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Le armi nei poemi omerici


Nel sedicesimo libro dell'Iliade, per la prima volta emerge un motivo che sarà sviluppato nella seconda metà del poema, quello delle armi di Achille: Patroclo, indossate le armi dell’amico, scende in campo e per un certo periodo di tempo viene scambiato per Achille; quindi Ettore, ucciso Patroclo, decide di vestirne le armi e Achille, rimasto senza la sua armatura, ne otterrà una nuova, che la madre Teti fa forgiare da Efesto (libro XVIII) e che rappresenta una mirabile opera d’arte. È evidente che le armi di Achille sono degne solo dell’eroe per cui sono state fabbricate. Apollo stesso interviene a sciogliere la corazza di Achille indossata da Patroclo, come se nessuno fosse in grado di farlo, e Achille rimprovera esplicitamente a Ettore di non aver pensato, quando strappava le armi a Patroclo, alle conseguenze del suo gesto.

Le armi di Achille sembrano addirittura maledette: terminata la guerra, una disputa sorse tra gli eroi per decidere a chi dovessero andare, dopo che Achille era morto: la scelta cadde non su Aiace, secondo Omero l’eroe più valoroso dopo Achille, ma su Odisseo, lo scaltro vincitore della città, e ciò provocò il suicidio di Aiace. La versione mitologica della pazzia e del suicidio di Aiace fu ripresa da molti poeti, fra cui il tragico Sofocle che nella tragedia "Aiace" narra come l’eroe, offeso per l’ingiustizia subita, impazzisse e facesse strage delle bestie, che rappresentavano il cibo per l’esercito acheo, scambiandole per i compagni che l’avevano disonorato, e infine si uccidesse gettandosi sulla spada che Ettore gli aveva dato in dono, alla fine del duello narrato da Omero nell’Iliade.
Il valore quasi magico che le armi di ciascun eroe hanno per il suo possessore lo si coglie soprattutto nell’Iliade, poema interamente focalizzato sulle virtù guerresche e sul significato che esse hanno perla società aristocratica. Achille stesso ne è ben consapevole, quando incita Patroclo a indossarle per ingannare gli avversari; lo stesso Ettore forse si inebria dell’invincibilità che le armi del nemico sembrano racchiudere. Del resto, la vestizione dell’eroe per entrare in battaglia è un momento centrale del duello: indossando le armi, l’eroe assume il suo ruolo di combattente, la sua identità profonda: ben lo dimostrano i versi con cui è descritta la vestizione di Achille nel XIX dell’Iliade.

Anche nell’Odissea (libri XXI e XXII),. un momento centrale è quello in cui Odisseo, preso l’arco che da sempre gli appartiene, non solo riesce a tenderlo e a vincere prova imposta da Penelope, ma viene anche riconosciuto sotto le spoglie del mendico: in questo caso la coincidenza tra identità e arma è segnata dal riconoscimento: l’eroe, entrato in possesso dell’arco, che richiede una forza e una tecnica particolari, torna così a essere se stesso, a ricoprire il suo ruolo. Tuttavia, Odisseo, che più volte nelle avventure precedenti aveva rinunciato al ruolo del guerriero tradizionale per salvarsi la vita, anche facendo ricorso ad armi alternative, fornisce armi ai servi che sa a lui fedeli, per organizzare l’attacco ai Proci: in questo caso il valore delle armi è più sfumato e meno individuale, allargato a una considerazione più collettiva, più sociale, dell’eroismo. L’Odissea sembra rappresentare un momento più recente della storia greca, in cui anche la funzione guerresca può, seppur solo eccezionalmente, coinvolgere le classi basse.


Spesso le armi dell’eroe sono divine, cioè forgiate per volere e dalle mani di un dio. E il caso della panoplia, l’insieme delle armi che Teti commissiona a Efesto e con cui il figlio rientrerà in battaglia dopo la morte di Patroclo. Soprattutto sullo scudo si sofferma Omero e la descrizione dei rilievi figurativi sarà un modello per un’analoga descrizione: quella dello scudo di Enea nel libro VIII dell’Eneide.
Vulcano, l’omologo latino del dio greco Efesto, forgia uno scudo che rappresenta, e anticipa profeticamente, la gloria di Roma, le sue istituzioni, i suoi costumi, avvolgendoli di gloria. Lo scudo di Achille raffigura la terra, il cielo, il mare, il sole, la luna e le stelle, la pace e la guerra, la città e la campagna, ed è cinto dall’Oceano, in una rappresentazione affascinante e incantata dell’universo; lo scudo di Enea invece illustra il destino della futura città e del suo fondatore.
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La figura della sposa nei poemi omerici


Nell'Iliade e nell'Odissea, i due massimi poemi epici della letteratura greca, Omero fa agire le spose degli eroi in modo differente nel rapporto con il proprio marito: c'è chi tradisce, chi inganna, chi è fiduciosa e chi, invece, è rassegnata.

Nell'Iliade, la figura di Elena porta sulla scena il tema del tradimento, evento scatenante, secondo il mito, della guerra stessa. In realtà i poeti successivi a Omero (e lo stesso Omero) non erano così certi che il tradimento fosse imputabile solo a Elena. Priamo stesso nell'Iliade tende a sollevarla dalla responsabilità, che attribuisce piuttosto agli dei.

Un altro tradimento si consuma a danno del fratello di Menelao, Agamennone, appunto tradito e ucciso dalla sposa Clitennestra (nata anch’essa, come Elena, da Leda) al suo ritorno da Troia, grazie alla complicità del suo amante Egisto. Per vendicarsi dell’uccisione della figlia Ifigenia, che Agamennone aveva sacrificato per propiziare la partenza della flotta achea all’inizio della spedizione, architetta un piano delittuoso e al suo ritorno gli tende un agguato terribile: l’eroe, scampato a tanti duelli, viene scannato come un animale, vergognosamente.
Nell’Odissea è Agamennone stesso a raccontare a Odisseo dell'assassinio  quando lo incontra nell’Ade. Questo omerico è il primo racconto di un mito che sarà ripreso molte volte come uno dei più foschi drammi familiari.


Nell’Odissea il ritorno sciagurato di Agamennone è contrapposto, da questo stesso eroe, a quello di Odisseo, che troverà ad attenderlo fedelmente nella sua casa la sposa Penelope, manifesto contrappunto di Clitennestra ed Elena.
La positività della figura di Penelope è messa in luce fin dai primo libro dell’Odissea, quando è rappresentata come fedele custode del ricordo del marito, di cui ancora attende il ritorno, senza cedere ai pretendenti, che vorrebbero indurla a risposarsi: nel gioco di opposizioni che si instaura tra le figure di Elena e Clitennestra da una parte e Penelope dall'altra, i pretendenti sono paragonabili a Paride e a Egisto, ma  numericamente sono molti di più e questo vale solo a ribadire la fedeltà di Penelope rispetto alle scelte prese dalle altre spose.


Un'altra moglie dell'Odissea, Andromaca, è disperata nell'ultimo incontro col marito Ettore che deve andare a combattere contro Achille. La figura d’Andromaca, una delle più commoventi della mitologia greca, rappresenta la donna nei suoi aspetti più tragici. Moglie ideale, vedova fedele, madre affranta racchiude l’impotenza e la sofferenza di qualsiasi vedova. Ella sa che alla sua morte dell'amato marito sarà fatta schiava dagli achei (greci) e il figlio Astianatte ucciso.
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Descrizione: Enea (Eneide) - Riassunto

Il duello di Enea e Turno, olio su tela di Luca Giordano.

