainismo, il Buddhismo e l'Induismo. Durante il Primo dopoguerra fu adottato dal Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (Partito nazista) come simbolo dello stesso, finendo per essere inserito nella bandiera ufficiale della Germania nazista.


= Croce di Malta, anche nota anche come croce di san Giovanni, fu simbolo della repubblica marinara di Amalfi almeno sin dall'XI secolo, come confermano alcuni tarì amalfitani del 1080 sui quali campeggia chiaramente tale croce.
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Infine o In fine: come si scrive?


Infine

Entrambe le forme sono corrette: il termine "infine", tuttavia, risulta essere maggiormente abituale.

Lo si usa, solitamente, quando si deve elencare una lunga serie di cose e si vuole dare un certo effetto alla frase quando si sta per nominare l'ultima dell'elenco, quasi a voler dire "e finalmente abbiamo finito di elencare".
Vai al mercato e comprami: carote, cavoli, lattughe, zucchine e infine pomodori. 


Oppure quando si vuole chiudere un lungo discorso.
Infine è giusto ricordare che il cambiamento deve partire da noi stessi.



In fine

Il termine "in fine", invece, è classificato come meno comune. Chi non è a conoscenza della sua esistenza potrebbe considerarlo un errore, anche se non lo è.

Ad esempio, nelle Operette morali, Giacomo Leopardi scriveva:
Il che se io credessi, ti giuro che la morte mi spaventerebbe non poco. Ma in fine, la vita debb’ esser viva, cioè vera vita; o la morte la supera incomparabilmente di pregio.


Un altro utilizzo corretto è quando si vuole dire "in fine di pagina", perché in questo caso "in fine" non è un avverbio ma un complemento di luogo. Ma è comunque raro trovarlo perché suona meglio dire "in fondo alla pagina".



Sinonimi ed esempi

Alcuni sinonimi di "infine" sono: finalmente, poi, e per ultimo, e alla fine, e per finire, in conclusione. A seconda del tipo di frase si deve scegliere quello più adatto.


ESEMPIO:
- Ed infine (finalmente/e alla fine) anche l'ultima candela si spense e restammo al buio.
- Si ringrazia infine (in conclusione) la signora Giovanna per questa meravigliosa festa.
- Da giovane ha fatto prima il calciatore poi il nuotatore e, infine (e per ultimo), il pugile.
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Facce o Faccie: come si scrive?



La forma corretta è facce, senza la i.
È sempre sbagliato scrivere faccie.


La regola grammaticale

Tutte le parole che al singolare terminano in -cia e in -gia devono sottostare a una regola ben precisa per formare il plurale. Andiamo ad analizzare più nel dettaglio i seguenti casi:

1) Quando la parola termina in CIA/GIA e questo gruppo di lettere è preceduto da VOCALE, si mantiene la I.

Camicia » Camicie (il camice è quello degli infermieri)
Ciliegia » Ciliegie
Magia » Magie


2) Quando la parola termina in CIA/GIA, ma questa volta il gruppo di lettere è preceduto da CONSONANTE, si perde la I. È il caso della parola "faccia" che al plurale diventa "facce".

Faccia » Facce
Focaccia » Focacce
Arancia » Arance
Goccia » Gocce


In sintesi, si deve solo guardare la lettera che si trova prima di -cia o di -gia nella parola scritta al singolare: in presenza di una vocale, il plurale sarà con la i; in presenza di una consonante, senza i.

Alcuni plurali fanno eccezione alla regola come avviene per il sostantivo "provincia" che può essere trovato scritto in entrambi i modi (province e provincie). Generalmente vengono accettati in qualità di grafie alternative e indicati dai dizionari poiché appartenenti alla tradizione letteraria italiana.
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Tesina su Luigi Pirandello - Terza Media


Luigi Pirandello (Girgenti, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936) è stato uno dei più grandi scrittori e poeti italiani, oltre che un drammaturgo eccezionale. A coronare la sua gloriosa carriera ci ha pensato il Premio Nobel per la letteratura del 1934, il quale gli fu assegnato due anni prima che morisse. Tra le sue opere più importanti vi sono la raccolta di racconti "Novelle per un anno", e i romanzi "Il Fu Mattia Pascal" e "Uno, nessuno e centomila".
Tra le opere teatrali: Il Berretto a Sonagli, Così è (Se vi pare), Pensaci Giacomino, Sei personaggi in cerca d’autore, Il Giuoco delle Parti, Enrico IV.
Secondo Pirandello l'uomo indossa una maschera. Ossia, ogni individuo si rapporta con la "gente" nel modo in cui questa lo descrive. Inoltre, ogni uomo ha più caratteri e più sfaccettature (maschere).
Ad esempio: La professoressa Elena a casa rappresenta il ruolo di mamma estremamente buona e comprensiva. A scuola, invece, rappresenta e si comporta come la severa, dura, e pignola professoressa.
Questi due comportamenti sono contrapposti, ma del tutto reali.
In sintesi, l'individuo si comporta in una maniera diversa da ogni luogo e tempo in cui si trova, coprendosi il volto di una maschera che nasconde la sua vera personalità.


Storia:
- Il Fascismo (fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti)

- La prima guerra mondiale

- La Seconda rivoluzione industriale


Geografia:
- Gli Stati Uniti

- Il Corno d'Africa (Dopo l'ascesa di Benito Mussolini, a fine 1935 l'Italia fascista, affrontò e sconfisse definitivamente l'Etiopia, occupando Addis Abeba il 9 maggio 1936 e creando l'Africa Orientale Italiana)


Italiano:
- Pirandello vita e poetica


Inglese:
- Hollywood (Nel 1930 Pirandello si reca ad Hollywood per le riprese del film tratto dalla sua opera teatrale Come tu mi vuoi.)

- Oscar Wilde "Il ritratto di Dorian Gray" (il tema della maschera dell'eterna giovinezza o la fuga dal reale come in Pirandello)

- Victorian Age (visto tra realtà e apparenza)


Francese:
- La Volupté de l'honneur - Il piacere dell'onestà

- Baudelaire "La Masque" (la maschera, collegabile a Uno, nessuno e centomila)


Scienze:
- Il cervello (la moglie Maria Antonietta Portulano aveva una malattia mentale)

- Lo zolfo (la famiglia di Pirandello viveva agiatamente grazie al commercio e all'estrazione dello zolfo)


Tecnologia:
- Il cinema (era un grande appassionato di cinematografia - è stato tratto un film dal suo romanzo Il fu Mattia Pascal)

- Pirandello e il progresso (la meccanizzazione porta all'alienazione dell'uomo)


Arte:
- L'Espressionismo (Pirandello grazie alle sue scomposizioni dei personaggi e alla loro trasformazione in maschere ha messo in evidenza il problema fra essenza e apparenza).


Musica:
- Robert Schumann (compositore molto apprezzato da Pirandello, riguardo la sua musica diceva "una suonata di Schumann mi fa sognar tre ore, e ciò che mi lascia nell'anima da parole umane non può venir manifestato")


Ed. fisica:
- Scherma (per le "maschere" di protezione).
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Tempio o Templio, Tempi o Templi: come si scrive?

Agrigento - Tempio della Concordia

Al singolare


L'unica forma singolare accettata è Tempio, deriva dal latino templum, che significa recinto sacro.

La parola templio non esiste.


ESEMPIO:
- Il tempio per gli Ebrei era il luogo della dimora di Dio.
- Il tempio greco è sempre orientato est-ovest, con l'ingresso aperto verso est.



Al plurale

Il plurale di tempio è templi. Questo è uno dei tanti casi di plurale maschile irregolare.

Non è, invece, un errore scrivere tempi per indicare il plurale di tempio, ma essendo utilizzato anche per il plurale di "tempo", questo termine si sconsiglia di usarlo perché ingenera ambiguità.


ESEMPIO:
- I templi greci più antichi derivano la loro forma dal mégaron, la sala principale del palazzo miceneo.
- La partita è composta da due tempi di 45 minuti.
- Quanti tempi ci sono? (in assenza di altre informazioni sarebbe difficile capire se ci si sta riferendo alla struttura o alla durata di un evento)
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Oli o Olii: qual è il plurale di OLIO?


Un noto modo di dire italiano dice "andare (o filare) liscio come l'olio" per indicare delle situazioni che si sono svolte senza difficoltà e senza problemi. Forse chi lo ha ideato non ha tenuto conto che uno degli errori più diffusi nella lingua italiana si trova nella parola "olio" stessa, o meglio nel suo plurale. Il dubbio riguarda il numero di "i" che bisogna mettere al plurale di olio: oli o olii?

La forma corretta è oli, con una sola i.
Qui di seguito andremo a spiegarne il perché.



