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Antonio Gramsci, il futurismo e la rivoluzione futurista


Questa nota apparve, non firmata, sull'«Ordine Nuovo» del 5 gennaio 1921.
«I futuristi hanno svolto questo compito nel campo della cultura borghese: hanno distrutto, distrutto, distrutto, senza preoccuparsi se le nuove creazioni, prodotte dalla loro attività, fossero nel complesso un’opera superiore a quella distrutta: hanno avuto fiducia in se stessi, nella foga delle energie giovani, hanno avuto la concezione netta e chiara che l’epoca nostra, l’epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme, di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione, quando i socialisti certamente non avevano una concezione altrettanto precisa nel campo della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e si vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava spezzare la macchina del potere borghese nello Stato e nella fabbrica.

I futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari; in questo campo, come opera creativa, è probabile che la classe operaia non riuscirà per molto tempo a fare di più di quanto hanno fatto i futuristi: quando sostenevano i futuristi, i gruppi operai dimostravano di non spaventarsi della distruzione, sicuri di potere, essi operai, fare poesia, pittura, dramma, come i futuristi, questi operai sostenevano la storicità, la possibilità di una cultura proletaria, creata dagli operai stessi».



Spiegazione

L'educazione della classe operaia
Gramsci ha lungamente riflettuto sull'educazione della classe operaia e sulla cultura che essa deve esprimere. Diverso è il problema dell'arte, che, sebbene legata alle condizioni della società, non può essere determinata da direttive precise, imposte dell'alto.


Arte e cultura
Nei Quaderni del carcere scriverà che «l'arte è sempre legata a una determinata cultura o civiltà, e che lottando per riformare la cultura si giunge a modificare il "contenuto" dell'arte e che si lavora a creare una nuova arte, non dall'esterno (pretendendo un'arte didascalica, a tesi moralistica), ma dall'intimo, perché si modifica tutto l'uomo in quanto si modificano i suoi sentimenti, le sue concezioni e i rapporti di cui l'uomo è l'espressione necessaria».


Necessità dell'analisi critica
È comunque indispensabile valutare con attenzione la produzione artistica esistente, per rendersi conto degli elementi negativi ed estranei alle esigenze del proletariato, o di quelli che possono invece essere utilizzati a suo favore; di qui l'attenzione costante dedicata da Gramsci alla letteratura e al teatro, a partire dagli interessi concreti che manifesta il pubblico meno colto.


Il Futurismo
Di notevole interesse risulta questa riflessione sul Futurismo, in cui Gramsci rivela una notevole indipendenza e libertà di giudizio, distinguendo fra l'ideologia delle forme espressive (che appartiene al campo della cultura) e quella delle scelte politiche compiute dai suoi sostenitori.
Dal programma marinettiano Gramsci respingeva ovviamente i postulati nazionalistici, militaristi e prefascisti, ma sostiene che la distruzione dei linguaggi e degli stili tradizionali può essere condivisa anche dai marxisti, in quanto rispecchia le esigenze dell'epoca nostra, l'epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa (è evidente la ripresa, sia pure povera di amplificazioni trionfalistiche rispetto a quanto aveva affermato Marinetti nel punto 11 del Manifesto di fondazione del Futurismo).
Da un lato il Futurismo ha liquidato la cultura del passato borghese e le sue istituzioni; dall'altro ha realizzato una immediatezza e per certi aspetti una facilità di espressione che lo rendono più agilmente accessibile, proprio a coloro che per secoli sono rimasti esclusi da ogni possibilità di comprendere (e di creare) l'opera d'arte.


I ritardi della cultura socialista
La polemica coinvolge pure l'ideologia e la cultura socialista, rimaste ancora a soluzioni tardo-ottocentesche, di tipo populistico e positivistico, alle quali Gramsci contrappone l'idea di rinnovamento che tiene in considerazione anche dell'elaborazione del pensiero borghese. Al Futurismo, del resto, avevano aderito i rivoluzionari russi, a partire da Majakovskij.


Torino e il secondo futurismo

E proprio a Torino le propaggini del cosiddetto "secondo Futurismo" si muovevano in questa direzione, nella prospettiva di una rivoluzione proletaria: il riferimento va alla fondazione del "Movimento futurista torinese" e dei "Sindacati artistici futuristi", ad opera, nel 1923, di Tullio Alpinolo Bracci, Ugo Pozzo e, soprattutto, Fillia (pseudonimo di Luigi Enrico Colombo), che è lo scrittore più significativo. Di questo gruppo facevano parte anche lo scultore Mino Rosso, i pittori Nicolaj Diulgheroff e Pippo Oriani.
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Antonio Gramsci: Vita e Opere


Antonio Gramsci, il nome completo è Antonio Sebastiano Francesco Gramsci, nasce ad Ales (Cagliari) nel 1891, da una famiglia piccolo-borghese che versa in disagiate condizioni economiche. Debole di salute, è costretto a lavorare mentre prosegue gli studi. A scuola si distingue tra i compagni per i suoi vivi interessi culturali, legge moltissimo (in particolare Croce e Salvemini). Rivela spiccatissime tendenze per le scienze esatte e per la matematica. Dopo la licenza liceale, vince una borsa d studio al collegio Carlo Alberto di Torino, dove si trasferisce per frequentare la facoltà di Lettere.
A Torino, la città più industrializzata d'Italia (basti pensare alla Fiat e alla Lancia), entra in contatto con la realtà del proletariato, che costituirà il costante obiettivo della sua riflessione e della sua militanza.

Nel 1915 lascia l'università per dedicarsi all'attività politica e al giornalismo; è assunto alla redazione torinese del quotidiano socialista l'«Avanti!».

Nel 1917 cura la pubblicazione della rivista «La città futura» (numero unico della Federazione socialista torinese) e assume la direzione del «Grido del Popolo», dove continua ad occuparsi anche di letteratura e di teatro.

Nella rivista «L'ordine nuovo», da lui fondata nel 1919 insieme ad altri intellettuali socialisti torinesi (Palmiro Togliatti, Angelo Tasca e Umberto Terracini), tratta dell'assidua discussione sull'emancipazione dei lavoratori e sulla formazione di una nuova coscienza di classe. Nel 1921 il periodico si trasformerà in quotidiano, e ricaverà dall'esperienza russa dei Soviet l'idea dei consigli di fabbrica degli operai torinesi e appoggia l'occupazione delle fabbriche nel settembre-ottobre 1920.

Gramsci si ricollega ai princìpi teorici del marxismo, introdotti in Italia e discussi scientificamente da Antonio Labriola, e li rielabora in forma originale. Molto importante per Gramsci è stata l'attività giornalistica che gli consente di affrontare i problemi coinvolgendo direttamente i propri lettori. Sarà questo il suo modo di esprimersi per il suo pubblico e per questa ragione si rifiuterà sempre di raccogliere in volume i suoi scritti.

Nel 1921 partecipa ai lavori del congresso socialista di Livorno, da cui deriva la scissione che darà vita al Partito Comunista Italiano. Come delegato di questo partito, Gramsci si reca nel 1922 a Mosca, dove sposa una giovane musicista russa, Giulia Schucht, e avranno due figli.

Alla fine del 1923 si trasferisce a Vienna e segue i contatti internazionali per il partito e la nascita del nuovo quotidiano «L'Unità», il cui primo numero uscirà il 12 febbraio 1924.

Nello stesso anno eletto deputato, torna in Italia e, nell'agosto, diventa segretario del partito. Colpito dalle leggi speciali fasciste, come altri oppositori del regime, viene arrestato l'8 novembre 1926 e condannato a vent'anni  di reclusione, iniziando un penoso viaggio in molte prigioni italiane. Dopo aver avuto il permesso di scrivere, nel febbraio del 1929, lascia su numerosi quaderni di scuola una fittissima serie di annotazioni e di riflessioni, dedicate ai più disparati argomenti politici, storici e letterari. Nascono così i cosiddetti Quaderni del carcere, che, affidati in una delle sue visite alla cognata Tatiana Schucht, verranno pubblicati nel secondo dopoguerra.

Segnato dalle sofferenze fisiche e psicologiche e dopo essersi rifiutato di sottoscrivere la domanda di grazia, muore in una clinica romana il 27 aprile 1937.

Le sue sofferenze e la sua straordinaria umanità sono documentati nelle lettere scritte ai familiari e agli amici nei lunghi anni della sua prigionia (le Lettere dal carcere, edite nel 1947).