Enea, figlio di Anchise, re di Dardano, e di Afrodite (Venere per Virgilio e la tradizione latina), dovette restare nascosto per cinque anni nei monti, dove fu allevato dalle ninfe, per non destare l'ira degli dei contro Anchise, che aveva osato avere un figlio, lui mortale, da una dea.

Allo scoppio della guerra di Troia ottiene il comando della città di Dardano ma, sconfitto da Achille, si trasferisce a Troia, dove combatte insieme a Ettore, l'unico eroe troiano che gli è superiore. Viene ferito da Diomede e salvato, nel corso di un duello con Achille, da Posidone, che gli rivela che a lui tocca il compito di salvare i Dardani dallo sterminio e di rinnovare altrove la città di Troia.

Il suo ruolo diventa centrale nell'Eneide: nel secondo libro racconta in prima persona le tragiche vicende della caduta di Troia, introducendo con la sua viva partecipazione gli eventi che travolgono la città e segnano la sua vita futura. Nel corso del racconto, nonostante l'apparizione di Ettore gli additi subito la fuga, egli reagisce dapprima come un eroe tradizionale, che lotta in armi anche di fronte a un inevitabile scacco, poi come un eroe "nuovo", più consapevole, accetta la fuga senza più sentirla come una viltà, ma come una dolorosa necessità imposta dal Fato. Tuttavia, la decisione di fuggire costa all'eroe il faticoso abbandono dell'etica tradizionale per aderire al piano voluto dagli dei. È proprio lo stesso Ettore, che ha incarnato gli antichi valori nel campo troiano ed è morto per difenderli, a spingere Enea a fare questa scelta: Ettore afferma esplicitamente che non è più possibile salvare Troia lottando, perché gli dei ne hanno deciso la sorte. Infine i prodigi che si manifestano intorno a Iulo convincono Anchise ed Enea a partire.

La fuga, l'esilio, l'assunzione del nuovo ruolo di guida e di salvatore dei superstiti sono voluti dagli dei; proprio in ossequio agli dei Enea svolgerà la sua missione in nome della pietas, cioè il rispetto verso un ordine superiore che segna la sorte di un uomo nelle sue scelte come nelle sue rinunce; un nuovo sentimento che caratterizza la figura eroica, perciò tanto diversa da quella tradizionale, che con questa svolta assume contorni del tutto inediti: eroe sarà colui che sa assumere la responsabilità di un popolo, che sa rispettare scrupolosamente il volere del Fato, anche facendo tacere le sue aspirazioni e i suoi sentimenti.

Nel momento in cui Enea veste i panni che nell'Odissea rivestiva Odisseo, cioè quelli del naufrago e del viaggiatore, le sue caratteristiche dominanti non sono la capacità di attendere, di riflettere, di ingannare, la métis, insomma, ma la pietas, che porta ad un successo meno individuale e, nello stesso tempo, più faticoso e doloroso.

Ad esempio, un "sacrificio sentimentale" si ha quando dopo molte peripezie i troiani approdano a Cartagine, dove Enea sposa la regina Didone, poi però è costretto a partire, e Didone si suicida maledicendo la stirpe troiana.

Quando Enea arriva nel Lazio, chiede la mano della figlia del re Latino (Lavinia). Allora Turno, re dei Rutuli e promesso sposo di Lavinia, dichiara guerra ai troiani, però perde, ed Enea (oltre a sposare Lavinia) diventa capostipite di un'illustre discendenza: fonda il Regno che un giorno diventerà Roma.
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Eneide Libro XII - Analisi temi e personaggi

Il duello di Enea e Turno, olio su tela di Luca Giordano.

Analisi dei temi trattati, il tempo, lo spazio, il narratore e descrizione dei personaggi del dodicesimo libro dell'Eneide.

I temi

Nell'ultimo libro si narra ancora la guerra, diventata, se possibile, più inutile: solo l'ira cocciuta di Giunone impedisce la conclusione e costa nuove stragi, quando ormai la sorte è segnata e a nulla possono valere l'eroismo e il sacrificio per la patria.



La struttura del libro

Lo schema apparentemente lineare del libro, suddivisibile in tre parti, è in realtà complicato da una serie di vicende.
Nella prima, (vv. 1-310), che si apre con la decisione di Turno di sfidare Enea, si inserisce l'intervento di Giunone e di Giuturna, che dà origine alla seconda parte (vv. 311-613), caratterizzata da nuove battaglie e complicata dall'azione di Giuturna, dal suicidio di Amata e dal progettato attacco alla città. In seguito a questo ultimo evento, si snoda l'ultima parte (vv. 614-952), che contiene l'addio di Turno alla sorella, il ritorno sul campo di battaglia, la fuga dell'eroe infine il duello decisivo.



Le fonti

Il modello omerico del duello fra Achille ed Ettore è seguito in modo abbastanza fedele, soprattutto nell'episodio della fuga; d'altra parte, come in Omero, la sconfitta dell'eroe è dovuta soprattutto all'intervento divino, che scioglie le forze dell'avversario; analogamente, l'ultimo colpo sul nemico è provocato dalla vista delle armi del compagno ucciso. Altri punti di contatto sono rappresentati da singoli spunti, quali la conclusione e la violazione dei patti. Tuttavia la costruzione del libro e il tono delle vicende sono decisamente originali.



Il narratore

Il poeta domina dall'esterno una narrazione costruita in modo sapiente soprattutto per la capacità di inserire eventi che ritardano la vicenda centrale, il duello fra Enea e Turno: in tal modo lo scioglimento definitivo della vicenda viene continuamente rimandato e accresce l'attesa del lettore.



Lo spazio

Nonostante il libro sia dominato da scene di battaglia, lo spazio è molto aperto, e ciò è determinato dall'intervento di Giuturna che, dopo aver di fatto profanato lo spazio sacro individuato dai patti, trasforma la guerra in una lunga fuga.



Il tempo

L'azione si riduce a una giornata, ma è in un certo senso dilatata dagli eventi secondari che si intromettono nella linea della narrazione. In particolare, alcuni interventi divini rappresentano in un certo senso una pausa; quello poi fra Giunone e Giove garantisce con una profezia (prolessi) il permanere dei costumi e della lingua dei Latini sconfitti.



I personaggi

La scena è dominata da Turno, che pensa ancora di poter risolvere con le sue forze una situazione ormai decisa, confidando anche nell'aiuto della sorella Giuturna, la ninfa immortale che invano, nel momento in cui capirà di dover abbandonare il fratello, invocherà la morte.
Enea, anche in questo momento decisivo, mantiene la sua caratteristica di eroe saggio e pietoso: disarmato, avanza a fermare le schiere, poi esita a riprendere la lotta e a uccidere Turno. Di fronte al nemico caduto ai suoi piedi egli comprende tutta l'inutilità del sacrificio e prova pietà verso il nemico: solo il balteo di Pallante, che gli ricorda un altro giovane innocente ucciso, gli impone il dovere della vendetta.