La regola grammaticale

1) Il plurale dei sostantivi e degli aggettivi che terminano in -io sarà con due "i" quando quest'ultima è tonica, cioè quando su di essa cade l'accento. Ne sono un esempio i seguenti plurali:
  • addìo > addii,
  • gracidìo > gracidii,
  • leggìo > leggii,
  • oblìo > oblii,
  • pendìo > pendii,
  • vocìo > vocii


2) Il plurale dei sostantivi e degli aggettivi che terminano in -io sarà con una sola "i" quando su di essa non cade alcun accento, perché appunto l'accento si trova su un'altra vocale. E questo è il caso di olio, che diventa oli al plurale.
  • òlio > oli
  • bàcio > baci
  • àglio > agli
  • àgio > agi



Casi di omografia al plurale

La regola precedente è valida fino a quando non ci troviamo davanti a casi di ambiguità come i seguenti:
  • principe > principi, 
  • principio > principii
  • condomino > condomini, 
  • condominio > condominii.

Nel caso di olio, non c'è ambiguità, quindi non necessità il raddoppiamento della vocale.
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Inferno Canto 10: analisi, commento, figure retoriche


Il canto è ancora ambientato nella città di Dite dove scontano la loro pena gli eresiarchi. Dante incontra Farinata Degli Uberti e con egli instaurerà un discorso politico su Firenze (e profezia sull'esilio di Dante). Durante la conversazione vengono interrotti da Cavalcante dei Cavalcanti: questi appare da una tomba scoperchiata per chiedere di suo figlio, ma interpretando male le parole di Dante lo crede morto e sparisce nella disperazione.



Analisi del canto

In questo canto, ambientato nel cerchio degli eretici, si trovano uniti nella stessa tomba due fiorentini della generazione passata: Farinata degli Uberti e Cavalcante. Sicuramente è Farinata il personaggio più importante, che mostra attaccamento alla vita politica, dando origine a un dialogo intenso e in contrasto con i principi di Dante, mentre Cavalcante mostra l'amore per il proprio figlio interrompendo temporaneamente il dialogo degli altri due.


Farinata degli Uberti
Farinata viene descritto fisicamente come un personaggio importante: che si vede dalla cintola in su, con fronte e petto alti e con il tipico sguardo di chi guarda chiunque con disprezzo.
Appartenente alla fazione dei ghibellini e, quindi, avversario del guelfo Dante, a cui gli attribuisce un atteggiamento magnanimo per la sua coerenza nell'agire, per il coraggio e l'amore per la patria. I due si riconoscono perché entrambi parlano la stessa lingua (il toscano) e per l'amore verso Firenze. Di Farinata se ne parla anche nel canto VI (v. 79), quando Dante chiede a Ciacco se le anime "degne" (e in questo elenco era presente anche Farinata) si trovassero nel Paradiso o nell'Inferno. Non si parla molto della pena di Farinata, se non un po' verso la fine del canto, dove si accenna all'accusa di essere un seguace dell'epicureismo.


Firenze e la profezia
I vv. 79-81 ("Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell’arte pesa") sono le parole di Farinata che profetizzano volutamente in modo oscuro il drammatico destino di Dante: l'esilio da Firenze.
Si parlerà di questo evento anche per mezzo di altri spiriti negli altri canti del poema, fino allo svelamento che arriva quando Dante incontra l'avo Cacciaguida.


Il tema politico
Dante Alighieri è nato nel 1265, Farinata degli Uberti è morto nel 1264, cioè un anno prima della nascita di Dante. Ma allora perché Dante sente questa rivalità come se l'avesse affrontato nella vita terrena? Molte sono le ragione, la più importante è che fosse ghibellino (autorità papale) che è la fazione opposta ai Guelfi (autorità imperiale), l'altra ragione è che esisteva una rivalità di casato tra gli Uberti e gli Alighieri.
Tuttavia il Poeta nutre anche rispetto per Farinata perché quando i ghibellini vinsero, fu Farinata a impedire la distruzione di Firenze. Due anni dopo la morte di Farinata, nel 1266, i Guelfi vinsero nella Battaglia di Benevento e si ripresero Firenze, cacciando tutte le famiglie ghibelline (da qui la vicinanza di Dante per il tema dell'esilio). Tra tutte le famiglie ghibelline, fu quella degli Uberti che subì l'accanimento maggiore, e in particolare vent'anni dopo la sua morte, Farinata venne considerato eretico e le sue ossa vennero riesumate e gettate nel fiume Arno. A questa riesumazione era presente anche Dante, che ne restò parecchio impressionato, e sicuramente questa è la ragione per cui abbia voluto ricordarlo nel suo poema.


Cavalcante
L'altra personaggio con cui ha modo di dialogare Dante è Cavalcante Cavalcanti, il padre di Guido Cavalcanti, poeta e amico di Dante. È un personaggio molto diverso rispetto a Farinata, innanzitutto non è importante e imponente come il primo, ed è angosciato per la sorte del figlio, al punto tale da interpretare male parole di Dante finendo per credere suo figlio morto. La funzione del dialogo con Cavalcante serve a interrompere e, quindi, dividere in due parti il dialogo tra Dante e Farinata in modo da creare al lettore maggiore suspense.


Il tema dottrinario: la preveggenza dei dannati
Il fatto che Cavalcante interpreta in modo sbagliato le parole di Dante e arrivi a pensare che suo figlio Guido sia morto (vv. 87 69), genera in Dante dei dubbi circa la preveggenza dei dannati. Ci penserà Farinata a spiegare la situazione (vv. 94-117): la conoscenza del futuro da parte dei dannati (già vista in Ciacco e Farinata) è simile alla vista dei presbiti, che vedono bene da lontano, ma non da vicino. Tale conoscenza del futuro deriva dal contrappasso di un peccato comune a tutti i dannati: l'aver pensato solo al presente, e mai alla vita nell'oltretomba, futura. Questa capacità durerà fino al giudizio universale, il giorno in cui le tombe saranno chiuse in eterno, dopo che i corpi saranno ricongiunti con le anime.



Commento

Una distesa di tombe, un cimitero in cui scontano la pena quei dannati che credettero che l'anima muore col corpo; questo è l'ambiente che hanno di fronte i due poeti. Eretici e materialisti, questi spiriti, dopo il Giudizio universale, giaceranno col corpo per sempre serrati dentro il sepolcro. Un'atmosfera claustrofobica s'afferma sulla scena, quasi tragico contrappasso di chi credette nella vitalità, nella bellezza del vivere, nella libertà del corpo e del pensiero, in una pienezza umana totale ma contingente, sprezzante della dimensione metafisica. Uomini completi, ma ancorati alla terra, gli epicurei rivivono le passioni terrene nel momento in cui incontrano Dante.
Due sono gli affetti che dominano il canto: la passione politica e l'amore paterno. Questi sentimenti sono ammirevoli, capaci di conferire dignità ai personaggi, ma pur sempre cosi temporanei all'occhio del pellegrino Dante in cammino verso la salvezza. Il canto dominato da Farinata, il ghibellino possente e ragguardevole che avvia uno scontro politico con Dante, il discendente di quei Guelfi con cui venne in conflitto a Montaperti e altrove. La diatriba è tipica di due avversari politici che si affrontano senza reticenze: sono due linee ideologiche diverse, ma ciò non significa che l'uno valga meno dell'altro. Seguono nel canto gli eventi fondamentali della lotta tra le due fazioni, costellata di momenti di sangue. Ma c'è un attimo in cui il fiero ghibellino abbassa il tono altezzoso e deciso per abbandonarsi su un ricordo imperioso: egli fu il solo a opporsi alla distruzione di Firenze. Su questo piano Farinata e Dante s'incontrano: al di la della feroce critica alla loro città, entrambi la amano tanto intensamente da doverne subire dolorose conseguenze. Dante infatti viene a sapere da Farinata che presto sarà scacciato da Firenze e costretto all'esilio: l'odio dei concittadini vincerà ancora una volta, come già avvenne con Farinata. Momenti di intensa passione politica s'intrecciano ad altri di tonalità individuale e sentimentale. È Cavalcante Cavalcanti, il padre dell'amico Guido, che offre a Dante lo spunto per affrontare il tema del doloroso amore paterno. Cavalcante ha, dei padri, lo sconfinato amore e l'orgoglio che spinge a esaltare i propri figli, a considerarli unici al mondo. Cavalcante è convinto che il suo Guido sia al di sopra di tutti gli altri intellettuali fiorentini, certamente non lo giudica inferiore a Dante, e si chiede come mai non sia con lui in un viaggio cosi importante. L'assurda domanda svela un retroterra di passioni terrene, di legami intensi, di richiami affettivi che non hanno consolazione. Ancor più sconsolato è poi Cavalcante quando teme che suo figlio sia già morto. Egli non accetta la morte tanto più quella di suo figlio: per lui che ha creduto nella scolarità della vita, l'evento mortale risulta inspiegabile e insensato. Farinata e Cavalcante: due facce di una stessa medaglia, due diverse interpretazioni di una passione per la vita, che la morte ha spezzato definitivamente. A conclusione dell'incontro, a Dante resta l'amaro di una profezia chi presto si avvererà.



Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del decimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 10 dell'Inferno.


O virtù somma = metonimia (v. 4). S'intende "O guida sommamente virtuosa", l'astratto per il concreto.

Che per li empi giri mi volvi = ipallage (v. 4). Cioè usa la parola "giri" sia per dire che lo conduce intorno sia per indicare i cerchi infernali.

Guardia face = anastrofe (v. 9). Che sta per "fa la guardia".

Morta fanno = anastrofe (v. 15). Cioè "che considerano morta".

O Tosco = apostrofe (v. 22). Cioè: "O toscano".

Città del foco = perifrasi (v. 22). Per indicare Firenze.

D’ubidir disideroso = anastrofe (v. 43). Cioè "desideroso di ubbidire".

A me e a miei primi e a mia parte = climax ascendente (v. 47).

Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s’altri era meco = similitudine (vv. 55-56). Sta a significare "Mi guardò intorno, come se avesse desiderio di vedere se c'era qualcun altro con me".

Come? dicesti "elli ebbe"? non viv’elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lume? = climax ascendente (vv. 67-69).

Dolce lume = metafora (v. 69). Per indicare la luce del sole.

Né mosse collo, né piegò sua costa = sineddoche (v. 75), la parte per il tutto.

S’elli han quell’arte, disse, male appresa = iperbato (v. 77). Il verbo "disse" separa "arte" da "male appresa".

La donna che qui regge = perifrasi (v. 80). La donna in questione è Proserpina, identificata con la faccia della Luna.

Lo strazio e ’l grande scempio = endiadi (v. 85).

Il capo mosso = anastrofe (v. 88). Sta per "scosso il capo".

Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, le cose che ne son lontano
= similitudine (vv. 100-101). Sta a significare "Noi, come chi ha un difetto di vista (presbite), vediamo le cose che sono lontane nel tempo".

Il sommo duce = perifrasi (v. 102). Per indicare Dio.

Tutto vede = anastrofe (v. 131). Al posto di "vede tutto", cioè vede ogni cosa.

Di tua vita il viaggio
= metafora (v. 132). Cioè il viaggio, inteso come "il corso della tua vita".

Di tua vita il viaggio = anastrofe (v. 132). Vanno invertiti di posto "il corso della tua vita".

Enjambements = vv. 8-9; 28-29; 46-47; 55-56; 58-59; 121-122.
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Inferno Canto 9: analisi, commento, figure retoriche

Il messo celeste, illustrazione di Gustave Doré

Il canto è ambientato nel VI Cerchio, all'ingresso della città di Dite, e qui sono puniti gli esiarchi. Qui appaiono le tre furie (le Erinni) che invocano Medusa, in grado di pietrificare chiunque incroci il suo sguardo, ma Dante viene prontamente avvertito dal suo maestro e protetto dalle sue stesse mani. Le cose vanno migliorando quando sul posto giunge un messo celeste che minaccia pene più severe a coloro che osano opporsi alla volontà divina (ovvero al cammino di Dante) e con un piccolo scettro rende ai due poeti accessibile il passaggio per la città di Dite.



Analisi del canto

Il canto si presenta come il continuo di quello precedente (Inferno Canto VIII), che aveva creato un clima di sospensione e di attesa per l'arrivo di un inviato celeste.


Il tema morale: la lotta fra il bene e il male
La tensione dei due poeti in attesa dell’aiuto divino è l’indice della difficile battaglia che il bene deve sostenere contro il male. La ragione e la volontà umana (Virgilio) sono insufficienti a vincere il vizio (i demoni), ma la Provvidenza divina non abbandona l’uomo di buona volontà: l’intervento della Grazia, simboleggiata dal Messo celeste (probabilmente un angelo), sconfigge il male. E così il poeta pellegrino può continuare il proprio cammino verso la salvezza.


Il tema allegorico
Come ci avvertono i vv. 61-63, il canto richiede un’attenta interpretazione allegorica: la dottrina si nasconde sotto 'I velame de li versi strani.

Questi sono i significati simbolici delle figure presenti nel canto.
  • Le tre Furie (o Erinni): la cattiva coscienza; la vendetta, la punizione, i rimorsi che tormentavano chi si era macchiato di delitti di sangue.
  • Medusa: il terrore; il dubbio religioso; la disperazione della salvezza.
  • Messo celeste: la dottrina cristiana; la Grazia divina che soccorre chi vuole redimersi (viene in soccorso quando la ragione di Virgilio non basta).



Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del nono canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 9 dell'Inferno.


Di fuor mi pinse = anastrofe (v. 1). Sta a significare "mi colorò sul viso".

Il duca mio = anastrofe (v. 2). Sta a significare "la mia guida".

Più tosto dentro il suo novo ristrinse = anastrofe (v. 3). Sta a significare "subito fece ritirare quello insolito di Virgilio".

Di riguardar disio = anastrofe (v. 107). Sta a significare "desiderio di guardare".

Attento si fermò com’uom ch’ascolta = similitudine (v. 4). Sta a significare "si fermò attento come l’uomo che ascolta".

Trista conca = perifrasi (v. 16). S'intende "la dannata cavità", ovvero l'Inferno.

Di poco era di me la carne nuda = sineddoche (v. 25). Sta a significare "mi ero separato da poco dal mio corpo", cioè "ero morto da poco tempo".

Vegna Medusa
= apostrofe (v. 52). È un invocazione e va intesa come "Venga qui Medusa".

Come le rane innanzi a la nimica biscia per l’acqua si dileguan tutte, fin ch’a la terra ciascuna s’abbica, vid’io più di mille anime distrutte fuggir così dinanzi ad un ch’al passo passava Stige con le piante asciutte = similitudine (vv. 76-81). Sta a significare "Come le rane fuggono tutte sull'acqua dinnanzi alla serpe loro nemica, finché ciascuna si ammucchia sulla terraferma, così io vidi più di mille anime di iracondi fuggire davanti ad uno che attraversava lo Stige camminando, coi piedi asciutti".

Sì come ad Arli, ove Rodano stagna, sì com’a Pola, presso del Carnaro ch’Italia chiude e suoi termini bagna, 114 fanno i sepulcri tutt’il loco varo, così facevan quivi d’ogne parte, salvo che ’l modo v’era più amaro
= similitudine (vv. 112-117). Sta a significare "Proprio come ad Arles, dove il Rodano s'impaluda, e come a Pola, presso il golfo del Quarnaro che è ai confini d'Italia e li bagna, i sepolcri rendono il luogo tutto accidentato, così avveniva qui in ogni parte, solo che il modo produceva più dolore".

Enjambements = vv. 5-6; 19-20; 35-36; 37-38; 58-59; 64-65; 67-68; 73-74; 86-87.
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In forma o Informa: come si scrive?


"In forma" e "Informa" sono due parole simili che esistono nella lingua italiana, ma non hanno nulla in comune nel loro significato.


Informa

"Informa" in analisi grammaticale è voce del verbo informare, modo indicativo, tempo presente, terza persona singolare.

INDICATIVO PRESENTE:
io informo
tu informi
lui/lei informa
noi informiamo
voi informate
loro informano


Informare significa istruire, e quindi dare un'informazione o una notizia. Tale verbo viene spesso usato nelle forme impersonali.


ESEMPIO:
- Si informa la gentile clientela che l'attività resterà chiusa per l'intera giornata.
- Si informa la gentile clientela di riferire qualsiasi atto sospetto al personale.
- Il programma meteorologico ti informa in diretta sulle condizioni del tempo.



In forma

"In forma" sta a indicare uno stato di salute ottimale. Viene spesso usato nelle seguenti espressioni: essere in forma, restare in forma, mantenersi in forma.


ESEMPIO:
- Oggi ti trovo in forma splendida.
- Se vuoi mantenerti in forma dovrai fare palestra anche in inverno.
- Voglio ritornare in forma come qualche anno fa.
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Inferno Canto 8: analisi, commento, figure retoriche

Il passaggio dello Stige ne La barca di Dante di Eugène Delacroix

È il continuo del canto precedente dal momento che Dante e Virgilio si trovano ancora nel V Cerchio (dove sono puniti gli iracondi e gli accidiosi): qui gli appare Flegiàs, simbolo dell'ira violenta e del fuoco, che prima scambia Dante per un dannato e poi traghetta i due poeti nella palude dello Stige. Incontrano Filippo Argenti, un essere malvagio che fa arrabbiare perfino Dante. Infine giungono alla città di Dite ma dei diavoli non gli consentono il passaggio.