Tutte le opere di Gramsci sono uscite postume. Gli scritti della militanza culturale e politica sono stati raccolti nei seguenti volumi: L'Ordine nuovo (1954), Scritti giovanili (1958), Sotto la Mole (1960), Socialismo e fascismo (1966) e la La costruzione del partito comunista (1971).

Nel 1975 uscì l'edizione critica dei 32 Quaderni del carcere, che, nel dopoguerra, erano stati ordinati per argomenti tematici e pubblicati in sei volumi: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce (1948), Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Il Risorgimento e Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno (1949), Letteratura e vita nazionale (1950), Passato e presente (1951).
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Contro l'usura: analisi e commento - Ezra Pound



Testo

Con usura nessuno ha una solida casa
di pietra squadrata e liscia
per istoriarne la facciata,
con usura
non v'è chiesa con affreschi di paradiso
arpe e liuti
e l'Annunciazione dell'Angelo
con le aureole sbalzate,
con usura
nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine
non si dipinge per tenersi arte
in casa ma per vendere e vendere
presto e con profitto, peccato contro natura,
il tuo pane sarà staccio vieto
arido come carta,
senza segala né farina di grano duro,
usura appesantisce il tratto,
falsa i confini, con usura
nessuno trova residenza amena.
Si priva lo scalpellino della pietra,
il tessitore del telaio
CON USURA
la lana non giunge al mercato
e le pecore non rendono
peggio della peste è l'usura, spunta
l'ago in mano alle fanciulle
e confonde chi fila. Pietro Lombardo
non si fe' con usura
Duccio non si fe' con usura
nè Piero della Francesca o Zuan Bellini
nè fu "La Calunnia" dipinta con usura.
L'Angelico non si fe' con usura, nè Ambrogio de Praedis,
nessuna chiesa di pietra viva firmata : "Adamo me fecit".
Con usura non sorsero
Saint Trophine e Saint Hilaire,
usura arrugginisce il cesello
arrugginisce arte ed artigiano
tarla la tela nel telaio, nessuno
apprende l 'arte d'intessere oro nell'ordito;
l'azzurro s'incancrena con usura; non si ricama
in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling
usura soffoca il figlio nel ventre
arresta il giovane amante
cede il letto a vecchi decrepiti,
si frappone tra giovani sposi
CONTRO NATURA
Ad Eleusi han portato puttane
carogne crapulano
ospiti d'usura.



Analisi del testo e commento

È il XLV dei Cantos.

Dante aveva collocato gli usurai al VII cerchio dell'Inferno, rappresentandoli nel canto XVII.
In questo suo canto, Pound riprende il motivo dell'usura, convinto che la pratica dell'usura, consolidatasi con la diffusione del commercio e l'istituzione delle banche, rappresenti il male peggiore della società moderna e contemporanea, corrompendola e inquinandola alle radici.

La condanna dell'usura si trasforma quindi in un polemico e radicale rifiuto della presente società capitalistico-borghese, con i princìpi utilitaristici ed esclusivamente economici su cui si è sviluppata. L'usura coincide con l'assenza di ideali e viene definita su un piano negativo (si noti la sequenza di «nessuno», «non», «né», su cui si basa per buona parte la costruzione del testo).
L'usura ha tradito le ragioni più autentiche della vita, e in particolare il rapporto tra l'uomo e le cose, trasformandole da "valori d'uso" in semplici "valori di scambio", il cui scopo non è il godimento appagante e disinteressato, ma la ricerca alienante e disumana del denaro e del profitto (es. «non si dipinge per tenersi arte / in casa ma per vendere e vendere »).
L'usura è così diventata un peccato contro natura, capace di alterare ogni rapporto affettivo (si vedano i versi conclusivi); ma è soprattutto «lebbra», una «cancrena», che può corrodere e corrompere ogni cosa, portandola alla decomposizione e alla putrefazione.
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Colline come elefanti bianchi: spiegazione - Ernest Hemingway



Analisi del testo

Il testo fu pubblicato originariamente, con altri racconti, nel volume Men without Women (Uomini senza donne), nel 1927.

Il breve racconto presenta alcuni elementi che si possono ricondurre ad altre opere dello scrittore e alle atmosfere assai diffuse nella narrativa americana fra le due guerre: l'ambientazione spagnola, particolarmente cara ad Hemingway, che si ritrova in opere come Morte nel pomeriggio e Per chi suona la campana; il vagabondare dei personaggi (la stazione, le valige), in una dimensione insieme avventurosa e precaria dell'esistenza; l'animazione narrativa, il taglio brusco e secco del racconto, la cruda indicazione di fatti e di azioni, in cui le parole vengono pronunciate senza cedimenti e abbandoni sentimentali. Tali caratteristiche vengono però accentuate a tal punto da trasformare questo testo in qualcosa di assai diverso, che lo rende esemplare all'interno della stessa produzione hemingwayana. Il paesaggio viene descritto in maniera così essenziale e simbolica, che trasforma le colline in "elefanti bianchi".

Il dialogo ha un ruolo molto importante al punto tale che copre gli elementi narrativi di raccordo e i passaggi intermedi, abolendo completamente l'azione.

Il contenuto realistico, che in genere viene rappresentato dagli scrittori americani in termini spesso brutali e scostanti, risulta qui addirittura inespresso o omesso intenzionalmente. Si può solo intuire che si tratta di una discussione sull'aborto della ragazza.

Il racconto assume un aspetto fortemente innovativo e sperimentale, aperto verso successive esperienze letterarie.  Questo carattere sperimentale è una particolare tecnica narrativa tipica dell'antologia di storie "I quarantanove racconti".
Il narratore non sembra avere accesso all'interiorità dei personaggi: si limita a registrare dall'esterno discorsi e comportamenti, senza mai fornire indicazioni sulle motivazioni psicologiche da cui scaturiscono. Non ci informa neppure sugli antefatti: non sappiamo nulla della storia precedente dei due protagonisti, e nemmeno dell'oggetto di cui stanno parlando, su cui possiamo solo fare congetture. È la cosiddetta tecnica della focalizzazione esterna.
Il risultato è che viene isolato un frammento casuale della realtà, non inserito in alcuna trama di relazione e di significati.


Commento

In una giornata molto calda due giovani stanno aspettando il treno in una stazione della provincia spagnola, tra Barcellona e Madrid. Veniamo a sapere che sono fidanzati, Lui non ha un nome ma viene chiamato "l'americano", Lei, invece, da metà racconto in poi viene chiamata Jig. 
Per combattere il caldo iniziano a ordinare due birre ghiacciate e qui appare il terzo personaggio, la cameriera, che però è poco più che una comparsa.
Così ha inizio il dialogo tra i due innamorati: l'americano vorrebbe convincerla ad abortire, invece lei tenta una debole resistenza e pone più volte il suo sguardo non verso l'uomo ma in lontananza, verso quelle colline che per lei somigliano a degli elefanti bianchi, similitudine che dà il titolo al racconto. In realtà si tratta di una doppia similitudine, perché gli elefanti bianchi e le colline rimandano alla vita nascente, nascosta nel grembo materno.
Gli elefanti bianchi non sono animali scelti a caso, essi erano un un dono regale dei siamesi ai cortigiani, animali sacri per i quali le famiglie erano disposte ad andare in rovina pur di mantenerli in vita. Ecco il valore simbolico del titolo: i bambini non desiderati sono come gli elefanti bianchi. Sono preziosi. La loro esistenza è preziosa. Per la loro esistenza si dovrebbe decidere di andare anche in rovina. Come per gli elefanti bianchi…
Invece l'americano cosa fa? Spinge la donna ad abbandonare questa idea, manipolando il suo modo di pensare e facendole credere che la nuova creatura sarà un ostacolo per la loro felicità e che l'operazione per abortire è talmente facile che non può nemmeno essere definita operazione e sarà pure indolore perché in fondo si tratta soltanto di immettere un po' di aria.
L'americano alla fine prevale sulla donna: riesce a convincere Jig ad abortire ma si rivela una persona vuota, fredda ed egoista, meschino come la società di oggi d'altronde, che preferisce optare per la scelta più facile e non per quella più giusta.
In un periodo in cui l'aborto era illegale in gran parte d'Europa e in America, Hemingway ci spinge a riflettere sul valore della libertà: la coppia decide di abortire per la propria libertà, ma una società che accetta l'aborto e permette a una legge di consentire a un essere umano di decidere di un altro essere umano si può considerare veramente libera?
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Manifesto del Surrealismo - Riassunto


Il Surrealismo è un movimento artistico-letterario nato ufficialmente a Parigi nel 1924, anno di pubblicazione del Primo Manifesto del Surrealismo (termine coniato dal poeta Apollinaire già nel 1917), scritto e firmato dallo scrittore francese Andrè Breton.