Gli dei

Giunone e la sua adiutrice Giuturna sono le responsabili dell'ultima vana strage: Giunone è accecata dal desiderio di autoaffermazione, di vendetta, nonostante la consapevolezza della fine segnata; essa rivela la sua freddezza, quando, ottenuta da Giove la promessa voluta, allontana anche lo sguardo dal campo di battaglia, che ormai non la riguarda più.
La sorella di Turno, Giuturna, dopo aver rinfocolato la mischia, vista ormai perduta ogni speranza, si abbandona alla disperazione con toni tutti umani e rimpiange di avere in sorte proprio ciò che gli uomini invidiano agli dei, l'immortalità, e di non poter perciò rifiutare una vita che le è divenuta insostenibile.
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Eneide Libro 12 - Riassunto

Il duello di Enea e Turno, olio su tela di Luca Giordano.

I Latini ormai scoraggiati chiedono che sia Turno a lottare in duello contro Enea. L'eroe accetta, ma prega Latino di definire i patti: se Enea vincerà avrà il regno e Lavinia. Latino cerca di convincere Turno a cedere senza mettere in gioco la sua vita, ma il giovane Rutulo persevera nel suo proposito, nonostante anche la regina Amata cerchi di dissuaderlo, sostenendo che il suo destino è legato a quello di Turno. Il suo senso dell'onore e la tristezza stessa di Lavinia (che si sente ambita sia dal promesso sposo sia dallo straniero venuto da lontano) lo stimolano a combattere e sfida perciò a duello Enea per l'indomani.

All'alba già si prepara il campo, mentre gli eserciti sono schierati in attesa; ma Giunone, guardando il terreno di battaglia, desiderosa di prolungare la vita al suo protetto, si rivolge alla ninfa Giuturna, sorella di Turno, perché intervenga in favore del fratello. Intanto i re giurano i patti: Enea promette di lasciare ai Latini il regno se sarà sconfitto; se invece vincerà, i due popoli saranno uniti, accoglieranno gli dei dei Troiani, ma il re manterrà il potere. Latino accetta le condizioni. La cerimonia è però turbata dalla comparsa di Giuturna, che, assunto l'aspetto del nobile Camerte, incita i Rutuli a violare i patti, sostenendo che non devono abbandonare Turno, e conferma le sue parole con alcuni prodigi che sconvolgono gli uomini.

L'indovino Volumnio che, interpretando in modo favorevole ai Rutuli i prodigi, scaglia la sua lancia per primo, innesca la battaglia, mentre il re Latino, sconvolto, fugge: i patti sono violati. Solo Enea, inerme, tenta di fermare la strage, ma viene ferito da una freccia, scagliata da mano ignota; è perciò costretto a lasciare il campo, mentre Turno, incoraggiato, riprende la strage.

Mnesteo, Acate e Ascanio riportano Enea ferito alla tenda; invano si cerca di strappare dalla ferita la freccia, finché Venere, aggiungendo all'acqua con cui lo detergono un'erba magica, riesce a guarire il figlio. Enea miracolato riveste le armi e torna sul campo, cercando solo Turno, ovunque. Ma Giuturna, sostituitasi a Metisco, l'auriga del fratello, trascina il carro lontano, mentre il Troiano continua a inseguirlo. A un certo punto Enea, vistosi giocato, riprende a combattere fra i nemici furiosamente, mentre Turno, dalla parte opposta del campo, fa altrettanto.

Infine Enea, sollecitato anche da Venere che vuole dare una svolta risolutiva alla battaglia, decide di attaccare nuovamente la città: mentre i Latini sono incerti sul da farsi, in preda al terrore la regina Amata, pensando che Turno sia stato ucciso, disperata, si uccide. La costernazione travolge Latino e l'intera città: le grida dolorose giungono fino a Turno, che fra presagi di sconfitta riconosce l'inganno della sorella e sdegnato dichiara di non poter più accettare di perdere l'onore militare.

Rivelata la sua tristezza per la morte di tanti compagni d'armi, decide di combattere l'ultimo duello. Esortato dall'amico Sace morente, corre in cerca di Enea, abbandonando Giuturna e giunge alle mura della città, ove ferma i combattimenti per sostenere lo scontro diretto con Enea. I soldati lasciano il campo ai due eroi, e il duello ha inizio.

Turno prende per primo l'iniziativa, ma nel colpire l'avversario la spada si spezza ed egli si volge disperato in fuga; nello stesso tempo Enea resta senza lancia, conficcatasi nel tronco di un albero e trattenuta dal dio Fauno. Giuturna, vedendo il fratello in difficoltà, gli restituisce la spada, mentre Venere, in risposta, rende a Enea la sua lancia.

Giove, che tutto osserva dall'alto, giudica che sia giunto il momento di porre fine alle schermaglie fra le dee e di far cessare ogni inutile tentativo di contrastare il destino segnato di Turno. Perciò convince Giunone a desistere dall'odio contro Enea e accetta le richieste della dea sul futuro del popolo prediletto: i Latini manterranno il loro nome, la loro lingua e i loro costumi. Poi invia sul campo di battaglia la Dira, mostro alato in figura di donna: l'uccello malaugurante svolazza sul viso e sullo scudo di Turno in un sinistro segno di morte. Anche Giuturna, di fronte all'ostilità divina, capisce che non può più nulla e si allontana disperata, rimpiangendo di non potersi uccidere.

Turno tenta invano di sollevare un gran masso, ma le forze lo hanno abbandonato ed è facile bersaglio per la lancia di Enea. Ormai ferito a morte, fra i lamenti dei suoi, riconosce la sua sconfitta e prega Enea di restituire il suo corpo al padre: mentre il Troiano esita a finire Turno, il balteo di Pallante da lui indossato, scatena la sua ira e provoca il colpo mortale.


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Se avrei o Se avessi: come si scrive?


Certi errori grammaticali fanno davvero accapponare la pelle e, il più delle volte, l'errore arriva quando si cerca di fare i superiori adottando un linguaggio più sofisticato del solito, che include il congiuntivo e il condizionale.

Se io avrei... BRRRR! Quante volte vi sono venuti i brividi dopo aver letto o sentito una frase iniziare in questo modo? Ebbene, dopo il "se", non è vero che ci vuole sempre il congiuntivo; a volte è necessario l'indicativo o il condizionale, perché altrimenti cambierebbe il senso che si vuole dare alla frase.

Con il "SE" si costruisce il periodo ipotetico, cioè un periodo fondato su un'ipotesi e che può essere di tre tipi: della realtà, della possibilità o dell'irrealtà. Qui di seguito andremo a vedere quando dopo il "se" è necessario il modo indicativo, congiuntivo o condizionale; per facilitarne la comprensione useremo negli esempi sempre il verbo avere.



Se ho, se hai, se avrò...

1) REALTÀ: Se l'ipotesi è reale o plausibile avremo:

SE + indicativo presente + indicativo presente
Se la piccola ha sonno, le preparo il letto.

SE + indicativo presente + indicativo futuro
Se hai fame, ti preparerò un sandwich appena sarà possibile.

SE + indicativo futuro + indicativo futuro
Se avremo una femmina, la chiameremo Maria.

SE + indicativo passato + indicativo futuro
Se hai fatto il bravo, Babbo Natale ti porterà un regalo.



Se avessi

"Se avessi" appartiene al modo congiuntivo, tempo imperfetto, verbo avere.