Analisi del canto

La vivacità del canto
In questo canto, che è uno dei più movimentati e vivaci dell'intera opera, la scena si sposta velocemente da una parte all'altra: la visione da lontano della città di Dite, l'incontro con Flegias, l’attraversamento della palude Stigia, l’articolato incontro con Filippo Argenti, lo sbarco sotto le mura di Dite, lo scontro con i demoni, e l’attesa di un evento straordinario.


Filippo Argenti
A un personaggio, inizialmente anonimo, è affidato il compito di rappresentare l’intera schiera degli iracondi, Il suo vizio si manifesta in due episodi: il tentativo (fallito) di rovesciare la barca su cui si trovavano Dante e Virgilio, e il suo rabbioso mordersi (coi suoi stessi denti) mentre viene preso di mira dagli altri dannati che urlano il suo nome rivelandone la sua identità.  Da notare come Dante abbia spesso provato compassione per i dannati incontrati nei precedenti cerchi e per alcuni dei quali ha anche versato lacrime (Paolo e Francesca, Ciacco), ma nel caso di Filippo Argenti nutre un desiderio di vendetta e si compiace quando vede la sua cattiva sorte. Lo stesso Virgilio lo loda quando vede Dante mostrare odio verso il dannato. Questo odio potrebbe essere spiegato per la scelta politica di Filippo Argenti che era un Guelfo di parte Nera e, quindi, rivale di Dante. Costui si oppose al ritorno in patria del poeta dopo l'esilio e la famiglia degli Argenti s'impadronì di alcuni beni che appartenevano agli Alighieri.


La città di Dite 
La cittadella infernale ospita i dannati e le colpe più spregevoli, quelle che coinvolsero anche la ragione: l’eresia, la violenza, la fraudolenza. Si può dire che qui cominci l’inferno vero e proprio, e per questo Dante vi incontra l’ostacolo maggiore. Dite è rappresentata come una città-fortezza medievale, con le mura intercalate dalle torri, i segnali luminosi fra i posti di guardia, gli sbarramenti difensivi, i soldati sugli spalti e la porta sbarrata.


I diavoli
In questo canto si ha un assaggio della "commedia" dei diavoli, la cui opposizione per il cammino di Dante è così forte che Virgilio che non riesce a farsi strada nemmeno usando la "formula magica", cioè dicendo che il viaggio di Dante avviene per volontà di Dio. Diventa necessario l'intervento di una forza superiore (alla ragione), l'intervento divino del Messo celeste.




Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche dell'ottavo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 8 dell'Inferno.


Già scorgere puoi = anastrofe (v. 11). Sta a significare "già puoi vedere".

Corda non pinse mai da sé saetta che sì corresse via per l’aere snella, com’io vidi una nave piccioletta venir per l’acqua verso noi in quella = similitudine (vv. 13-16). Sta a significare "La corda di un arco non scoccò mai una freccia che fendesse l'aria così veloce, come io vidi una piccola barca venire verso di noi in quel momento nell'acqua".

Qual è colui che grande inganno ascolta che li sia fatto, e poi se ne rammarca, fecesi Flegiàs ne l’ira accolta = similitudine (vv. 22-24). Sta a significare "Come colui che ascolta un grande inganno che gli è stato fatto, e poi se ne rammarica, così fece Flegiàs ardendo d'ira".

Con piangere e con lutto = dittologia (v. 37).

Lo collo poi con le braccia mi cinse = anastrofe (v. 43). Sta a significare "Poi mi abbracciò al collo con le braccia".

Che ’n te s’incinse = pleonasmo (v. 45). È presente un si pleonastico.

Qui staranno come porci in brago = similitudine (v. 50). Sta a significare "qui all'Inferno saranno come porci nel fango".

Avante che la proda ti si lasci veder = metonimia (vv. 55-56). Sta a significare "Prima che ti sia consentito di vedere l’altra riva".

Vermiglie come se di foco uscite = similitudine (v. 72). Sta a significare "rosse come se fossero uscite dal fuoco".

Sol si ritorni = pleonasmo (v. 91). È presente un si pleonastico.

Udir non potti = anastrofe (v. 112). Sta a significare "Non fui in grado di sentire".

Chiuser le porte que’ nostri avversari nel petto al mio segnor = metonimia (vv. 115-116). Sta a significare "Quei nostri nemici chiusero le porte in faccia al mio maestro".

Enjambements = vv. 1-2; 73-74; 97-98; 104-105; 118-119.
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Far sì che o Far si che: come si scrive?


La locuzione far sì che si scrive in questo modo, con l'accento grave sulla "i". Nel caso in questione starebbe per "far così che...".
Va inserito l'accento per distinguerlo dal "si" particella pronominale.

In caso di dubbio o vuoto mentale potreste sempre utilizzare altre forme simili come: "fare in modo che, affinché, per cercare di fare..." ecc.


ESEMPIO:

"Far sì che" significa "fare in modo che si compia un effetto, cercare di creare volontariamente la situazione o la conseguenza":
  • Devi far sì che il giornale non si bagni = Devi cercare di non bagnare il giornale.
  • Faccio sì che tu capisca = cerco di farti capire / faccio in modo da farti capire.
  • Fa' sì che non si svegli = non farlo svegliare / cerca di non svegliarlo. (si apostrofa il verbo fare perché è il modo imperativo)
  • Bisogna far sì che tutti restino soddisfatti. = fare in modo di soddisfare tutti.
  • Tutti si impegnino a far sì che nessuno sia escluso. = affinché nessuno sia escluso / per cercare di non escludere nessuno.
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    Inferno Canto 7: analisi, commento, figure retoriche

    Canto settimo, gli avari e i prodighi, illustrazione di Paul Gustave Doré

    Questo è il canto in cui Dante e Virgilio fanno il loro ingresso nel quarto cerchio infernale. Qui incontrano Pluto, il guardiano dell'area dove sono puniti gli avari e i prodighi. Questi inveisce contro i due poeti ma viene prontamente rimproverato da Virgilio. In seguito entrano nel V Cerchio (Stige) dove scontano la pena gli iracondi e gli accidiosi.



    Analisi del canto

    La struttura del canto
    Per la prima volta, varia il sistema che fa corrispondere un canto a un cerchio di dannati. Qui infatti vengono narrate le vicende del quarto e del quinto cerchio, e nel passaggio fra le due zone si inserisce una pausa di carattere dottrinario (la disquisizione sulla Fortuna). Si tratta di uno schema che ritroveremo spesso.


    I dannati del quarto cerchio
    Fra gli avari e i Prodighi Dante non riconosce nessuna personalità specifica, l’unico rilievo si riferisce al gran numero di ecclesiastici. In questo modo coinvolge nella condanna l’intera istituzione: la Chiesa si è macchiata di uno dei peccati maggiori, l’avarizia (rappresentata dalla Lupa nel Canto I), che corrompe la sua missione di servizio al popolo cristiano.


    Il concetto di Fortuna
    Nella trattazione dottrinaria, Dante modifica la concezione classica della Fortuna, trasformandola da dea capricciosa in intelligenza celeste e strumento della Provvidenza divina. Attraverso Virgilio spiega che la fortuna è una ministra di Dio, e che le sua funzione è di favorire il passaggio delle ricchezze da un uomo ad un altro, da una famiglia ad un'altra, da un popolo ad un altro, affinché vi sia ricambio nelle sorti materiali dei mortali. Inoltre fa presente che molti dei mortali la maledicono, anche se dovrebbero ringraziarla, ma essa è, per disegno Provvidenziale, una creatura beata e sorda, cioè non sente né le loro imprecazioni, né i loro desideri e talvolta resta indifferente ai loro stessi meriti: sta con le altre creature celesti, gira la sua sfera lieta e beatamente gode della sua condizione.



    Le figure retoriche

    Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del settimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 7 dell'Inferno.


    'nfiata labbia = sineddoche (v. 7). Il termine "labbia" sta per "labbro"; il significato è "volto gonfio di ira".

    Quali dal vento le gonfiate vele caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca, tal cadde a terra la fiera crudele = similitudine (vv. 13-15). Sta significare: "Come le vele gonfiate dal vento cadono ravvolte, se l'albero della nave si spezza, così cadde a terra la belva crudele.".

    Come fa l’onda là sovra Cariddi, che si frange con quella in cui s’intoppa, così convien che qui la gente riddi = similitudine (vv. 22-24). Sta a significare: "Come fa l'onda presso Cariddi, quando si infrange con quella che proviene da Scilla, così quei dannati devono danzare la ridda".

    Così tornavan per lo cerchio tetro = allitterazione della r (v. 31).

    Ontoso metro = metonimia (v. 33). Sta per "parole ingiuriose, parolacce".

    Che è occulto come in erba l’angue = similitudine (v. 84). Sta a significare: "che è nascosto, come il serpente che si annida tra l'erba".