Gli artisti aderenti al manifesto (o come dice Breton «hanno fatto atto di Surrealismo Assoluto») sono: Louis Aragon, Jacques Baron, Jacques-André Boiffard, André Breton, Jean Carrive, René Crevel, Joseph Delteil, Robert Desnos, Paul Eluard, Francis Gérard, Georges Limbour, Georges Malkine, Max Morise, Pierre Naville, Marcel Noll, Benjamin Péret, Gaëtan Picon, Philippe Soupault, Roger Vitrac, Joan Miró.

Nel suo manifesto, Breton, definisce il Surrealismo come un "automatismo psichico puro" con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale". È una evoluzione del dadaismo ma al contrario del dadaismo, che ha l'obiettivo di abbattere tutte le "restrizioni" artistiche radicate da secoli, il surrealismo rovescia l'idea distruttiva dadaista attribuendo all'arte un ruolo edificante suggerito dall'interiorità dell'uomo.

Breton fu influenzato dalle ricerche psicanalitiche di Sigmund Freud che studia i fenomeni dell'inconscio umano. Nel saggio del 1899 intitolato Interpretazione dei sogni, Sigmund Freud, il fondatore della psicanalisi, sosteneva che durante il sonno l'uomo non riesce a controllare la propria coscienza e per questo i pensieri inconsci emergono sotto forma di simboli.
Se, nella veglia, l'uomo riesce a controllare razionalmente le proprie reazioni, adattandole alle convenienze sociali, nel sogno i desideri e le pulsioni possono fluire liberamente, abbandonando i freni e le inibizioni che impediscono loro di esprimersi nella vita cosciente.
È questo il punto di vista che Breton richiede allo scrittore surrealista: rivaluta il sogno, l'irrazionalità, la follia, gli stati di allucinazione, cogliendo l'essenza intima della realtà, tutto materiale necessario per esprimersi.
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Franz Kafka - Vita e Opere


L'infanzia e l'educazione
Franz Kafka nasce a Praga nel 1883: il padre Hermann era un commerciante di origine ebraica mentre la madre Julie Löwy era una donna colta e dal carattere docile. Il padre aveva un aspetto imponente e autoritario nelle maniere, domina prepotentemente la fragile personalità del figlio, che sogna spesso di fuggire da casa. L'incoerenza e la brutalità della sua educazione sono tali da farlo sentire responsabile anche di azioni che non ha commesso.


La lettera al padre
I disagi psicologici derivanti da questo rapporto conflittuale saranno documentati in una famosa lettera-confessione del 1919, la Lettera al padre, dalla quale emergono, in tutta la loro drammaticità, la debolezza del giovane, le accuse di parassitismo che gli sono rivolte, l'estremo bisogno di affetto e di comunicazione, la sua inettitudine al matrimonio e gli affari, i due pilastri su cui si reggeva la società piccolo e medio borghese dell'epoca. Si tratta di un'accurata autoanalisi, ma nello stesso tempo di una testimonianza storica che rappresenta la crisi di un mondo impietoso e falsamente moralista.
Dopo aver superato l'esame di maturità, nel 1901, s’iscrive all'Università tedesca di Praga, dove si laureerà, nel 1906, in Giurisprudenza, lavorando poi dopo un breve periodo presso la corte di giustizia, in un istituto di assicurazioni. Legge i classici della letteratura tedesca e francese, oltre ai filosofi greci.


Il Diario
A partire dal 1910, datano le pagine del "Diario", espressione di un forte desiderio di narrarsi, di trascrivere sulla pagina i progetti mancati e i desideri insoddisfatti. Si interessa di spiritismo e della cultura ebraica. Nel 1912, conosce la dirigente di una ditta di Berlino, Felice Bauer, che lo attrae per le sue qualità di donna volitiva, pratica e sicura; ma il padre si oppone decisamente al matrimonio.


Il verdetto e le tematiche psicanalitiche
Il 1912, è anche l'anno della stesura delle sue prime opere. Fra queste "Il verdetto", racconto scritto in una sola notte, in cui si trova la conclusione antiedipica di un conflitto padre - figlio: il padre condanna il figlio a morte per annegamento, e questi esegue amorevolmente la sentenza. In questa acuta e sofferta trasposizione di tematiche psicanalitiche dalla vita alla letteratura, l'autore avverte come insopprimibile il senso di colpa causatagli dall'autorità paterna, fino a considerare se stesso, metaforicamente, come uno spregevole insetto.


La metamorfosi, l'alienazione, regressione e inversione
Così il protagonista del racconto lungo "La metamorfosi" (1916), Gregor Samsa, si sveglia un giorno una mattina trasformato in un enorme scarafaggio e, senza meraviglia della sua nuova quanto strana condizione, inizia una vita parassita fra le mura domestiche, lasciandosi alla fine morire di fame.
Kafka utilizza, come sfondo, lo stesso ambiente in cui vive la propria famiglia, estendendo poi la sua critica alla società del XX secolo, i cui valori dominanti, sono il successo e il guadagno. Emerge prepotentemente anche la forte rivalità del protagonista nei confronti del padre, esponente di quel mondo borghese ipocrita e perbenista rispetto al quale lo scrittore si sente irrimediabilmente diverso. L'alienazione dell'individuo del suo io più vero e profondo, emerge dall'analisi cruda del sistema capitalistico.
Il motivo della metamorfosi, rappresenta la regressione al mondo delle paure infantili, per l'incapacità di affrontare una realtà adulta. Ne scaturisce di rintanarsi e di chiudersi in un mondo tutto personale, nel quale ritrovare un impossibile segreto e la negata serenità, ossia l’identità del soggetto per sempre perduta.
Di grande interesse, infine, è la particolare tecnica narrativa usata dall'autore, cioè la tecnica dell'inversione, in cui risultano capovolti i piani narrativi del reale e dell'irreale.
Kafka, presenta come realmente accaduti degli avvenimenti impossibili, mentre la realtà perde, per il protagonista, ogni consistenza e significato.


Il disperso (Amerika)
L'altro importante lavoro, avviato nel 1912 ma rimasto incompiuto, è Il disperso, pubblicato postumo nel 1927 con il titolo di Amerika. Si tratta di una sorta di enciclopedia di generi diversi intrecciati fra loro: dal romanzo realistico a quelli di appendice, del genere avventuroso alla favola.
Il protagonista Karl Rossmann, persona ingenua e piena di ideali, si rifiuta di crescere mentalmente e si rifugia nella sua infanzia inviolata; egli rispecchia il punto di vista dell'autore, sebbene la narrazione si svolge in terza persona (stile tipico kafkiano per proiettare le proprie angosce e i fantasmi interiori).


Il processo
Nel 1914 Kafka scrive un altro capolavoro, Il processo, che contiene anch'esso una forte carica autobiografica.
Il funzionario di banca Josef K. viene  arrestato mentre è ancora a letto e portato in tribunale senza che gli venga spiegata l'imputazione; pur essendo senza colpa, subisce passivamente l'interrogatorio, trasformandolo in una sorta di autoaccusa e di confessione volontaria. Ancora una volta lo scrittore è interessato alle non-reazioni degli uomini, più che alle cose o agli avvertimenti. Alla fine il protagonista verrà condannato senza ragioni e giustiziato da due persone qualsiasi, che lo accompagnano in un luogo appartato e gli immergono un coltello nel cuore. Ai motivi della privazione dell'identità, dell'impotenza e della colpa, si aggiunge la satirica rappresentazione del provincialismo e della burocrazia di una società che si impadronisce dell'individuo fino a distruggerlo. La dimensione dell'assurdo, che nella Metamorfosi si esprimeva attraverso un caso del tutto eccezionale e inverosimile, si estende qui all'intera esistenza, diffondendo anche le sue manifestazioni più normali e comuni. Proprio perché è appena percettibile, indeterminata e priva di senso, l'angoscia diventa così uno stato d'animo assoluto, opprimente e incombente.