2) POSSIBILITÀ: Se l'ipotesi è possibile o eventuale avremo:

SE + congiuntivo imperfetto + condizionale presente
Se Francesca avesse più tempo, lo passerebbe con i suoi cari".


3) IRREALTÀ: Se l'ipotesi è irreale o impossibile, avremo:

SE + congiuntivo trapassato + condizionale passato
Se avessi potuto, sarei andato in gita scolastica.



Se avrei

Il verbo avere "avrei" appartiene al modo condizionale, tempo presente.
"Se avrei" si usa nelle proposizioni dubitative o interrogative indirette, quindi è possibile solo in contesti diversi dal periodo ipotetico.


ESEMPIO:
Non so se (io) avrei la possibilità di concedermi una vacanza.
Chissà se avrei potuto giocare un'altra volta con lei.
Mi chiese se avrei potuto aiutarlo in un prossimo futuro.
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Eneide Libro 11 - Riassunto


La nuova alba vede vittoriosi i Troiani, mentre Enea innalza il trofeo con le armi di Mezenzio e incita i compagni additando loro la prossima meta: la città di Latino. Ordina quindi le esequie per i compagni e fa scortare il corpo di Pallante da Evandro; Enea stesso rende l'estremo omaggio alla salma del giovane pensando con dolore al lutto del padre. Ordina quindi che il corpo sia trasportato con tutti gli onori, avvolto in un prezioso drappo, dono di Didone, e seguito dal bottino di guerra, valorosamente conquistato dal giovane e dai quattro fanciulli catturati per essere immolati sul rogo.

Nel frattempo viene concordata una tregua, allo scopo di seppellire i morti in battaglia: Enea, che accoglie l'ambasceria dei Latini, auspica la pace, ottenendo le lodi di Drance, un vecchio consigliere latino ostile a Turno, che promette al Troiano di persuadere il re Latino alla pace.
La Fama intanto ha portato a Evandro la notizia della morte di Pallante: disperato per la sorte del figlio, in cui riconosce il compiersi di un amaro destino, invoca la vendetta contro Turno.

Nei due campi si celebrano i mesti riti dei funerali, mentre nella città di Laurento grande è il dolore per i morti; in questa già grave situazione, giunge la notizia che Diomede, cui era stata mandata un'ambasceria, non è disponibile a lottare contro i Troiani. La notizia induce Latino a convocare un'assemblea, per convincere a fare la pace con Enea: il re sostiene che il suo regno è voluto dal Fato e si dichiara pronto cedergli una parte di un suo territorio, antico privato possesso.

Drance appoggia la proposta del re e lo esorta a concedere a Enea la figlia Lavinia, mentre insulta Turno, accusandolo di essere un vile, poiché è fuggito davanti a Enea (libro X). Le accuse dell'assemblea dei Latini scatenano l'ira di Turno, che si scaglia contro Drance e lo accusa di parlare inutilmente; ricordando i suoi trionfi, sostiene che se ancora i Latini hanno forza è giusto combattere, avvalendosi anche degli alleati; si dichiara inoltre disposto ad affrontare Enea in un duello.

Mentre l'assemblea è in corso, giunge la notizia che Enea sta muovendo con l'esercito contro la città: Turno, dopo aver deriso la scelta di riunirsi in assemblea mentre i nemici si preparano ad attaccare, impartisce ordini agli uomini e si prepara a combattere. Sopraggiunge la regina dei Volsci, Camilla, seguita dai suoi cavalieri, ed escogita con Turno un piano: mentre Turno si apposterà per tendere un agguato a Enea in marcia verso la città, essa sosterrà l'assalto della cavalleria. Diana, che ama la vergine Camilla ed è consapevole della sua prossima morte, chiama a sé la ninfa Opi e le affida le sue frecce perché ella colpisca chi ucciderà Camilla.

Il primo scontro della cavalleria è furioso e costa la vita a molti guerrieri, ma Camilla domina la scena con le sue gesta; Giove, però, vedendola infuriare, ridesta il valore di Tarconte, capo della cavalleria etrusca: questi incoraggia i suoi e li esorta a opporsi alla vergine guerriera; fra i cavalieri etruschi, soprattutto Arrunte desidera uccidere Camilla: prega Apollo di concedergli la vittoria e il ritorno fra i suoi, anche senza riportare le armi della fanciulla; il dio gli concede di ucciderla, ma gli nega il ritorno. Arrunte insegue da vicino Camilla finché non trova il momento opportuno per colpirla, poi fugge.

Camilla morente invia la sua fedele compagna Acca ad avvisare Turno. Nel frattempo la ninfa Opi, inviata da Diana, trafigge con una freccia Arrunte, per vendicare la morte di Camilla. La cavalleria latina, priva della forte guida della fanciulla, si volge in fuga, mentre Turno, richiamato, abbandona l'agguato e torna al campo di battaglia: Enea riesce perciò a proseguire senza danno la marcia e vede da lontano le schiere nemiche: è però ormai sera e ai due schieramenti non resta che accamparsi.


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Eneide Libro X - Analisi temi e personaggi

Enea erige un trofeo con le spoglie di Mesenzio


I temi

Il decimo libro ci porta ormai nel culmine della guerra, ma essa è sempre più il momento in cui si consuma l'esperienza del dolore, più che il conseguimento della gloria: Pallante e Lauso, vittime entrambe del loro stesso eroismo, rivelano l'asprezza del conflitto e la sua inutilità: i sacrifici eroici non valgono a nulla; Giove stesso ribadisce che a nulla possono gli sforzi contro i Troiani: la loro sorte è decisa dal Fato. La morte in battaglia è inutile, dolorosa; privo di una consolazione che non sia il ricordo dei poeti è l'eroismo; già Ettore nel sesto libro dell'Iliade aveva espresso il triste destino dell'eroe: continuare a combattere pur sapendo che non esiste possibilità di vittoria. Nel mondo dell'Eneide, ben più ricco di sentimenti umani e di affetti, la morte è ancor più vana, meno gratificante è il premio dell'onore, anche perché troppo spesso colpisce i giovani, colti nella loro prima esperienza di guerra e ancora ignari della vita.



La struttura del libro

Dopo la prima sequenza, dedicata al concilio degli dei, la narrazione si snoda intorno ai diversi combattimenti che culminano simmetricamente in quello di Turno e Pallante (vv. 439-509) e di Enea e Lauso (vv. 791-832).



Le fonti

La parte più "iliadica" del poema ha, ovviamente, maggiori corrispondenze con l'Iliade: perciò oltre al concilio degli dei, la rappresentazione della guerra, i duelli, i discorsi dei capi hanno un modello nel testo omerico, per lo più variato e approfondito da una serie di caratterizzazioni, di situazioni e di personaggi che li distinguono notevolmente. D'altra parte, la descrizione delle battaglie e dei duelli trovava precedenti anche nella poesia epica latina precedente a Virgilio, soprattutto in Ennio.



Il narratore

La narrazione esterna domina la scena, che registra notevoli variazioni e colpi di scena (l'apparizione delle ninfe, un tempo navi della flotta troiana, e l'arrivo di Enea). Il poeta esprime il compianto per la morte dei due giovani, che contrassegna profetici interventi, e rivela una partecipazione profonda, che va ben oltre le caratteristiche del genere e lo statuto del poeta epico.