    Questa provede, giudica, e persegue = climax ascendente (v. 86).

    Queste si percotean non pur con mano, ma con la testa e col petto e coi piedi, troncandosi co’ denti a brano a brano = climax ascendente (vv. 112-114). Sta a significare che "Essi si colpivano non solo con le mani, ma con la testa, il petto, i piedi, strappandosi la carne a morsi".

    Queste si percotean non pur con mano, ma con la testa e col petto e coi piedi = enumerazione (vv. 112-113).

    L’aere dolce che dal sol s’allegra = allitterazione della l (v. 122)

    Gorgoglian = onomatopea (v. 125).

    Tristi, aere, allegra, portando, dentro, or, attristiam, negra, gorgoglian, strozza = allitterazione della r (vv. 121-126).
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    Sottoforma o Sotto forma: come si scrive?


    La forma corretta è quella separata, sotto forma.
    Di conseguenza è sbagliato scrivere sottoforma.

    Essa viene usata nella locuzione preposizionale "sotto forma di" per fare riferimento all'aspetto, diverso da quello abituale, con cui appare qualcuno o qualcosa.

    Per esempio, nei poemi omerici, gli Dei erano soliti travestirsi come persone vecchie e deboli per non farsi riconoscere dagli umani che altrimenti li avrebbero trattati diversamente o temuti, per poi riassumere le vere sembianze per punirli o premiarli in base al loro comportamento.

    Un altro comune utilizzo lo troviamo in ambito aziendale, quando si sigla un accordo, e se ne vuole specificare il modo: sotto forma di contratto a voce o scritto.

    Oppure quando un materiale o una sostanza si trova in uno stato piuttosto che in un altro: L'acqua allo stato solido si trova sotto forma di ghiaccio, neve, grandine, brina.


    Nel caso in cui dimenticaste come scrivere correttamente la parola, potreste sempre usare i sotterfugi, ovvero i sinonimi più adatti per sostituirla: "come", nelle sembianze di, in veste di, simile a" ecc.


    ESEMPIO:
    Quando è riferito a una persona:
    La dea si presentò sotto forma di civetta.

    Quando è riferito a qualcosa:
    - È prodotto sotto forma di cristalli bianchi inodori di varie dimensioni.
    - Le opportunità appaiono molto spesso sotto forma di sfortuna o di sconfitta temporanea. (Napoleone)
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    Inferno Canto 6: analisi, commento, figure retoriche

    Gustave Doré, "Il terzo cerchio"

    Questo il canto in cui Dante e Virgilio fanno il loro ingresso nel nel terzo cerchio infernale. Qui incontrano Cerbero (un mostruoso cane mastino gigantesco e sanguinario dotato di tre teste) e i lussuriosi, ovvero coloro che in vita hanno ecceduto con cibi e bevande (tra questi Ciacco e la sua oscura profezia sul destino politico della città di Firenze).



    Analisi del canto

    La struttura
    Così come abbiamo visto nel precedente canto con la descrizione dei lussuriosi, anche il canto VI dedica un intero cerchio infernale, stavolta per i golosi. Il canto può essere suddiviso in tre parti:
    • l'incontro con Cerbero (vv. 1-33), 
    • l'incontro con Ciacco (vv. 34-93);
    • il dialogo tra Dante e Virgilio (vv. 94-115).


    Cerbero
    Cerbero, la cui descrizione è basata sul Libro VI dell'Eneide di Virgilio e sul poema Metamorfosi di Ovidio, con l'aggiunta di caratteristiche uniche aggiunte dallo stesso Dante, è una mostruosa bestia infernale con tre teste appartenente mitologia pagana posta a guardia dei dannati.


    Firenze
    Il canto introduce il tema politico, uno dei temi più importanti dell'intera opera ed è legato alla situazione specifica di Firenze e all'esperienza personale di Dante. L'occasione di discutere di politica si ha quando Dante incontra Ciacco.


    Ciacco
    Ciacco è un concittadino, un contemporaneo di Dante, con il quale entra facilmente in confidenza e dialogano di politica, in particolare quella del comune di Firenze. Per quanto patriottico, Ciacco non sembra essere una persona particolarmente importante nell'ambiente politico. Dante dà l'opportunità a Ciacco di dare un suo punto di vita morale della situazione, che è carico di pessimismo: non lascia intravedere alcuna possibilità di riscatto nei suoi abitanti (che hanno peccato di superbia, invidia e avarizia), condanna la corruzione, il malgoverno e tutti coloro che ostacolano la vita sociale onesta e felice.


    La profezia di Ciacco
    Ciacco profetizza a Dante che ci saranno scontri tra i Guelfi Neri e i Guelfi Bianchi e i fatti raccontati corrispondono precisamente alla realtà perché si tratta di un evento che è già accaduto, nel 1300, mentre l'opera è stata scritta negli anni seguenti.
    Da segnalare che anche il canto sesto del Purgatorio e il canto sesto del Paradiso sono dedicati allo scontro tra papato e impero.


    Il tema dottrinario 
    Nell'ultima parte del canto, Dante si allontana da Ciacco per chiedere a Viriglio se dopo il giudizio universale le anime soffriranno di più, meno o se la loro pena resterà inalterata. Alla richiesta di spiegazioni di Dante, Virgilio risponde rifacendosi alla teologia scolastica dicendo che quanto una cosa è più perfetta tanto più riceverà bene e male, perché ogni sentimento è amplificato. Da ciò si può dedurre che il ricongiungimento dell’anima al corpo provocherà quindi una pena maggiore per i dannati e una maggior beatitudine per le anime del Paradiso.



    Commento

    L'aria nauseante e grigia, che fa da cornice al cerchio dei golosi, suggerisce al lettore monotonia e tristezza. In questa area battuta dalla pioggia insistente imperversa Cerbero, il mostro a tre teste, bestiale e orribile. Il cerchio è di quelli che immediatamente rendono l'odiosità della colpa che vi si patisce: la golosità abbassa l'uomo al rango di bestia; è un peccato indegno della dignità umana e Dante ne prende le distanze. Ciononostante, Ciacco, il personaggio con cui parla, ha una sua dignità, in quei frammenti di vitalità che gli sono concessi per avviare il colloquio. Benché incerta sia la sua identità (Ciacco è un nome o un soprannome?), Ciacco si fa tuttavia portavoce di un attacco politico-morale contro i fiorentini, che culmina nella profezia del prossimo trionfo dei Neri. Tradizionalmente i canti sesti delle tre Cantiche vengono inseriti nel filone politico della Commedia, anche se la politica attraversa tutta l'opera dantesca, come un argomento particolarmente caro al poeta.
    Superbia, invidia, avarizia: ritornano le odiose fiere che ricacciarono Dante nella selva oscura, vizi radicati nella Firenze del tempo, causa e conseguenza delle guerre tra fazioni nella città. Ciacco li denuncia, sottolineando che i giusti sono estremamente pochi (due, afferma paradossalmente). Il triste sfogo del fiorentino trova Dante concorde e così angosciato della situazione che, spontanea, s'affaccia in lui la richiesta di notizie sui più ragguardevoli e stimati uomini politici del passato: Farinata, il Tegghiaio...
    Ma indiscutibile, seppur inaspettata, è l'affermazione di Ciacco: sono tra le anime più nere. Il poeta, sottile conoscitore dell'animo umano, questa volta ha realizzato un colpo di scena, capace di tener alto l'interesse del lettore, rianimare l'ambientazione deprimente della pioggia che batte ossessiva sulle anime immerse nel fango, avviare alla conclusione un incontro inquietante. Nei versi precedenti Dante ha infatti saputo che i Bianchi, prima vincitori, saranno poi definitivamente sconfitti dai Neri, con l'appoggio del papa Bonifacio VIII. La situazione minacciosa impone al poeta un ritorno nostalgico all'eroico passato della città, ma la risposta di Ciacco gli ripropone con urgenza il problema fondamentale sul quale deve concentrarsi: la salvezza dell'anima sua e dell'umanità intera. La politica, pur cara al cuore del poeta, va comunque inserita in una dimensione di precarietà ed egli verifica con certezza che l'amor di patria e la dignità non bastano a salvare l'uomo. L'appassionato politico si fa di nuovo pellegrino, nella consapevolezza, sempre più acuta, che il problema maggiore per l'uomo è quello di dare un senso certo alla sua esistenza, pur nella fragilità di una condizione sempre provvisoria.
    Dante ha compiuto un altro grande passo avanti verso la conquista di sé e Ciacco può ormai riprendere la sua tragica posizione di anima immersa nel fango maleodorante. Mentre i suoi occhi biechi lanciano un ultimo sguardo alla vita, Dante apprende da Virgilio che il dannato non si sveglierà più fino al giorno del Giudizio universale.



    Le figure retoriche

    Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del sesto canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 6 dell'Inferno.