Gli ultimi anni
Al medesimo anno risale la stesura di alcuni fra i racconti più suggestivi, come Nella colonia penale, La costruzione della muraglia cinese e Il canto delle sirene. Segue un periodo di pausa letteraria, in cui Kafka prende finalmente la decisione di staccarsi dalla famiglia per vivere da solo. Nel 1918 soggiorna presso la sorella Ottla, alla quale era legato da un affetto particolare.
Rientrato a Praga, attraversa una profonda crisi religiosa, che lo conduce alla fede in un Dio personale e alla negazione del dogma del peccato originale. A questi ripensamenti non sono estranee le sofferenze dei reduci e la difficile situazione del dopoguerra.
Aveva intanto avvertito i primi sintomi della tubercolosi, che, dopo diversi ricoveri in sanatorio, lo renderà alla fine incapace di parlare, conducendolo alla morte nel 1924.
Le sue opere furono pubblicate quasi tutte postume dall'amico Max Brod, nonostante la volontà dell'autore di vederle distrutte.


Il castello
Negli ultimi anni aveva lavorato al romanzo Il castello, rimasto incompiuto. Il protagonista, designato con la sola lettera K., vorrebbe chiedere al signore di un castello il permesso di esercitare il proprio mestiere di agrimensore, ma uno stuolo di burocrati e di funzionari gli impedisce ogni volta di essere ricevuto, mentre è guardato con sospetto e ostilità dagli abitanti del villaggio.
Solo una persona si offre di aiutarlo, ma egli è addormentato, non la sente. Qui si interrompe il racconto, che avrebbe dovuto concludersi con la scena in cui, mentre sta morendo, il protagonista viene finalmente accettato e accolto da tutti. Proiezione dell'impotenza e delle frustrazioni dell'individuo, che si trova ovunque alienato e disperatamente solo, il romanzo esprime anche una tormentosa ansia di conoscenza, simbolo di una ricerca della verità assoluta che non è dato tuttavia conoscere.
Anche qui, come in altre opere di Kafka, non compare per esteso il nome del protagonista, quasi a voler significare la perdita che l'individuo contemporaneo ha subìto della propria identità (anche se l'uso dell'iniziale K. riconduce alla figura dell'autore stesso).
L'assurdo kafkiano (l'aggettivo ormai comunemente usato) rappresenta la manifestazione più tragica e cupamente grandiosa della letteratura della crisi dei primi anni del Novecento, che, dopo aver distrutto le attese esistenziali e le illusioni del singolo, scuote alle radici le presunzioni e le menzogne di un'intera civiltà, mostrandone l'irreversibile declino.
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Riassunto vita: Andrè Breton


André Breton nasce a Tinchebruy nel 1896. A Parigi inizia a studiare medicina, interessandosi soprattutto di neuropsichiatria. Nello stesso tempo si manifesta la sua passione per la poesia; è affascinato dall'esperienza di Rimbaud e le sue prime prove nascono sotto l'influenza del Simbolismo.

Durante la grande guerra presta servizio in ospedale psichiatrici, legge Freud (che conoscerà nel 1921) e incontra Apollinaire, che fa lievitare la sua vocazione di poeta. Alla fine del conflitto, infatti, fonda, con Philippe Soupault e Louis Aragon, «Littérature», una rivista sulla quale intraprende la teorizzazione della dissociazione psichica e dell'automatismo dell'espressione, avviando le prime esperienze di scrittura automatica.

Nel 1920 escono i Campi magnetici, composti in collaborazione con Soupalt. Ha dei contatti con Tzara, ma presto si allontana dall'esperienza dadaista, per dare vita a Parigi, nel 1924, alla «Centrale di Ricerche Surrealiste», i cui obiettivi vengono formulati nei due manifesti del Surrealismo (1924 e 1930).

Escono in questi anni, e in quelli immediatamente successivi, alcune delle sue opere più importanti. Fra queste ricordiamo il lungo racconto Nadja (1928), dove rifiuta la finzione della scrittura romantica e propone un antiromanzo che si sviluppa in un clima allucinato fra sogno e realtà; Vasi comunicanti (1932); L'amore folle e l'Antologia dell'humor nero, del 1937.

Dopo l'invasione della Francia da parte dei nazisti si rifugia negli Stati Uniti e a New York fonda nel 1941 una nuova rivista, «VVV», insieme a Max Ernst, Marcel Duchamp ed altri.

Ritornato in Francia, alla fine del conflitto riprende l'attività di un tempo, sebbene il Surrealismo si fosse spento già prima dell'inizio della tragedia bellica. Per Breton arrivano i momenti del bilancio. Alla raccolta delle sue poesie, uscita nel 1948, seguono i Sentieri della libertà (1953), che sono un consuntivo del decennio precedente.

Muore a Parigi nel 1966.
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Saliente - Guillaume Apollinaire: analisi e commento



Testo




Analisi del testo e commento

Riprendendo i procedimenti paroliberisti proposti da Marinetti, Apollinaire si pone come il più significativo anello di congiunzione fra il Futurismo e i successivi movimenti dell'avanguardia europea, il Dadaismo e il Surrealismo, che videro in lui un precursore.

In questo testo usa il principio della varietà e libertà compositiva, disponendo le parole - scritte con caratteri diversi - secondo linee orizzontali, verticali e oblique (spesso Apollinaire userà anche le linee curve).

Sul piano tematico la situazione si riferisce a un momento della guerra, in cui lo scoppio di una granata, rompendo l'atmosfera di quiete, riporta alla memoria la serenità di un tempo, animata dalle presenze femminili.

Il "saliente" indica la zona più avanzata nell'occupazione di una linea militare, che sporge in fuori verso le linee nemiche; dove conviene stare con attenzione sempre tesa, poiché è qui che può scatenarsi da un momento all'altro l'attacco. In giro c'è una falsa aria di pace: un soldato senz'armi, una scopa di frasche tra le pietre, una biscia che guarda immobile; e a un tratto una granata si affonda nel terreno molle, la biscia è annientata, non resta che un cratere liscio fra altri più piccoli, come un pastore fra le pecore. Strani ricordi di pace: una fila di ragazze andava lungo il canale. Sui margini della poesia si può scrivere un nome di donna amata da Apollinaire - Lou - che appartiene anch'esso al passato e, accanto, un fiero "viva il Capitano", in gergo militaresco.

Lionato = di colore fulvo, che ricorda il manto del leone.

Svastica = antico segno simbolico, divenuto poi tristemente famoso per essere stato adottato, come emblema, dai nazisti e da altri movimenti antisemiti.

Ay = è una località della Francia, in Champagne sulla Marna, dove si producono vini assai rinomati.
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Riassunto vita: Guillaume Apollinaire


Guillaume Apollinaire nasce a Roma nel 1880 dall'unione di una nobildonna polacca con un ex ufficiale borbonico. Frequenta il Collège Saint-Charles a Monaco e, per la chiusura di questo, continua gli studi a Cannes, Nizza e Monaco. Dopo il diploma, conseguito nel 1898, incomincia a tradurre dall'italiano.

L'anno successivo si stabilisce a Parigi e, per guadagnare denaro, nel 1901 scrive il primo in una serie di romanzi pornografici. Lavora intanto a diverse poesie raccolte, poi in Alcools, che riunisce cinquanta componimenti scritti fra il 1898 e il 1913, l'anno in cui l'opera viene data alle stampe. Sempre nel 1902 lavora come impiegato in banca e inizia una fitta collaborazione con importanti riviste.

Nel periodo della rivoluzione cubista Apollinaire pubblica Onirocritique (1908). Nello stesso anno scrive la prefazione al catalogo della mostra di Georges Braque, che, con Picasso, diviene il massimo esponente del Cubismo. Contemporaneamente si occupa di letteratura femminile e pubblica le Opere di Sade. Nel 1910 esce una raccolta di racconti intitolata L'eresiarca & C., e nel 1913 il celebre scritto su I pittori cubisti. Meditazioni estetiche.

In quello stesso anno entra in contatto con Marinetti e pubblica il manifesto L'antitradizione futurista, collaborando a «Lacerba» e l'interesse per il moderno lo porta a sostenere anche la pittura metafisica di Giorgio de Chirico. Allo scoppio della guerra, si arruola come volontario e parte per il fronte, ma nel 1916 viene ferito alla testa. Dopo la complessa operazione chirurgica rientra a Parigi per la convalescenza e pubblica Il poeta assassinato.

Fu sospettato di essere l'autore del furto del dipinto della Gioconda, stessa sorte toccò anche a Pablo Picasso, e per questo venne arrestato, ma risultò del tutto estranei ai fatti dal momento che il vero ladro non era altro che un dipendente del Louvre che avrebbe voluto restituirla all'Italia.