Lo spazio

Sul campo di battaglia, ben distante dall'Olimpo, dove Giove prende atto della situazione, si gioca il destino dell'uomo: lo spazio dominante è il campo, segnato dal coraggio degli eroi e dalla loro morte, che resta l'elemento più rimarcato; questo spazio, affine a quello dominante nell'Iliade, se ne distingue proprio per la connotazione ben più dolorosa: esso rappresenta lo scenario tragico della morte più che quello luminoso dell'eroismo.



Il tempo

La narrazione si concentra sul tempo della battaglia, tempo che in un certo senso si contrae in occasione dei duelli, che si consumano rapidamente, quasi fosse tutto già segnato. In tale narrazione lineare si staccano alcune brevi infrazioni (anacronia): è ricordato il ritorno di Enea (analessi), mentre la profezia del destino di Pallante e di Lauso (prolessi), oltre a creare un'attesa del lettore nei confronti della vicenda (sistema di attese), sottolinea la presenza del poeta nella narrazione nel momento in cui la vicenda volge all'epilogo.



I personaggi

Dalla folla dei guerrieri che animano i duelli spiccano alcuni personaggi ritratti con maggiore precisione, a cui si attribuiscono sentimenti e affetti più profondi e la cui vicenda assume maggiore risalto: fra questi, Turno, Pallante, Lauso e Mezenzio, oltre a Enea. I due protagonisti del libro sono Lauso e Pallante: entrambi sono giovani, nobili, eroici, entrambi sono destinati a una morte prematura e dolorosa che colpisce Enea allo stesso modo, nonostante Lauso sia un nemico. In questo canto trova espressione la cosiddetta "poesia dei vinti": in essa la celebrazione del valore è inscindibile dal dolore e dal rimpianto per i morti innocenti tanto che l'Eneide risulta un'opera epica di tono "diverso", nella quale non c'è mai il trionfo della forza e la pienezza della vittoria, ma una diffusa tristezza che segna tutte le sorti umane. Il destino di Pallante e Lauso è affine a quello di Eurialo e Niso e dei giovani morti prematuramente che Enea vede nell'oltretomba. Gli altri eroi, Enea e Turno, sono contrapposti nella loro reazione di fronte alla guerra e alla morte: l'uno segnato da un senso sofferto del destino e dalla pietas, di fronte alla morte del nemico prova dolore per il giovane stroncato e ne rispetta l'onore, presentendo il dolore del sua pur malvagio padre; l'altro, preso da una sorta di ebbrezza della morte e del massacro, oltraggia il corpo strappandogli le armi, in un comportamento che è modellato su quello di Achille, dopo la morte di Ettore. Mezenzio, crudele tiranno che si è inimicato il suo popolo, in analogia con Evandro, è sconvolto dal dolore per la morte del figlio: l'evento innaturale lo porta a un'estrema risoluzione, alla decisione di un definitivo duello che mette in luce nell'uomo spietato una straordinaria forza di sentimenti.


Gli dei
Il libro si apre con un concilio degli dei, di ispirazione omerica; in cui è ribadita la funzione di Giove come garante del Fato: egli infatti sostiene che la guerra, ormai ineluttabile, non potrà capovolgere il destino; vani sono perciò i discorsi, prova di alta oratoria, delle due dee, che risultano quasi ridicole rispetto al padre degli dei, giusto ed equanime.
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Eneide Libro 10 - Riassunto

Mesenzio, Lauso ed Enea durante la battaglia

Giove convoca il concilio degli dei per conoscere le ragioni della guerra, contraria sia al suo volere sia al disegno del Fato: lo scontro fatale sarà quello contro Cartagine, e solo allora agli dei sarà lecito parteggiare per uno dei contendenti.

Venere si lamenta della furia di Turno e di tutti gli inganni di Giunone; aggiunge che rinuncerà piuttosto all'impero, purché le sia concesso di salvare Iulo, ma rimpiange che il Fato abbia costretto Enea ad abbandonare Troia se ora non gli è concessa la sede promessa.
Giunone replica dicendo che i Troiani sono in difficoltà per l'assenza di Enea, dovuta a una sua precisa scelta; inoltre polemicamente sostiene che anche Venere parteggia per i Troiani e ne aiuta le sorti; infine ricorda le antiche offese arrecatele. Giove alla fine è costretto ad accettare la guerra, ormai irreparabile, ma garantisce che i Fati troveranno la giusta via per risolvere il conflitto, sostenendo comunque la sua assoluta imparzialità.

Nel frattempo al campo troiano prosegue l'assedio, sempre più serrato, mentre gli assediati entro le mura reggono la difesa. Enea, che lasciato Evandro si era recato al campo degli Etruschi, accetta l'alleanza di Tarconte e si accinge a tornare dai suoi per mare, con trenta navi alleate. Durante la navigazione notturna gli si fanno incontro le antiche navi, trasformate in ninfe una di esse, Cimodocea, gli narra quanto è accaduto durante la sua assenza e lo sollecita ad accelerare il cammino per raggiungere gli uomini di Tarconte e di Evandro che, compiuto il viaggio per terra, lo attendono schierati, secondo i suoi ordini.

Quindi la ninfa sospinge la nave ammiraglia che veloce guida le altre. Infine, lo scudo sbalzato da Vulcano, levato al cielo da Enea, avverte da lontano i compagni del suo arrivo e li rincuora, mentre i nemici sono disorientati, vedendo una luce splendente circondare il comandante troiano. Turno non si perde d'animo, cerca di impedire lo sbarco, e invita i suoi a occupare la spiaggia e ricacciare i soldati nemici. Mentre la nave di Tarconte, incagliata su una secca, fa naufragio, iniziano furiosi e accaniti i combattimenti, nei quali si segnala, oltre a Enea, Pallante che con nobili parole incoraggia gli Arcadi in fuga davanti ai Latini e si getta egli stesso fra i nemici, di cui fa strage; anche il giovane Lauso, figlio di Mezenzio, schierato con Turno, dà nobile prova di sé (v. 443 e successivi).

Giuturna, sorella divina di Turno, lo incita ad andare in aiuto di Lauso, che Turno sostituisce nel duello fatale contro Pallante. Il giovane figlio di Evandro, meno esperto, meno crudele del nemico, accetta con molto coraggio lo scontro. Il giovane guerriero prega Ercole, antico ospite, di intervenire al suo fianco ma, pur dolente, l'eroe non lo può aiutare. Pallante affronta così da solo Turno: il suo primo attacco scalfisce appena il Rutulo, cui basta un solo colpo per trafiggerlo mortalmente. Il vincitore trionfa sul corpo caduto e vantandosi gli strappa un prezioso balteo istoriato.

La notizia della morte di Pallante raggiunge subito Enea che ne è sconvolto: si avventa nella mischia alla ricerca di Turno, dopo aver catturato quattro giovani da immolare sul rogo funebre di Pallante. Ascanio e gli assediati escono dal campo e si uniscono ai combattimenti. Giove, intanto, accorgendosi che Venere aiuta i Troiani, consente a Giunone di intervenire, a sua volta, in favore dei Latini, prolungando di qualche tempo la vita di Turno. La dea allora forma una vana immagine di Enea, che inganna il suo nemico, il quale si slancia all'inseguimento fin su una nave su cui crede che anche il Troiano abbia cercato scampo. Giunone interviene di nuovo e recide la gomena dell'ormeggio, dissolve il fantasma di Enea, spinge la nave fino ad Ardea, per portare così Turno in salvo. L'eroe, disperato per essere fuggito e temendo di essere accusato di viltà, vorrebbe uccidersi e solo l'intervento della dea lo trattiene dal compiere questo gesto.