    Novi tormenti e novi tormentati = figura etimologica (v. 4).

    Come ch’io mi mova e ch’io mi volga, e come che io guati = climax (vv. 5-6). Sta a significare "in qualunque modo mi muova, mi giri, e mi guardi intorno".

    De la piova etterna, maladetta, fredda = allitterazione della d (vv. 7-8).

    Etterna, maladetta, fredda e greve = climax (v. 8).

    Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra = allitterazione della r (vv. 13-14). Serve a dare un valore espressivo del verso per dare rilievo e allungare la durata del latrato assordante di Cerbero.

    E ’l ventre largo, e unghiate le mani = chiasmo (v. 17). Sta a significare "il ventre gonfio e le zampe con artigli".

    Graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra = climax ascendente (v. 18). Sta a significare "graffia, scuoia e fa a pezzi i dannati".

    Urlar li fa la pioggia come cani = anastrofe (v. 19). Sta a significare che "la pioggia li fa urlare come cani".

    Come cani = similitudine (v. 19).

    De l’un de’ lati fanno a l’altro schermo = anastrofe (v. 20). Sta a significare "cercano di proteggersi l'un l'altro coi fianchi".

    Qual è quel cane ch’abbaiando agogna / Qual è quel cane ch’abbaiando agogna = similitudine (vv. 28-33).

    Tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto = iperbato (v. 42). Sta a significare "tu nascesti prima che io morissi".

    La tua città, ch’è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena = iperbato (v. 50). Sta a significare "La tua città, che è tanto piena di invidia che ormai ha raggiunto il limite, mi ospitò nella vita terrena".

    Trabocca il sacco
    = metafora (v. 50). Sta a significare che si è raggiunto il limite.

    A la pioggia mi fiacco = anastrofe (v. 54). Sta a significare "sono fiaccato dalla pioggia".

    Ch’a lagrimar mi ’nvita = anastrofe (v. 59). Sta a significare "che mi viene da piangere".

    Verranno al sangue = metonimia (v. 65). L'effetto per la causa. Sta a significare che verranno allo scontro violento.

    Tal che testé piaggia = perifrasi (v. 60). Per indicare Papa Bonifacio VIII.

    Alte terrà lungo tempo le fronti = iperbato (v. 70). Sta a significare che "la fazione dei Neri reggerà alte le sue sorti politiche".

    Le tre faville c’hanno i cuori accesi = metafora (v. 75). Per indicare le cause della discordia.

    Di là più che di qua essere aspetta = anastrofe (v. 111). aspetta di essere di là dal Giudizio universale che di qua.

    Enjambements = vv. 7-8; 32-33; 46-47; 49-50; 100-101.
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    Inferno Canto 5: analisi, commento, figure retoriche

    Minosse - Raffigurato da Gustave Doré

    Questo è il canto in cui Dante e Virgilio fanno il loro ingresso nel nel secondo cerchio infernale. Qui incontrano Minosse (essere dall'aspetto animalesco che gli ringhia contro) e i lussuriosi, ovvero coloro che sono morti violentemente per amore (tra questi Paolo e Francesca, con i quali Dante ha modo di conversare).



    Analisi del canto

    Uno schema che si ripete
    Il canto può essere suddiviso in tre parti secondo uno schema già visto e che si ripeterà nei successivi cerchi infernali:
    • l'incontro con Minosse, giudice infernale e guardiano del cerchio dei lussuriosi;
    • Virgilio che usa la famosa espressione per spiegare a Minosse che il viaggio di Dante sta avvenendo per volontà di Dio;
    • la descrizione del secondo cerchio infernale;
    • la descrizione dei lussuriosi e la loro pena per contrappasso;
    • l'incontro con Paolo e Francesca, i principali protagonisti del canto. 


    Paolo e Francesca
    Molto importante nella Divina Commedia è l'incontro di Dante e Virgilio con Paolo e Francesca: particolare è la loro condizione di dannati dal momento che sono gli unici lussuriosi a procedere in coppia; inoltre è anche la prima anima dannata con cui Dante inizia un dialogo vero e proprio. A parlare dei due è Francesca che accenna alla triste vicenda, che l'ha condotta a scontare in questo cerchio infernale la sua colpa, senza entrare nel dettaglio. 
    Francesca è presentata come un personaggio dopotutto forte d'animo perché anche in quella situazione di estrema sofferenza, che durerà in eterno, non rifiuta di raccontare quasi con un pizzico di fierezza la sua storia d'amore con Paolo. L'amore descritto da lei è eterno e immortale e non è affatto pentita del tradimento da lei commesso. La loro pena è giudicata da entrambi, seppur grave, meno tremenda di quella del marito di Francesca che li ha uccisi e sta nel girone degli assassini. Il pianto di Paolo è in parte una dolorosa conferma delle parole di Francesca, in parte l'emozione di entrambi all'amaro ricordo della loro vita e del loro amore, ma in esso si può anche vedere riflesso lo stato d'animo di Dante stesso. Dante è sicuramente colpito e rattristato dalla sorte dei due, tant'è che piange nell'ascoltare il racconto di Francesca e dal fatto che al termine di esso cade svenuto per la grande emozione si può inoltre notare che il poeta dà a Francesca una sfumatura di fierezza, la dipinge come devota anche se dannata eternamente e assolutamente non giustifica il gesto del marito che uccide gli amanti, dando loro quasi una rivincita avendo una pena più lieve.
    Il problema è che così tanto amore distoglie l'uomo dal vero amore, che è Dio, e quindi di amare la creatura di Dio e non il creatore.




    Commento

    Una violenta bufera di vento travolge le anime e Dante, che ha appena incontrato Minosse, il mostruoso giudice infernale, viene immerso nel mezzo della tragedia dell'Inferno. Il buio e le urla non danno scampo come non lo dà all'uomo il piacere dei sensi, quando è troppo forte per essere tenuto sotto controllo. Dante subito chiarisce la sua posizione: in questo cerchio si trovano i lussuriosi, cioè coloro che la ragion sommettono al talento (= che fanno prevalere l'istinto sulla ragione). Ma questo talento esercita un malioso fascino sul poeta, che pure è consapevole che esso conduce alla perdizione. Di fronte al trascorrere della schiera dei peccatori, dove intravede diversi personaggi mitici, Dante sente una profonda pietà. Anch'egli forse ha conosciuto il talento, la passione carnale, comunque ha subito la seduzione di quegli appetiti terreni che danno piacere all'esistenza ma che la perdono irrimediabilmente quando diventano incontrollabili: così Didone si suicida disperata dopo l'abbandono di Enea, Cleopatra si lascia avvelenare dall'aspide e muore prima di essere catturata dai Romani, Tristano viene ucciso dal marito tradito della sua Isotta tragicamente amata.
    Dante coglie dell'amore tutta l'energia misteriosa, il tremendo potenziale capace di trasformare l'uomo in un essere felice e appagato o di annientarlo completamente. Eros, nel mito classico, era il dio temuto dallo stesso Giove; le sue frecce infatti producevano una ferita insanabile: bene lo seppe la giovane Medea che, in questo modo, si innamorò perdutamente di Giasone.
    L'amore non dà tregua, non conosce pause, impone il suo dominio. Possessivo e travolgente, come una bufera investe l'esistenza e l'esito di questo turbinio è del tutto incerto. "Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto": così narra Francesca, l'infelice dannata con cui Dante viene a colloquio, lei che, poco dopo, rivela come l'amore che l'ha travolta insieme con Paolo sia nato proprio da quel momento di inquietante piacevolezza. Eros ha avuto il sopravvento e ha annebbiato ogni ragione. Dove sono finiti i sacri patti delle nozze, dove il divieto, consolidato nel tempo, di un amore che sorge fra le stesse pareti domestiche?
    L'amore non conosce regole né convenzioni ma solo l'intensità misteriosa che attrae due vite. Dante riflette sull'amore e si domanda come possa essere potenzialmente distruttiva una forza così intrinseca alla natura umana, tanto che l'uomo che non ama non solo è infelice ma anche turbato nel suo equilibrio emotivo.
    Il poeta scopre che l'amore-passione dei lussuriosi è solo un aspetto dell'amore, il più immediato e istintivo, ma anche il più fragile, perché non sottoposto al controllo della ragione. L'amore come trasgressione affascina Dante, che tuttavia è in grado di riconoscerne i limiti etici, e la sua pietà per i due spiriti condotti alla morte è così alta che sviene.



    Le figure retoriche

    Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del quinto canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 5 dell'Inferno.


    Enjambements = vv. 7-8; 11-12; 23-24; 25-26; 64-65; 67-68; 70-71; 113-114; 127-128.

    Che men loco cinghia = anastrofe (v. 2). Significa che "cinge uno spazio minore".

    Tutta si confessa = anastrofe (v. 8). Sta a significare che "si confessa tutta", cioè senza nascondere alcun peccato.