Nei due anni successivi mette a punto i Calligrammi (Calligrammes) per la pubblicazione. Questa nuova raccolta include 86 poesie, di cui però solo 19 hanno la vera struttura del "calligramma", della composizione figurata. Sono poesie scritte fra il 1913 e il 1916 e, come indica il sottotitolo, sono «poèmes de la paix et de la guerre» (poemi della pace e della guerra).

Apollinaire muore poco dopo l'uscita della raccolta, per un attacco di febbre spagnola, nell'epidemia del 1918.

Nonostante la continuità degli scritti teorici, dei saggi e delle prose, di cui abbiamo accennato solo i più importanti, Apollinaire è celebre soprattutto per le due raccolti di poesie Alcools e Calligrammi. Soprattutto in quest'ultima vi sono componimenti che si situano in una prospettiva di acceso sperimentalismo ostentato dalla frantumazione del discorso poetico e dal ritmo accelerato del "testo simultaneo", equivalente futurista della tecnica compositiva del Cubismo. Il testo è spesso risolto nella disordinata accumulazione di materiali tratti dalla cronaca o dall'attualità più bassa e provocatoria, per spingere l'immagine (anche visiva) verso una libertà assoluta, che anticipa le soluzioni del Dadaismo e del Surrealismo.

Altre liriche, invece, come Il ponte Mirabeau di Alcools o La chiamavano Lu di Calligrammi si muovono su tomi e motivi neoromantici e simbolisti, in cui è possibile rintracciare echi della poesia popolare, di Villon ma anche di Verlaine, fusi nelle cadenza di un ironica o malinconia cantabilità.
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La guerra è dichiarata: parafrasi, analisi e commento - Vladimir Majakovskij



Testo

«Edizione della sera! Della sera! Della sera!
Italia! Germania! Austria!»
E sulla piazza, lugubremente listata di nero,
si effuse un rigagnolo di sangue purpureo!

Un caffè infranse il proprio muso a sangue,
imporporato da un grido ferino:
«Il veleno del sangue nei giuochi del Reno!
I tuoni degli obici sul marmo di Roma!»

Dal cielo lacerato contro gli aculei delle baionette
gocciolavano lacrime di stelle come farina in uno staccio,
e la pietà, schiacciata dalle suole, strillava:
«Ah, lasciatemi, lasciatemi, lasciatemi!»

I generali di bronzo sullo zoccolo a faccette
supplicavano: «Sferrateci, e noi andremo!»
Scalpitavano i baci della cavalleria che prendeva commiato,
e i fanti desideravano la vittoria-assassina.

Alla città accatastata giunse mostruosa nel sogno
la voce di basso del cannone sghignazzante,
mentre da occidente cadeva rossa neve
in brandelli succosi di carne umana.

La piazza si gonfiava, una compagnia dopo l’altra,
sulla sua fronte stizzita si gonfiavano le vene.
«Aspettate, noi asciugheremo le sciabole
sulla seta delle cocottes nei viali di Vienna!»

Gli strilloni si sgolavano: «Edizione della sera!
Italia! Germania! Austria!»
E dalla notte, lugubremente listata di nero,
scorreva, scorreva un rigagnolo di sangue purpureo.



Parafrasi

Edizione della Sera! Ripeto, della Sera!
Che parla di Italia, Germania e Austria!
E nella piazza tristemente segnata dal lutto,
scorre il sangue come un piccolo ruscello.
Le vetrine di un caffè si infrangono, sanguinando,
il cui sangue è colorato da un urlo bestiale:
«Richiami di morte e distruzione fino alle rive del Reno, in Germania!
Le cannonate verso i monumenti in marmo di Roma!»
Dal cielo strappato dalla punta delle baionette
fuoriescono stelle come se fossero lacrime in un setaccio,
mentre la pietà, viene calpestata sotto le suole delle scarpe
e grida un'invocazione di aiuto.
Le statue degli antichi condottieri in bronzo sui piedistalli sfaccettati,
supplicavano «Liberateci dal ferro che ci circonda e anche noi andremo a combattere!».
Gli zoccoli dei cavalli scalpitanti sembrano schioccare baci d'addio
Gli uomini della cavalleria davano gli ultimi baci e i loro cavalli scalpitavano per la fretta di andare,
e i fanti desideravano la vittoria che avrebbe causato inevitabilmente un gran numero di vittime.
Alla città piena di gente giunse nel cuore della notte mostruosa
il rombo del cannone divertito,
mentre ad occidente carne umana ridotta a brandelli
e lanciata per aria ricade come fiocchi di neve rossa e insanguinata.
La piazza diventava sempre più piena di soldati,
e le compagnie di soldati in fila sono come vene gonfie sulla fronte di un uomo irritato.
«Ce la spasseremo a Vienna, e asciugheremo il sangue delle nostre spade sui vestiti di seta delle donne eleganti e compiacenti che passeggiano nei viali della città.»
Gli urlatori gridavano: «Edizione della sera!
Italia! Germania! Austria!»
E nella notte nera (per lutto), scorrevano rivoli di sangue senza fine.



Analisi del testo


METRICA: Quartine variamente rimate.

Il futurismo di Vladimir Majakovskij non ha qui lo scopo di distruggere il linguaggio tradizionale, infatti è basato su un intenso repertorio di immagini analogiche, proposte in modo straordinariamente incisivo.
A differenza dei futuristi italiani condanna la guerra come evento che si oppone alla solidarietà umana e agli interessi della gente, ritenendola un "capriccio" di quelle classi agiate legate al passato, che perseguono solamente i loro interessi e non quelli della collettività..
Il pacifismo di Majakovskij utilizza qui l'arma dell'ironia sarcastica e la mescola con un profondo dolore e immagini che evocano il sangue e la morte (v. 11 - «la pietà, schiacciata dalle suole») che viene coperto dal clamore e dal frastuono (dalle urla degli strilloni al veemente scalpitare dei cavalli, nel delirio di chi desidera la «vittoria assassina»).
Sfruttando questo effetto intensamente dinamico, le analogie nei versi 9-10 assumono un ritmo allucinatorio ed eccessivo.
Vi sono segni di una potenza intensamente visiva «alla città accatastata», «la piazza si gonfiava», che ha anche contrasti violenti come «rossa neve» che cade «in brandelli succosi di carne umana» (vv. 19-20).
I versi 3-4 vengono riutilizzati nella quartina conclusiva, ma la "piazza" è diventata ormai "la notte", e "si effuse" si è trasformato in "scorreva, scorreva". Essi trasmettono i colori della morte e del sangue che sono resi concretamente percepibili, materializzati, dai termini "listata" e "rigagnolo".



Figure retoriche

Analogia = dal cielo lacerato contro gli aculei delle baionette / gocciolavano lacrime di stelle come farina in uno staccio (vv. 9-10)

Personificazione = pietà (v. 11). È un sentimento astratto, non calpestabile.

Personificazione = piazza (v. 21). La piazza non ha una fronte.



Commento

La poesia venne composta nel luglio del 1914, alla notizia dello scoppio della guerra. Il poeta sente risuonare per le strade gli annunci dello scoppio della guerra e guardandosi intorno sembra prevedere gli strazi della morte e della distruzione che la guerra porta con sé. Contro quelli che inneggiano alla guerra, egli oppone la convinzione che la guerra è sangue, lacrime, dolore. All'ultimo verso tutte le speranza di gloria sono ormai svanite, rimane la notte nera che presagisce il lutto e solo tanto scorrimento di sangue che si sarebbe potuto evitare.
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Sogno di prigione: parafrasi, analisi e commento - Dino Campana



Testo

Nel viola della notte odo canzoni bronzee.
La cella è bianca, il giaciglio è bianco.
La cella è bianca, piena di un torrente di voci che muoiono nelle angeliche cune,
delle voci angeliche bronzee è piena la cella bianca. Silenzio: il viola della notte: in rabeschi dalle sbarre bianche il blu del sonno.
Penso ad Anika: stelle deserte sui monti nevosi: strade bianche deserte: poi chiese di marmo bianche: nelle strade Anika canta: un buffo dall’occhio infernale la guida, che grida. Ora il mio paese tra le montagne.
Io al parapetto del cimitero davanti alla stazione che guardo il cammino nero delle macchine, sù, giù. Non è ancor notte; silenzio occhiuto di fuoco:
le macchine mangiano rimangiano il nero silenzio nel cammino della notte.
Un treno: si sgonfia arriva in silenzio, è fermo: la porpora del treno morde la notte: dal parapetto del cimitero le occhiaie rosse che si gonfiano nella notte: poi tutto, mi pare, si muta in rombo: Da un finestrino in fuga io? io ch’alzo le braccia nella luce!! (il treno mi passa sotto rombando come un demonio).