Intanto il crudele Mezenzio entra in battaglia e infuria tra gli armati, sterminando i nemici, finché Enea gli muove incontro e lo affronta: la sua asta riesce a ferirlo ma quando Enea gli si avvicina per finirlo con la spada, il figlio Lauso si precipita a difenderlo cercando di distogliere il nemico dal padre. L'eroe troiano tenta di dissuaderlo dal battersi in un duello impari, ma il giovane impone lo scontro e lo assale: Enea non può fare altro che reagire e gli affonda la spada nel petto, dolente questo pur necessario epilogo; poi rimanda ai suoi la salma senza spogliarla delle armi.

Mentre Mezenzio cerca di curare la sua ferita, sulla riva del fiume, gli giunge la notizia della morte del figlio: sconvolto dall'idea di aver macchiato il nome di Lauso con le sue atrocità, fuori di sé dal dolore, egli ritorna nella mischia dove, nel secondo scontro con Enea trova la morte: nello spirare prega il nemico di sottrarre il suo corpo all'ira degli avversari e di consentire che sia sepolto con il figlio.


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Aggettivi positivi e negativi per descrivere una persona

Aggettivi

Per descrivere una persona (un'amico, un compagno, un fidanzato) bisogna soffermarsi sul suo aspetto fisico, sul suo carattere e sulle sue abitudini. Descrivere l'aspetto fisico di una persona è semplice, basta osservare il suo modo di curarsi, di vestirsi e di muoversi; descrivere le sue abitudini è un po' più complesso perché bisogna conoscere i suoi hobby; ma è ancora più difficile descriverla nel carattere, perché può essere nascosto e poi perché spesso ci lasciamo influenzare dalle apparenze o dai giudizi affrettati degli altri, quando invece sappiamo poco o nulla di quella persona. Per non dare un giudizio troppo superficiale, è necessario cercare prima di tutto di vedere l'altro così come questo è realmente visto dagli altri e poi conoscerlo di persona analizzandone le sue caratteristiche, pregi e difetti.





Aggettivi persona

In questa lista trovate degli aggettivi utili per descrivere una persona fisicamente e caratterialmente; a sinistra vi sono gli aggettivi neutri disposti in ordine alfabetico, alla loro destra trovate il corrispondente opposto. Starà a voi scegliere in base al contesto e alla persona quando un aggettivo può essere considerato positivo o negativo, dal momento che basta aggiungere l'avverbio di quantità "troppo" a un aggettivo che solitamente è considerato positivo (es. ottimista) per renderlo negativo (es. troppo ottimista, come se stesse trascurando alcuni rischi/pericoli). Oppure su alcune persone un determinato carattere per quanto possa sembrare in apparenza negativo, potrebbe adattarsi perfettamente in determinate circostanze al punto da diventare un pregio.



Aggettivi per il carattere di una persona

AGGETTIVI NEUTRIOPPOSTO
AbileMaldestro
AbitudinarioAlternativo
AccattivanteInsignificante
AccoglienteInospitale
AccomodanteScorbutico
AffascinanteRipugnante
AffidabileInaffidabile
AllegroMalinconico
AltruistaEgoista
AmabileOdioso
Ambivalente//
AmbiziosoRinunciatario
AmichevoleOstile
AmorevoleSprezzante
AppassionatoApatico
ApprezzatoSdegnato
ArditoTimido
ArmoniosoStonato
AssertivoIrresoluto
AstutoIngenuo
AttentoDisattento
AudaceTrepido
AvvedutoSventato
BelloBrutto
BonarioScontroso
BravoCattivo
BuonoMalvagio
CalmoIrrequieto
CapaceIncapace
CaparbioArrendevole
CarinoRepellente
CarismaticoSpento
CautoTemerario
ChiacchieroneTaciturno
ChiaroMisterioso
CoerenteIncoerente
ColtoRozzo
CompassionevoleSpietato
CompiaciutoInvidioso
ComprensivoIntransigente
CompresoIncompreso
ComuneBizzarro
ConcentratoDistratto
ConcilianteCollerico
ConosciutoSconosciuto
ContentabileIncontentabile
ContentoScontento
ConvincenteInefficace
CoraggiosoFifone
CordialeBurbero
CorrettoScorretto
CorteseScortese
CostanteLunatico
CreativoScialbo
CuriosoIndifferente
DecisoIndeciso
DeterminatoIncerto
DinamicoStatico
DiplomaticoSfacciato
DiscretoInvadente
DisinvoltoGoffo
DisponibileIndisponibile
DivertenteNoioso
DolceViolento
EducatoMaleducato
ElasticoRigido
EleganteTrasandato
EnergicoFiacco
EntusiastaFrigido
EsaurienteSuperficiale
EstroversoIntroverso
EquilibratoSquilibrato
FedeleInfedele
FeliceInfelice
FidatoTraditore
FiduciosoDiffidente, Geloso
FigoSfigato
ForteDebole
FortunatoSfortunato
ForzutoFragile
FurboMinchione
GagliardoCodardo
GarbatoSgarbato
GenerosoMeschino
GentileScortese
GioiosoTriste
GiovialeMesto
GiustoSbagliato
GradevoleSgradevole
GraziosoSgraziato
IdoneoInidoneo
ImpavidoPauroso
ImperturbabileEmotivo
ImportanteInutile
ImprevedibilePrevedibile
IncantevoleOrribile
IndulgenteVendicativo
IngegnosoInetto
InnocuoPericoloso
IntelligenteStupido
InteressanteInsignificante
InteressatoDisinteressato
IstruitoIgnorante
LaboriosoOzioso
LealeSleale
LiberoOccupato
LoquaceTaciturno
MagnanimoAvaro
Mansueto Sovversivo
MaturoImmaturo
MemoreSmemorato
MeravigliosoOrrendo
MinuziosoNegligente
MisericordiosoCrudele
MiteAggressivo
ModestoVanitoso
NaturaleStrano
NormaleEccentrico
ObbedienteDisubbidiente
OnestoDisonesto
OperosoPigro
OrdinatoDisordinato
OrganizzatoDisorganizzato
OrgogliosoDimesso
OriginaleCopione
OssequiosoImpertinente
OttimistaPessimista
PacificoLitigioso
PartecipeCinico
PazienteImpaziente
PerfettoImperfetto
PerspicaceSconsiderato
PersuasivoDissuasivo
PiacevoleFastidioso
PositivoNegativo
PotenteImpotente
PraticoInesperto
PropositivoDisfattista
PregevoleSpregevole
PremurosoNoncurante
PreparatoImpreparato
ProfumatoPuzzolente
PrudenteImprudente
PulitoSporco
PuntualeRitardatario
PuroFalso
RadiosoAddolorato
RaffinatoGrezzo
RaggianteAfflitto
RagionevoleScriteriato
RazionaleIrrazionale
RealistaSognatore
RegolareIrregolare
ResponsabileIrresponsabile
RiccoPovero
RiconoscenteIngrato
RiflessivoImpulsivo
RilassatoContratto
RiservatoSvergognato
RispettosoInsolente
RomanticoFreddo
SaggioAvventato
SavioPazzo
ScaltroFessacchiotto
ScherzosoSerioso
SempliceEnigmatico
SensatoInsensato
SensibileInsensibile
SerenoTurbato
Serio Frivolo
SicuroInsicuro
SimpaticoAntipatico
SinceroBugiardo
SocialeAsociale
SocievoleSolitario
SoddisfattoInsoddisfatto
SpavaldoTimoroso
SpecialeBanale
SpigliatoImpacciato
SplendidoOscuro
SportivoSedentario
StabileVagabondo
StimatoDisprezzato
StraordinarioSolito
StudiosoSaccente
SuadenteRude
SuperioreInferiore
SveglioStordito
TranquilloAgitato
TolleranteEsigente
UbbidienteRibelle
UmilePresuntuoso
UnicoComune
ValorosoVigliacco
VeloceLento
VicinoLontano
VincentePerdente
VirtuosoViziato
VolenterosoSvogliato
VolubileTestardo