    Loco d’ogne luce muto = sinestesia (v. 28). Significa che è un luogo totalmente buio.  La luce appartiene al senso della vista, il termine muto al senso dell'udito.

    Come fa mar per tempesta = similitudine (v. 29). Sta significare che "risuona come il mare in tempesta".

    Quivi le strida, il compianto, il lamento = ellissi (v. 35).

    E come li stornei ne portan l’ali nel tempo freddo = similitudine (vv. 40-41). Sta a significare "e come d'inverno gli stornelli sono trasportati in volo dalle loro ali".

    E come i gru van cantando lor lai = similitudine (v. 46). Sta a significare "e come le gru emettono i loro lamenti".

    Quali colombe, dal disìo chiamate = similitudine (v. 82). Sta a significare "come le colombe chiamate dal desiderio".

    Che visitando vai = anastrofe (v. 89). Sta a significare "che vai visitando".

    O animal grazioso e benigno = sineddoche (v. 88). Si riferisce alla specie umana classificandola come genere animale.

    Il re de l'universo = perifrasi (v. 91). S'intende Dio.

    Dove nata fui = anastrofe (v. 97). Sta a significare "dove sono nata".

    Amor, ch’a nullo amato amar perdona = annominazione (v. 103).

    Amor = anafora (v. 100, 103 e 106).

    Il disiato riso esser basciato = metonimia (vv. 133-134). L'astratto per il concreto.

    Quel giorno più non vi leggemmo avante = preterizione (v. 138).

    Come corpo morto cade = similitudine (v. 142). Sta a significare "e caddi come un corpo privo di vita".
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    Inferno Canto 4: analisi, commento, figure retoriche

    Dante vede i non battezzati

    Questo il canto in cui Dante e Virgilio fanno il loro ingresso nel Limbo, luogo in cui si trovano le anime che non ebbero peccati, se non quello originale di non essere stati battezzati: vi si trovano quindi i bambini nati morti, le persone decedute prima della venuta di Cristo (come lo stesso Virgilio) e quelle che per varie ragioni non ebbero modo di conoscere il suo messaggio (come i musulmani). In questo canto incontrano i grandi poeti antichi: Omero, Orazio, Ovidio e Lucano.



    Analisi del testo

    Il luogo dell’azione
    Sul luogo dell’azione, il Limbo — ripreso dalla tradizione classica — si concentrano i motivi del canto: la condizione dei dannati, la questione del battesimo, la dimensione affettiva per l’anima di Virgilio, la presenza degli spiriti magni del passato, i significati simbolici.


    Virgilio e il Limbo
    Trova espressione nel canto il tema del destino particolare di Virgilio, motivo psicologico centrale nella Commedia. Egli insiste nello specificare che questi spiriti non peccarono e anzi furono virtuosi ed eccellenti, perché in questo modo esprime anche un giudizio su stesso, che proprio qui ha sua eterna sede.


    L'incontro con i poeti
    Inizia con questa implicita definizione dei massimi autori antichi la serie di incontri di Dante con altri poeti, che proseguiranno in tutta l’opera come occasione di riflessione e giudizio sull’attività artistica.


    La questione teologica: il battesimo
    Dante, moralmente tormentato dal problema della dannazione di anime innocenti e nobili ma non cristiane, espone qui il dogma sul sacramento del battesimo. Il tema verrà ripreso e chiarito in Paradiso, proprio nel cielo della giustizia divina.



    Commento

    Superata la fase di incoscienza, Dante si risveglia e si accorge di aver attraversato l'Acheronte, e si guarda intorno per cercare di capire dove si trova. Dante appare più attivo del solito, forse perché è appena uscito dal sonno del peccato, ma a questa scena fa da contrasto il turbamento di Virgilio che partecipa all'angoscia delle anime eternamente condannate alla sofferenza e alla privazione di Dio (questa scene rende più umana la figura di Virgilio).
    Ancora Virgilio protagonista: egli anticipa la domanda di Dante, quasi fosse desideroso di chiarirgli la condizione di quella schiera di dannati a cui egli stesso appartiene. Essi non sono peccatori, anzi possono aver avuto meriti in vita; la loro unica colpa è quella di non aver conosciuto la vera fede, essere morti senza battesimo o, nel caso di quelli vissuti prima di Cristo, non aver creduto nel vero Dio.
    Ora essi sono condannati a desiderare Dio, senza alcuna speranza di poterlo raggiungere. Le parole di Virgilio sono un misto tra la consapevolezza della propria innocenza e rassegnazione al proprio destino.
    La lezione è amara anche per Dante perché pure gli uomini di elevate qualità intellettuali e morali non possono con le loro forze raggiungere la verità e la felicità. È la fede l'unico modo per salvarsi. 
    Dante vede in lontananza genti degne di onore i cui loro gesti e le loro parole sono un esempio di gentilezza e rispetto e sono in grado di esaltare i valori più elevati come l'onore, la fama e la poesia, ovvero i valori che hanno contraddistinto il mondo classico e che sono più cari a Dante sente; essi non sono in contrasto con i valori cristiani, anzi Dio stesso mostra di pregiarli (grazia acquista in ciel che sì li avanza).
    Dopo l'intenso parlare dei sei poeti spariscono la confusione dei sensi e l'angoscia del cuore che erano subentrati mettendo piede nel mondo dei dannati.
    L'ultima parte del canto contiene una rassegna di grandi personaggi dell'epopea troiana e romana e dei massimi esponenti del pensiero filosofico e scientifico antico e comunque non cristiano.



    Le figure retoriche

    Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del quarto canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 4 dell'Inferno.


    Sì ch’io mi riscossi come persona ch’è per forza desta = similitudine (vv. 1-2). Sta a significare "così che io mi scossi come qualcuno che si sveglia di soprassalto"

    Allitterazione della r = "ascoltare, sospiri, aura, etterna, tremare, martiri, turbe, eran, viri" (vv. 25-30).

    Un possente = perifrasi (v. 53). Si riferisce a Gesù Cristo che è sceso negli Inferi.

    Di spiriti spessi = metafora (v. 66). Inteso come fitta folla di spiriti e non come spiriti più grandi in larghezza.

    A noi venire = anastrofe (v. 83). L'ordine più corretto sarebbe dovuto essere "venire a noi".

    Che vien dinanzi ai tre sì come sire = similitudine (v. 87). Significa che precede gli altri come il loro signore

    Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano = chiasmo (v. 90). Nel caso in questione Ovidio e Lucano sono nomi di due poeti, mentre tero e ultimo sono aggettivi numerali.

    Quel segnor de l’altissimo canto = perifrasi (v. 95). Si riferisce a Omero, maestro della poesia che scrisse altissimi versi.

    Che sovra li altri com’aquila vola = similitudine (v. 96). Sta a significare che Omero scrive altissimi versi, così alti che gli permettono di volare sopra gli altri come un'aquila.

    E più d’onore ancora assai mi fenno = anastrofe (v. 100). Sta a significare "e mi resero (fenno) un onore ancora maggiore".

    Questo passammo come terra dura = similitudine (v. 109). Significa "lo oltrepassammo come se fosse terra asciutta".

    Il verde smalto = metonimia (v. 118). S'intende il prato verde sopra il castello.

    Democrito, che ‘l mondo a caso pone, Diogenes, Anassagora e Tale, Empedocles, Eraclito e Zenone = enumerazione (vv. 136-138).
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    Inferno Canto 3: analisi, commento, figure retoriche

    L'Antinferno (1499-1502), Luca Signorelli, Cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto

    Questo è il canto in cui Dante e Virgilio giungono alla porta dell'Inferno, leggono la celebre frase posta su di essa, e poi entrano nell'antinferno dove incontrano gli ignavi, ovvero coloro che in vita non presero mai una posizione (tra questi Celestino V).



    Analisi del canto

    La porta dell’inferno
    Attraverso le drammatiche parole incise sulla porta dell’inferno si riesce a trasmettere tutto il dolore a cui sono condannate per sempre le anime che si trovano nella città infernale. Rispetto al secondo canto che faceva riferimento alla sicurezza e alla protezione (le tre donne benedette, il tema dottrinario e la conversione di Dante), in questo canto l'atmosfera subisce un cambio netto, si entra nel vivo della scena che scorre più velocemente e si avverte il pericolo e la paura ancor prima di attraversare quel varco (la porta infernale).