Parafrasi

Nella notte dal colore violaceo sento canzoni che suonano come il bronzo percosso. La cella e il letto sono bianchi. La cella è bianca ed è piena di voci che si spengono nelle angeliche culle, delle voci angeliche bronzee riempiono la cella bianca. Silenzio: il violaceo della notte: le sbarre bianche in stile arabesco e il blu del sonno. Penso ad Anika: stelle isolate sui monti nevosi: strade bianche deserte: poi chiese di marmo bianco: nelle strade Anika canta: una figura infernale la guida gridando. Ora il mio paese natio (Marradi) che si trova tra le montagne. Io guardo dal parapetto del cimitero davanti alla stazione il passare e il ripassare dei treni. Non è ancora giunta la notte; nel silenzio lampeggiano occhi infuocati: le macchine assorbono il nero silenzio nell'andirvieni notturno. Un treno (= paragonato a una bestia infernale) arriva ansimando (= rumore degli stantuffi) in silenzio, e si ferma: le fiamme della caldaia del treno mordono (= è come una bocca infuocata) la notte: dal parapetto del cimitero i fanali (del treno) si avvicinano nella notte: poi tutto, mi sembra, trasformarsi in rombo: Sono io quello in fuga che si vede dal finestrino del treno? Sono io quello che alza le braccia nel finestrino illuminato!!! (il treno mi porta via come un mostro infernale)



Analisi del testo

Temi: ricordo, sogno, allucinazione, la bellezza della natura e della libertà, la visione dell'io in fuga da se stesso.
Anno: 1914.


Nel testo (un frammento di prosa poetica sul tipo di quelli diffusi tra gli scrittori vociani) si possono individuare tre momenti:
  • la cella e il sopraggiungere del sonno;
  • la visione fantastica di Anika e della sua guida, un buffo dall'occhio infernale;
  • la visione-ricordo di Marradi e della stazione all'arrivo della notte.

Ogni cosa viene osservata e ritratta come nel dormiveglia notturno: le sensazioni normali della vita (suoni e colori) si trasformano in altre percezioni, solo sognate. Mancano rapporti logici o di consequenzialità fra le varie immagini. Alla fine giunge il particolare più inquietante: lo sdoppiamento dell'io; l'io poeta vede se stesso in sogno, rapito dal treno in corsa nella notte. Ciò che all'inizio era musica celestiale si muta adesso in inquietudine, in un urlo, quello della figura a braccia levate sulla carrozza del treno.
Grande rilievo hanno, nel testo, colori e suoni.
Tra i colori, emerge un contrasto tra il viola (due volte ripetuto) della notte al di fuori della cella e il colore bianco all'interno di essa (dentro, più volte ripetuto). Al centro del testo i bianchi della cella si trasformano in altri bianchi (la neve sui monti, le strade, le chiese). Infine al nero del cimitero e della notte si oppone il rosso fuoco dei treni e delle caldaie, che paiono occhi spalancati nel buio.
Tra i suoni, spicca il canto celestiale dell'inizio, capace di trasformare la realtà (anche i giacigli diventano angelici).
Subentra poi il silenzio del buio e della notte, interrotto dal canto di Anika. Poi la scena cambia e con la stazione ritorna il silenzio: anche il treno giunge senza fare rumore, come sgonfiandosi. Viene poi l'improvviso rombo di un treno in movimento che, rombando come un demonio nel buio, si porta via l'immagine (appena intravista) di sé.

La scrittura si affida alla punteggiatura, molto accurata, e alle ripetizioni, spesso insistenti:
  • La cella è bianca, il giaciglio è bianco. La cella è bianca... la cella è bianca;
  • nelle angeliche cune, delle voci angeliche.
Questa ripetizione di parole crea come un refrain o ritornello musicale.



Commento

È notte. Dino Campana è recluso in una cella dell’ospedale psichiatrico in cui era ricoverato, come un prigioniero. Può osservare il mondo solo da dietro le sbarre, ma la bellezza che intuisce al di là è sufficiente a trasformare la povera realtà della prigione in qualcosa di angelico. Poi giunge il momento dolcissimo del sonno: ora la mente conduce il poeta alla visione di Anika (una creatura misteriosa, priva di connotati reali) e poi al ricordo della stazione di Marradi, il suo paese. Si arriva così fino all'immagine del treno in corsa, rombante nella notte, sul quale l'io poeta crede di vedere se stesso. Tutto si consuma in un attimo, in un susseguirsi di colori e di voci alternate a silenzi, secondo il rapidissimo processo di associazioni mentali proprio, appunto, dei sogni.
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Biografia: Piero Jahier

Piero Jahier nasce a Genova nel 1884. Il cognome Jahier è di origine francese, anche se era già presente in Italia da molte generazione. Rimasto orfano del padre, un pastore protestante, inizia gli studi teologici ma li interrompe e si impiega nelle ferrovie. Isolato sotto il fascismo per la sua ostilità al regime, smette di scrivere e conclude gli studi, laureandosi in Legge e in Letteratura francese. Esordisce nel 1915 con le Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi, dove utilizzava lo pseudonimo di Gino Bianchi per raffigurare in modo satirico il ritratto del mondo borghese: caratterizzato da un esistenza grigia e arida. Insofferenza che si esprime temporaneamente negli articoli sulla "Voce", in cui attacca particolarmente la situazione religiosa nazionale, e poi, nel 1919, nelle prose di Ragazzo, dove la confessione autobiografica si alterna all'affannato ricorso ai valori intramontabili di una vita vissuta con slancio, con gioia spontanea e con un intenso fervore religioso.
Nello stesso anno esce Con me e con gli alpini, volume di prose e di liriche che, nonostante l'alto valore della testimonianza "diretta" sulla grande guerra, in quanto era ufficiale degli alpini del primo conflitto mondiale, si abbandona spesso ad una celebrazione un po' ingenua, anche se particolarmente sentita, del sacrificio degli umili, delle classi subalterne.
Fonda due giornali «L'Astico», un giornale di trincea, e «Il nuovo contadino», per dare voce ai soldati e ai congedati che stentano a reinserirsi nella vita civile.
Per quanto riguarda la sua produzione letteraria è notevole il tentativo di rendere l'essenza di tutte le cose, dall'uomo agli oggetti, dai paesaggi ai moti interiori dell'anima, attraverso una scrittura decisamente sperimentale in cui si fondano realismo e ispirazione lirica, linguaggio quotidiano e lingua della tradizione, toni biblici e gergo burocratico.
Le sue poesie, rimaste per lungo tempo inedite o sparse su diverse riviste («Lacerba», «Riviera ligure», «La Diana»), sono state raccolte in un volume unico dall'editore Vallecchi poco prima della morte (che lo coglie a Firenze nel 1967).
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L'invetriata: parafrasi, analisi e commento - Dino Campana



Testo

La sera fumosa d'estate
Dall'alta invetriata mesce chiarori nell'ombra
E mi lascia nel cuore un suggello ardente.
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? C'è
Nella stanza un odor di putredine: c'è
Nella stanza una piaga rossa languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c'è,
Nel cuore della sera c'è,
Sempre una piaga rossa languente.



Parafrasi

La foschia calda di una serata estiva, da un alta finestra mescola luci e ombre e mi lascia nel cuore un impressione bruciante. Ma chi ha (su un terrazzo vicino al fiume si accende una lampada) alla Madonnina del Ponte acceso una lampada?
Nella stanza un odore di corruzione: c'è una debole ferita rossa.
Le stelle sembrano bottoni di madreperla e la sera cala con un vestito di velluto: la sera è leggera e tremolante, ma nel mio cuore rimane sempre una debole ferita rossa.



Analisi del testo

Temi: la contemplazione di un tramonto estivo, l'emozione, intensissima, del contatto con i colori della sera e della notte, la ferita sempre aperta nel cuore dell'esistenza umana.

Anno: 1914.

Schema metrico: versi liberi.