Aggettivi per l'aspetto fisico di una persona

Dal momento che la bellezza è soggettiva (non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace), per quanto riguarda l'aspetto fisico è presente una nuova lista dove anche qui non si fa distinzione tra aggettivi positivi e negativi, bensì a sinistra trovate degli aggettivi neutri (né positivi né negativi) e alla loro destra il rispettivo aggettivo opposto e contrario, ma non necessariamente negativo.

Aggettivi neutriOpposto
AbbronzatoPallido
Alto Basso
Atletico Gracile
Barbuto Sbarbato
Capellone Calvo/Rasato
DepilatoPeloso
EsileMassiccio
GiovaneVecchio
Grande Piccolo
InvalidoIntegro
Lentigginoso//
Magro Paffuto
Maschile Femminile
Moro Biondo
Pettinato Spettinato
Robusto Minuto
Rotondetto Scheletrico
Sano Malato / Insano
Scuro Chiaro
Snello Grasso / Ciccione
SorridenteAccigliato
Sottopeso Sovrappeso



Domande &  Risposte
Quali sono gli aggettivi positivi per una persona?
Gli aggettivi positivi più usati per descrivere una persona sono: bella, buona, intelligente, socievole, comprensiva, educata, divertente.
Quali sono gli aggettivi negativi per una persona?
Gli aggettivi negativi più usati per descrivere una persona sono: brutta, ignorante, asociale, dispettosa, ineducata, noiosa.
Quali aggettivi usano espressioni colloquiali?
Gli aggettivi più usati per descrivere una persona in modo colloquiale sono: mitica, super, incazzata, leccaculo, minchione, sfigata.
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Eneide Libro IX - Analisi temi e personaggi

Eurialo e Niso


I temi

Con il sesto libro inizia la parte dell'Eneide "iliadica" dell'Eneide, cioè più legata al modello dell'Iliade e quindi più direttamente ispirata alla guerra: col nono libro entriamo nel vivo delle battaglie e delle prove di eroismo, segnate fin dall'inizio da un motivo che è anch'esso derivato dall'Iliade: il tema della sposa rapita, introdotto esplicitamente da Turno, a cui viene sottratta la sposa promessa, Lavinia. Tuttavia la guerra, direttamente originata dall'intervento nefasto della divinità, è ben più drammatica di quella che Omero descrive nell'Iliade, soprattutto perché diversa è la percezione che ne hanno i personaggi e ben più grandi sono le lacerazioni che provoca nel cuore e nel destino degli uomini. Per i personaggi virgiliani la guerra non è semplicemente un'occasione per mettere in luce il proprio valore e per tramandare il proprio nome: è piuttosto una difficile prova, che mette in gioco la loro vita e sradica le loro speranze. In questo libro, che vede trionfare la forza e l'impeto di Turno, il sentimento che domina non è il compiacimento per il coraggio dell'eroe, ma il senso dell'onore dolorosamente conquistato da Eurialo e Niso attraverso la morte. In queste due figure, nel loro eroismo, nella loro giovinezza e nella morte ingiusta che li accomuna, riecheggia lo spirito che anima la conclusione del sesto libro, nella figura del giovane Marcello, non meno che nella rappresentazione dei morti anzitempo. Nei libri più vicini al modello omerico, dunque, si nota anche una rielaborazione dell'eroismo: quello che in Omero è la rivincita dell'uomo sulla morte, poiché permette il ricordo immortale grazie alla memoria della collettività, è in Virgilio un comportamento celebrato con rispetto e segnato dal dolore e dalla consapevolezza che la guerra è uno stravolgimento terribile e insensato, che nessuna gloria può giustificare del tutto.



La struttura del libro

La narrazione è divisa in tre sequenze, delle quali la prima (vv. 1-175) e la terza (vv. 459-818) sono una sorta di cornice che racchiude la vicenda eroica della sortita di Eurialo e Niso, inquadrandola nei combattimenti e distinguendola da essi per il suo valore umano e per la drammaticità.



Le fonti

La fonte fondamentale è il decimo libro dell'Iliade, che narra la sortita notturna di Ulisse e Diomede nel campo troiano. Tuttavia, la finalità ben più nobile (Ulisse e Diomede vogliono semplicemente spiare i nemici) e l'esito drammatico, oltre al rapporto fra i due e la loro giovinezza, conferiscono all'episodio un significato diverso e più profondo. Altri sono gli echi omerici, soprattutto il lamento di Andromaca e di Ecuba sul cadavere di Ettore nei libri ventidue e ventiquattro dell'Iliade.



Il narratore

In un libro nel quale domina la narrazione degli eventi, il narratore gestisce dall'esterno la regia dei fatti, sapientemente organizzati nella struttura; gli interventi però non mancano e segnano soprattutto la partecipazione alla morte di Eurialo e Niso, con l'elogio altissimo in cui emerge chiaramente la voce del poeta.



Lo spazio

Come in alcune scene di battaglia dell'Iliade, anche qui si contrappongono l'accampamento e lo spazio dell'esercito nemico schierato. Questa contrapposizione dà origine agli assalti ripetuti e alle scene d'assedio. La forzatura dello schema è rappresentata dalla sortita notturna, rovinosa e drammatica: nello spazio dell'accampamento nemico, violato dai due giovani, ha luogo il loro atto eroico e si consuma la loro sorte infelice.



Il tempo

Le vicende narrate si svolgono in due tempi: una giornata intera e la mattina successiva, separate dall'avventura notturna di Eurialo e Niso. L'impresa è segnata dal senso del mistero e del pericolo legato alla notte, che rappresenta il tempo connotato della vicenda, in cui l'impresa eroica è associata alla morte e, nello stesso tempo, all'esaltazione della virtus.


L'ordine della narrazione
La narrazione è del tutto lineare e porta avanti le vicende che si verificano sul campo dei Troiani. Risultano invece interrotti, con un procedimento tipico dell'epica, i fatti inerenti alla missione di Enea presso Evandro e gli Etruschi.