    Caronte
    Caronte è la prima figura demoniaca che Dante incontra nella Divina Commedia, il cui ruolo è quello di traghettatore dell'Ade e trasporta le anime dei dannati da una riva all'altra del fiume Acheronte.
    Come base per la descrizione di questo personaggio, Dante userà quella di Virgilio nell'Eneide (Libro VI 298-304): come vecchio e canuto, come nocchiero con la barba e gli occhi infuocati, come demonio severo, ordinato e sistematico. 
    Il Caronte dell'inferno dantesco si differenzia da quello di Virgilio perché viene infernalizzato, ovvero perde la sua virilità e la sua forza ma diventa un semplice esecutore in negativo della volontà divina (un demonio).
    Da segnalare la profezia di Caronte quando inizialmente si rifiuta di trasportare Dante perché è ancora in vita, e gli spiega che non è la barca adatta a lui e che deve attraversare il Regno dei morti per un altro luogo, questo è un riferimento al Purgatorio.


    La volontà divina
    Chiaramente Caronte si rifiuta di trasportare Dante perché ha un compito da svolgere, ma a risolvere la situazione a favore del suo allievo ci penserà Virgilio che ammonirà Caronte: il viaggio di Dante sta avvenendo per volontà divina. Questa spiegazione verrà usata da Virgilio anche in future occasioni in cui la presenza di Dante non è ben vista e viene ostacolato. Alla volontà divina tutti devono obbedire, anche le creature infernali, ed è per questo che i dannati che giungono sulla riva dell'Acheronte corrono incontro alla loro pena.


    Pena e contrappasso
    Nella inferno dantesco si segue la legge del contrappasso: rappresenta il rapporto fra la pena che scontano i dannati nella vita ultraterrena e i peccati che hanno commesso nella vita terrena. 


    Gli ignavi
    Il primo gruppo di penitenti che Dante vede è quello degli ignavi: sono coloro che in vita non vollero prendere posizione, cioè non operarono né per il bene né per il male, e ora sono costretti a rincorrere nudi un insegna mentre vengono pungolati da vespe e mosconi, e ai loro piedi vermi che si nutrono del loro sangue e delle loro lacrime. Rispetto ad altre pene questa non è tra la più dolorose, ma sicuramente la più umiliante. Dante li definisce come individui che non hanno mai vissuto nella loro vita ("che mai non fur vivi").
    Dante vede tra loro "colui che fece il gran rifiuto", un riferimento a Celestino V (che con la sua abdicazione ha ceduto il pontificio a Bonifacio VIII, nemico personale di Dante e a suo giudizio la causa della rovina della Chiesa e dell'umanità), ma non lo nomina perché Virgilio gli dice "non ragioniam di lor, ma guarda e passa", in quanto gli ignavi non meritano nessuna attenzione, devono solamente generare disprezzo negli occhi di chi li guarda.


    I fiumi dell’oltretomba
    La struttura dell'oltretomba è caratterizzata dalla presenza di fiumi e spazi d'acqua. Il primo che Dante incontra è il fiume Acheronte che si trova all'entrata dell'Inferno. Dall'altro estremo vi è il lago ghiacciato Cocito. Alla cima del monte del Purgatorio, che è circondato dall'Oceano, si trovano i fiumi Letè ed Eunoè.




    Commento

    Chi, basandosi sui luoghi comuni e stereotipe interpretazioni della Commedia, ritenesse Dante un conformista, potrebbe semplicemente soffermarsi sul canto III dell'Inferno per venirne smentito. Il canto ha la struttura tragica dei grandi temi esistenziali, ma offre anche il pretesto a Dante per affrontare un argomento che dovette essere dibattuto molto profondamente nel suo animo. La porta infernale suggella a caratteri cubitali un ingresso irreversibile, un percorso che non conosce ritorno. Le sue parole non ammettono equivoci: chi varca quella porta ha ormai preclusa in eterno ogni possibilità di salvezza. L'Inferno è stato voluto dalla giustizia divina, ma anche dal primo amore, perché non può esserci l'amore di Dio senza la giustizia, come non c'è la giustizia senza amore. Dante è ormai nel regno delle tenebre e un clamore intenso lo colpisce: l'atmosfera cupa e dolorosa gli impone di chiedere spiegazioni alla sua guida. E Virgilio gli presenta coloro che vissero senza infamia e senza lode. Il disprezzo del poeta latino verso questi dannati è totale e Dante lo condivide e lo sollecita. Gli ignavi spiccano nel panorama infernale come coloro che non sono, degni di alcuna considerazione, perché nella vita non presero mai posizione. L'anticonformismo dantesco sta nell'affermare con decisione, pur se indirettamente, che chi pensa solo a se stesso nega le proprie ragioni di uomo. In questo c'è tutta la passione morale del cittadino che lotta per difendere i propri ideali, la consapevolezza che la politica spesso è gestita in termini utilitaristici e personalistici, la presa d'atto che il giusto non sempre trionfa nel sociale ma che, ciononostante, all'uomo è richiesto di combattere per i propri valori.
    Dante pensa alla misera schiera di coloro che "si facevano i fatti propri", quando Firenze entrava in balia dei Neri e il «candido priore», come il poeta è stato definito, veniva bloccato nella sua azione politica e poi esiliato. Riflette sul colpevole silenzio di coloro che vedevano e tacevano, che accettavano l'ingiustizia senza combatterla.
    La sua statura morale gli impedisce di chiamarli uomini, perché la dignità umana non compete a chi accetta compiacenti soluzioni di comodo. In questo modo Dante definisce l'ignavia come colpevole e vergognosa vigliaccheria. E, tra gli ignavi, Dante pone anche Celestino V, il papa che fece per viltade il gran rifiuto.
    Personaggio di indubbia dirittura morale, Celestino V non è che un vile. Se le questioni di palazzo gli impedivano di essere papa come avrebbe voluto, se gli impegni burocratici lo tenevano lontano dal suo eremo, questo non significava per Dante che egli avrebbe dovuto abdicare, lasciando la cristianità in balia di papi corrotti. Celestino V è un ignavo, perché non si è preso le proprie responsabilità, perché l'amore per la tranquillità è stato più forte del dovere che Dio stesso gli aveva affidato, quello cioè di guidare la cristianità. Il messaggio di Dante è di indubbio spessore morale: il poeta consegna all'uomo di oggi il gusto dei propri ideali e il rifiuto della passiva accettazione di modelli conformistici e di comodo.




    Le figure retoriche

    Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del terzo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 3 dell'Inferno.


    Per me si va... = anafora (vv. 1-3). Si ripete per tre volte nei primi tre versi del canto.

    Divina podestate = perifrasi (v. 5). Per indicare "Dio Padre".

    Somma sapienza = perifrasi (v. 6). Per indicare Dio Figlio

    Primo amore = perifrasi (v. 7). Per indicare Dio Spirito Santo

    Se non etterne, e io etterno duro = anadiplosi (v. 8).

    Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta = chiasmo (vv. 14-15).

    Il ben de l'intelletto = perifrasi (v. 18). Per indicare che hanno perduto Dio, la luce dell'intelligenza divina.

    Sospiri, pianti e alti guai = climax ascendente (v. 22).

    Lingue, favelle, parole, accenti, voci, suon = climax (vv. 25-27).

    Come la rena quando turbo spira = similitudine (v. 30).

    Fama di loro il mondo esser non lassa = anastrofe (v. 49). Sta per "il mondo non lascia che ci sia di loro alcun ricordo".

    Misericordia e giustizia = metonimia (v. 50). Per indicare il Paradiso e l'Inferno.

    Colui / che fece per viltade il gran rifiuto perifrasi (59-60). Per indicare probabilmente Papa Celestino V, colui che rinunciò al papato.

    Vergognosi e bassi endiadi (v. 79).

    Infino al fiume del parlar mi trassi = anastrofe (v. 81). Sta per "non pronunciai parola fino al fiume".

    Un vecchio, bianco per antico pelo = ipallage (v. 83). L'aggettivo antico è riferito a pelo anziché a vecchio.

    Legno = sineddoche (v. 93). Per indicare l’imbarcazione.

    Colà = perifrasi (v. 95). Per indicare "lassù", in cielo.

    Quinci fuor quete le lanose gote = sineddoche (v. 97). Indica le guance invece del viso.

    Che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote. = anastrofe (v. 99). Sta per "che aveva ruote di fiamme intorno agli occhi".

    Forte piangendo = anastrofe (v. 107). L'ordine giusto sarebbe dovuto essere "piangendo forte".

    Ciascun uom che Dio non teme = perifrasi (v. 108). Per indicare i peccatori.

    Occhi di bragia = metafora (v. 109).

    Come d’autunno si levan le foglie / l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo / vede a la terra tutte le sue spoglie, / similemente il mal seme d’Adamo / gittansi di quel lito ad una ad una, / per cenni come augel per suo richiamo = similitudine (vv. 112-117).

    Che balenò una luce vermiglia = metonimia (v. 134). L’effetto "luce vermiglia" per la causa "lampo".

    Come l’uom che ‘l sonno piglia = similitudine (v. 136).

    Enjambement = vv. 19-20; 34-35; 35-36; 37-38; 55-56; 91-92; 113-114; 130-131.
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