Possiamo suddividere il componimento in tre parti:
  • vv. 1-3: il rosso caldo e acceso di un tramonto estivo riversa il suo chiarore nell'ombra della stanza dove si trova il poeta; egli si sente inspiegabilmente ferito, nel suo cuore, dalla luce color del sangue che invade la stanza;
  • vv. 4-7: ormai è buio; l'accendersi improvviso di un lampione (presso un'immagine della Madonna dipinta in testa a un ponte) sconvolge le tenebre. Nascono, nello spirito eccitato del poeta, inquieti interrogativi: chi è chi è che ha acceso la lampada? Il semplice avvenimento sembra inspiegabile e si carica perciò di mistero. Il turbamento (la putredine, la forza corrosiva delle domande senza risposta) si espande, contagiando la stanza in cui si trova il poeta che sembra caricarsi degli estremi bagliori del tramonto (una piaga rossa languente).
  • vv. 8-11: è il momento della notte; le stelle brillano quali bottoni di madreperla, nel cielo buio, che pare dolce e morbido come una scura stoffa di velluto. Campana sottolinea però la natura fatua e tremola di questa bellezza: essa è destinata a svanire con il ritorno del giorno. Non svanirà però sempre una piaga rossa languente (v. 11), ovvero la nota di malinconia e tristezza che si è destata nell'animo del poeta nell'ora iniziale del tramonto: essa, ora, pervade sia il suo cuore sia il cuore della sera.
La poesia è originata dal parallelismo tra la ferita (piaga) del tramonto e la ferita che Campana sente nel proprio animo. L'autore tenta così di comunicare l'esistenza di una realtà interiore che non è percepibile dai sensi, e che si manifesta attraverso segni quotidiani che si trasformano in elementi turbanti.

Il testo s'intesse su poche parole, che Campana cerca di dilatare sfruttando le varie figure retoriche basate sulla ripetizione; esse coinvolgono sia le forme minime del discorso (come c'è, che compare alla fine dei vv. 5, 6, 9, 19), sia porzioni più estese del verso (una piaga rossa languente ai vv. 7 e 11). Il discorso poetico fa un uso sapiente degli aggettivi, così da mettere in risalto le sfumature psicologiche e i sentimenti dell'io poeta.

La percezione del poeta non è esprimibile se non per mezzo di simili immagini, ai limiti dell'allucinazione onirica.



Figure retoriche

Analogia = sera fumosa d'estate (v. 1). Quel fumosa è inteso come foschia calda e l'afa opprimente della sera.

Anafora = nella stanza (vv. 6-7).


Metafora = le stelle sono bottoni di madreperla (v. 8). Le stelle sono stelle non bottoni.

Metafora = la sera si veste di velluto (v. 9). La sera è un vestito di velluto che tutto ricopre.

Chiasmo = è fatua la sera (v. 9). Le parole sono inserite con un ordine diverso, sarebbe stato meglio scrivere, la sera è fatua, ma non sarebbe stato abbastanza poetico.

Metafora = sempre una piaga rossa languente (v. 11). Non è una ferita fisica, ma un dolore che non si placa e in cui sembra racchiudersi il senso di una incombente e minacciosa precarietà, estesa all'intera esistenza.

Enjambements = che ha acceso / la lampada (vv. 5-6);  c'è / nella stanza (vv. 6-7); ma c'è / nel cuore (vv. 9-10); c'è / sempre una piaga (vv. 10-11).



Commento

All'interno dei Canti orfici, una serie di sette poesie (i Notturni) s'ispira all'esperienza notturno: una dimensione favorevole, perché la notte consente all'io poeta di sganciarsi dalla realtà contingente, così da afferrare e intuire, per il tramite della memoria, gli spiragli che dall'esperienza umana, terrena, dischiudono in direzione dell'essenziale e del sacro. Di questa serie fa parte L'invetriata (cioè: La vetrata, La finestra). Origine della lirica è il desiderio di descrivere i passaggi atmosferici e paesaggistici che conducono dall'ora del tramonto al buio della notte, così come il poeta li osserva attraverso una vetrata. Fin da subito, però, la contemplazione del mondo esterno assume forme alterate per il traboccare dei sentimenti che agitano l'animo dell'autore.

Il poeta osserva da una finestra il calare della sera, fino al buio della notte; rappresenta anche le reazioni interiori che tale contemplazione gli suscita. Egli si sente ferito nel cuore dall'impronta ardente del sole; poco dopo qualcuno accende una lampada e allora l'io poeta rivolge a se stesso domande senza risposta.

La sera muore entrando nella nuova dimensione della notte; a ricordare il passato fulgore della sera è solo il rosso della ferita nel cuore dell'io poeta.
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Riassunto vita: Dino Campana


Nacque a Marradi, un paese della provincia fiorentina (1885), e fin dall'adolescenza accusa diversi disturbi psichici. Inizia comunque la facoltà di Chimica a Bologna ma viene internato nel manicomio di Imola nel 1906. Per questo interrompe gli studi e intraprende una serie di vagabondaggi in Italia e in europa. Nel 1918 è addirittura in Argentina, dove lavora come bracciante, ma l'anno successivo ritorna a Firenze e tenta di riprendere, senza successo, gli studi universitari.

Nel 1913 consegna a Soffici e Papini, i direttori di «Lacerba», il manoscritto di un volume di liriche, Il più lungo giorno. Ma Soffici lo perde e Campana è costretto a riscrivere i testi raccolti della raccolta a memoria. Infine, col nuovo titolo di Canti orfici, pubblica a sue spese l'opera nel 1914 e ne vende le copie per le strade e i caffè.

Allo scoppio della guerra vorrebbe partire come volontario ma viene riformato. Seguono altri viaggi, alternati ad un nuovo ricovero e a una tumultuosa storia d'amore con Sibilla Aleramo (1867-1960), che preannuncia, nella sua drammatica evoluzione, l'ultimo e definitivo internamento nel manicomio di Castel Pulci, presso Firenze, nel 1918, dove Campana resterà fino alla morte (1932). E sono molti gli scritti usciti dopo la sua morte, come:
  • l'edizione degli Inediti, delle liriche apparse su riviste e raccolte col titolo di Versi sparsi
  • dei Taccuini
  • delle Lettere, fra cui anche quelle numerose indirizzate a Sibilla, documenti preziosi per capire l'intensa relazione fra il poeta e la scrittrice; 
  • e infine l'importante pubblicazione del manoscritto perso nel '13 e ritrovato fra le carte di Soffici dopo la sua morte.

La poesia di Campana, che parte, come quasi tutti gli altri poeti della sua generazione, dalla lettura di D'Annunzio, tende a bruciare le atmosfere sensuali dell'esperienza dannunziana o quelle troppo intimistiche e rassegnate di certi crepuscolari, orientandosi quasi subito verso un lirismo che assorbe alcuni degli slanci più estremi della poesia ottocentesca (Poe, Baudelaire e le Illuminazioni di Rimbaud), coniugandoli con il vitalismo esaltato da Nietzsche. Anche per questo Campana è stato considerato il nostro esponente più significativo della "poesia maledetta".

La sua estraneità alla società costituita sconvolge l'equilibrio della scrittura e della comunicazione con aperture improvvise su fantasie oniriche, che trasfigurano, attraverso folgorazioni e allucinazioni, la superficie della realtà, i luoghi e le persone, per tentare di catturarne, oltre l'ordine e le convenzioni borghesi, l'aspetto più profondo e segreto. Del resto lo stesso titolo della sua opera principale - i Canti orfici, che sono però un insieme di versi e poemetti in prosa - allude ai misteri orfici dell'antichità e intende proporre una concezione della prosa come fatto magico e misterioso; concezione che avrà un seguito significativo nella poesia italiana del Novecento, rappresentandone una componente essenziale.
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Talora nell'arsura della via: analisi e commento - Camillo Sbarbaro


È la poesia che chiude la raccolta Pianissimo del 1914.


Testo

Talora nell’arsura della via
un canto di cicale mi sorprende.
E subito ecco m’empie la visione
di campagne prostrate nella luce…
E stupisco che ancora al mondo sian
gli alberi e l’acque
tutte le cose buone della terra
che bastavano un giorno a smemorarmi…

Con questo stupor sciocco l’ubbriaco
riceve in viso l’aria della notte.

Ma poi che sento l’anima aderire
ad ogni pietra della città sorda
com’albero con tutte le radici,
sorrido a me indicibilmente e come
per uno sforzo d’ali i gomiti alzo.



Analisi del testo e commento


METRICA: versi liberi.

Nella calura dell'estate cittadina il frinire delle cicale riporta l'immagine di campagne ugualmente assolate, in cui gli elementi della natura riuscivano a recare gioia e conforto, riconducendo l'individuo con se stesso.

Il significato di «smemorarmi» allude all'innocenza e alla felicità dell'infanzia.

Il richiamo analogico è così improvviso e inatteso, nel passaggio da un verso all'altro («mi sorprende. / E subito»), al punto che il poeta si meraviglia degli effetti di stupore precisati nella strofa centrale, in cui il paragone con l'ubriaco unisce le due parti del componimento. Lo stupore che nasce dall'immagine evocata della natura è lo stesso dell'ubriaco (figura dell'uomo in crisi, privo di certezze, di ragione) che riceve, uscendo dalla strada, l'aria fresca, chiara, limpida della notte, che pare liberargli la mente.

La figura dell'ubriaco (simile al «sonnambulo» di Taci, anima stanca di godere) è tipica della poesia sbarbariana, che, sullo stile di Baudelaire, presenta spesso atmosfere cittadine, con tristi periferie, quartieri squallidi e desolati.

La dimensione negativa della città è ribadita subito dopo dall'aggettivo «sorda», che sta per insensibile e silenziosa. A questa città resta attaccata l'anima del poeta, anch'essa pietrificata. Il gesto di alzare i «gomiti» indica lo sforzo di staccarsi da questa condizione, per cercare cieli più puri; ma il sorriso "indicibile" con cui il poeta guarda se stesso, è carico di un'amara e ironica commiserazione, che sottolinea l'inutilità di ogni speranza o tentativo di liberazione.



Figure retoriche

Ossimoro = stupor sciocco (v. 9). Lo "stupore" indica sorpresa, mentre l'aggettivo "sciocco" qualcosa di banale e di ovvio.

Similitudine = come albero con tutte le radici (v. 13).

Personificazione = città sorda (v. 12). La città non è una persona e quindi non può essere non udente, ma in questo caso ha il significato di sensibile e ostile.

Enjambement = la visione / di campagne (vv. 3-4); sia / gli alberi (vv. 5-6); della terra / che bastavano (vv. 7-8); l'ubriaco / riceve (vv. 9-10); aderire / ad ogni pietra (vv. 11-12); come / per uno sforzo (vv. 14-15).
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Ho sceso dandoti il braccio - Montale: parafrasi, analisi, commento


Appartiene alla raccolta Satura, pubblicata nel 1971 (precisamente alla seconda serie di liriche, Xenia) ed è una delle poesie più belle di tutto il Montale in memoria della moglie Drusilla Tanzi. Il tema è quello della morte, o meglio della vita osservata nell'ottica di chi adesso non c'è più, ma che già in vita vedeva meglio.



Testo:

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.



Parafrasi

Ho sceso almeno un milione di scale con l'aiuto del tuo braccio e tu con il mio, e ora che sei morta senza il tuo aiuto mi sembra cadere ad ogni scalino.
Nonostante la lunga vita trascorsa insieme è stata troppo breve. La mia vita, invece dura ancora, non mi servono più le coincidenze dei treni, le prenotazioni degli alberghi e gli affanni della vita appaiono trappole prive di senso senza la tua presenza e le delusioni, arrabbiature di gente che pensa sia vero ciò che appare.
Ho sceso tantissime scale col tuo aiuto perché con quattro occhi forse si vede meglio.
Le ho scese insieme a te perché tra di noi quello che vedeva meglio, nonostante la miopia eri tu.



Analisi del testo

Schema metrico: versi liberi, con alcuni endecasillabi e varie assonanze e rime (crede/vede,due/tue, viaggio/braccio).

Anno: 1967

Temi: le contraddizioni dell’esistere – l’affetto per la moglie scomparsa e il rimpianto del poeta – il vuoto incolmabile lasciato dalla morte


La prima strofa accenna a una metafora, la discesa delle scale, che poi diventa una conferma al verso 3, il mio lungo viaggio, per definire la vita umana.

Il v. 3 propone il rimpianto del poeta per la scomparsa della moglie e costituisce una riflessione sulla durata dell'esistenza umana.

Ritorna in questa lirica un tema già osservato nella Casa dei doganieri e in altre montaliane: l'idea cioè che per vivere ci è necessario stabilire relazioni con i nostri simili. L'assenza di legami o l'interruzione di essi, a causa della morte, è il nemico più terribile, ciò che dà un senso di vuoto (v. 2 ) alla nostra esistenza.

Protagonista della lirica è la figura della Mosca, onnipresente seppure nell'assenza della morte.

Un altro nucleo tematico del testo è quello del vedere: c'è chi, pur avendo le pupille offuscate, vede tutto quello che serve; e c'è chi crede di vedere ma, in realtà, vede poco o nulla.


Analisi linguistica
L'apparente semplicità del linguaggio non impedisce al poeta di ottenere raffinati effetti di musicalità, come l'analisi della prima strofa dimostra.

Nella seconda strofa è molto interessante la rima che lega i due versi. Se nella conclusione della prima strofa il discorso si avvicina alla musicalità, qui invece il poeta vuole sorprendere il lettore con una battuta tipica della satira, affidata a un verso imprevedibilmente breve.


È stato breve = la vita trascorsa insieme è stata troppo breve. Il poeta esprime così il suo affetto per la moglie morta.

Il mio = cioè la mia vita.

Occorrono = nel duplice significato di mi necessitano e mi capitano.

Le coincidenze = il lessico freddo, neutro, sembra riguardare un percorso ferroviario, ma in realtà si riferisce alle esigenze e agli inciampi del vivere. Senza la Mosca, le casualità e gli affanni della vita paiono trappole prive di senso: perciò sembra incolmabile il vuoto aperto dalla sua morte.

Scorni = delusioni, arrabbiature.

Con quattr'occhi = in due. Accanto a lei il poeta vedeva meglio: due più due faceva quattro occhi e cioè si accendeva una luce interiore, che dava la certezza di arrivare alla metà.

Offuscata = miopia.



Figure retoriche

Iperbole = Almeno un milione di scale (v.1). Viene esagerata la numerazione delle scale per sottolineare l'abitudinarietà del gesto di scendere le scale e anche per il fattore nostalgico.

Ossimoro = breve / lungo. (v. 3). I due aggettivi opposti servono a farci capire che nonostante abbia trascorso moltissimo tempo insieme alla moglie, questo tempo gli sembra adesso troppo breve.

Iperbato = ( che è il nn rispettare il seguire logico delle parole ma scriverle secondo l'ordine scelto dal poeta)

Metafora = il nostro lungo viaggio (v. 3). Il viaggio metaforicamente parlando è il corso della vita.

Anafora = la ripetizione di "ho sceso" a inizio verso (vv. 1-8) rappresenta un pensiero fisso per Montale e quindi un dolore costante.

Sineddoche = le sole vere pupille (v. 11). Sostituzione di una parola con un'altra in base a un rapporto di quantità: una parte, cioè le pupille, per il tutto, quindi gli occhi.

Enjambement = occorrono le coincidenze (vv. 4-5).  le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede (vv. 5-7)



Commento

Montale ha percorso insieme alla moglie un lungo e intenso viaggio: il viaggio della vita. Ora la donna è morta e il poeta avverte un gran vuoto intorno a sé; quel viaggio, guardato a ritroso, fu davvero troppo breve. Il poeta e la moglie hanno camminato accanto, sono saliti e scesi insieme per milioni di gradini. Apparentemente la più debole (non solo di vista) era lei. Ma adesso che non c’è più, Montale si accorge che le cose stavano diversamente: infatti la realtà non è affatto quella che si vede (v.7). Malgrado la miopia, tra i due sposi era proprio la Mosca a vederci meglio e a condurre il marito nel viaggio della vita.
La situazione evocata nel testo è l’atto di scendere le scale: un’operazione comune, ma che richiede vista buona. Altrimenti si può mettere il piede nel vuoto ed è qualcosa di peggio che un semplice gradino mancato: Montale pensa al vuoto di un’esistenza priva di punti di riferimento. Adesso che la sua Mosca non c’è più, egli compie l’esperienza amara di un vuoto radicale. Per riempirlo non basta avere la vista acuta; bisogna saper riconoscere la realtà che si cela dietro le apparenze.
Ecco perché la moglie manca tanto al poeta; fra i due era proprio lei la sola in grado di vedere. In un mondo dove le cose vanno a rovescio, appunto la Mosca, umile insetto della casa e miope com'era, sapeva muoversi a suo agio nel viaggio della vita; le sue pupille, benché offuscate, sprigionavano una luce interiore preziosa per individuare la meta per raggiungerla. Se Montale era per sua moglie una guida fisica, lei era per lui una guida spirituale.
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