I personaggi

Significativa in questo libro è l'assenza di Enea, che i Troiani rimpiangono, di cui eseguono scrupolosamente gli ordini e che è, indirettamente, causa della morte dei due protagonisti, che si offrono di raggiungerlo per informarlo degli eventi. La sua assenza, che ricorda quella di Achille in gran parte dell'Iliade, consente a Turno di primeggiare, in una serie di furiosi combattimenti, senza che nessuno gli si possa efficacemente opporre. La schiera dei Troiani costituisce una sorta di personaggio corale: essi, anche in assenza del loro capo, sanno stare alle consegne, in quell'atteggiamento che sarà poi fondamentale negli eserciti romani: la fedeltà all'ordine ricevuto. Nei due personaggi di Eurialo e Niso, la cui vicenda è centrale nel libro, riecheggiano antichi esempi di valore: il modello più diretto è evidentemente il decimo libro dell'Iliade, in cui Ulisse e Diomede fanno un'incursione nel campo nemico; tuttavia l'elemento più significativo è l'amicizia dei due eroi: essa ricorda quella fra Achille e Patroclo, anche per la diversa età dei due e per il sentimento di devozione che essi nutrono l'uno per l'altro. Il fatto che nel testo virgiliano sia l'inesperienza di Eurialo a perderlo, aggiunge un elemento patetico alla vicenda, mentre è originale in Virgilio la presenza della madre del giovane, la cui disperazione accentua la drammaticità. Unico personaggio femminile rimasto nel campo troiano, la madre di Eurialo è l'erede di figure come Ecuba e Andromaca, e rappresenta il dolore straziante della madre e della donna abbandonata.


Gli dei
Prosegue in questo libro l'opera di Giunone, mai diretta, ma svolta dalle divinità minori che la assecondano nei suoi disegni: Aletto, nel settimo libro, Iris in questo. La guerra è la diretta conseguenza della sua opera dissennata e tanto più ingiustificata in quanto segnata dalla consapevolezza che essa è solo una vana vendetta.
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Eneide Libro 9 - Riassunto

Eurialo e Niso (1827) di Jean-Baptiste Roman, Louvre

Mentre Enea si trova presso il campo etrusco, Giunone invia Iride da Turno per convincerlo a sferrare un attacco ai Troiani: l'eroe latino, riconosciuta Iride, decide di seguire il suo consiglio, e l'esercito dei Rutuli si mette in marcia. Improvvisamente i Troiani vedono avanzare una nube di polvere, che segnala l'avvicinarsi dei nemici. Tuttavia, per ordine di Enea, i Troiani si limitano a difendersi entro l'accampamento. Turno, che guida superbo un gruppo scelto di armati, si stupisce dell'inerzia dei Troiani e tenta di forzare l'accampamento, aggirandovisi intorno, come un lupo affamato presso l'ovile.

Fallito il tentativo di penetrare nell'accampamento, si volge verso la flotta troiana tratta in secco sul lido, per bruciarla, impedendo così ogni possibilità di fuga al nemico. Nonostante Turno vi si avventi contro con fiaccole, le navi non prendono fuoco: ad esse, costruite infatti con il sacro legno dell'Ida, Giove aveva concesso che quelle scampate al naufragio non potessero essere distrutte, ma diventassero ninfe marine. Dall'alto una voce ammonisce i Troiani di non difendere le navi perché esse non bruceranno e ordina a queste ultime di andarsene: esse si strappano gli ormeggi e si immergono nell'acqua, poi si dileguano magicamente come ninfe.

I Rutuli tutti e il Tevere stesso rimangono stupefatti per il prodigio, che Turno interpreta in modo sfavorevole ai Troiani. Incita allora i suoi a lottare contro chi tenta di sottrargli la sposa Lavinia, ricordando che già una volta, strappando Elena a Menelao, i Teucri hanno scatenato una guerra. Tuttavia, poiché è ormai scesa la sera, egli dà ordine di accamparsi e di organizzare la guardia. Anche i Teucri, che dalle mura dell'accampamento osservano la piana, organizzano turni di guardia.

Niso, figlio di Irtaco, è di guardia a una porta insieme all'amico Eurialo, cui è profondamente legato. Niso, mosso dal desiderio di compiere qualcosa di grande, vorrebbe fare una sortita per avvertire Enea (in terra etrusca, con Pallante e i cavalieri arcadi) del pericolo che incombe; non vorrebbe, però, portare con sé Eurialo, non solo per la sua giovane età ma anche in rispetto alla presenza della madre sua, unica delle donne Troiane che abbia voluto seguirli rifiutandosi di fermarsi ad Acesta (libro V).

Eurialo però non accetta di rinunciare all'impresa e segue Niso; proprio mentre i capi troiani tengono un'assemblea per decidere chi mandare ad avvisare Enea, i due giovani si presentano ed espongono il loro piano: attraversare il campo dei Rutuli, sprofondati nel sonno e preda del vino e portare un messaggio al capo lontano. Iulo con gli altri comandanti approva l'iniziativa e promette loro grandi doni, ma Eurialo gli chiede solo di aver cura della madre, che egli, partendo, non ha il coraggio di salutare.

Usciti dal campo troiano, superato il fossato, silenziosi si introducono di soppiatto nell'accampamento dei nemici dove, sorprendendo i soldati ubriachi addormentati, ne fanno una strage. Niso procede per primo, Eurialo lo segue, finché Niso comprende che è quasi giorno e devono affrettarsi; Eurialo si attarda però a raccogliere un ricco bottino e commette un errore fatale, indossando un vistoso elmo piumato. Nel frattempo, una schiera di cavalieri, guidata da Volcente, uscita da Laurento per ricongiungersi con Turno, sorprende i due giovani, traditi dal brillio di un raggio di luna sull'elmo che Eurialo ha indossato.

I due tentano allora la fuga per il bosco, ma mentre Eurialo è impacciato dal pesante bottino, Niso riesce a fuggire, finché si accorge che il suo amato compagno non lo segue e torna sui suoi passi per cercarlo: infine lo vede circondato dai nemici. Dopo aver supplicato la Luna, Niso, nascosto nel folto della vegetazione, scaglia la lancia, ma provoca l'ira di Volcente, che, ignorando l'assalitore, si vendica ferendo mortalmente Eurialo. Allora Niso con un grido svela la sua presenza e, nel tentativo di salvare l'amico, si offre ai colpi gettandosi fra i nemici; ma, ucciso Volcente, viene a sua volta trafitto dai colpi.

I Rutuli riportano le spoglie dei due nemici e di Volcente al campo, dove scoprono la strage fatta da Eurialo e Niso. Il giorno dopo la battaglia riprende, preceduta dal terribile trofeo delle teste dei due giovani confitte sulle picche. Mentre i Troiani continuano a difendere il campo, la Fama reca l'atroce notizia alla madre di Eurialo, la quale sconvolta invoca gli dei di dare anche a lei la morte; infine, due uomini mandati da Iulo la riportano nella sua tenda.

Intanto l'esercito nemico sferra un grande assalto, cercando di forzare l'accampamento, e si accanisce contro una torre; Turno riesce alla fine a incendiarla ed essa crolla rovinosamente. Il capo dei Rutuli, imbaldanzito, si scatena nella lotta, ma i Troiani gli tengono testa, mentre per la prima volta Iulo, con una freccia, uccide un forte nemico.

Turno, frattanto, insolentisce i Troiani che non osano uscire dall'accampamento e provoca l'ira di Ascanio che Apollo stesso, tuttavia, fa allontanare dalla battaglia perché non si esponga troppo al pericolo. Due fratelli troiani, Pandaro e Bizia, guerrieri giganteschi, aprono la porta affidata a loro, e sfidano i nemici a entrare facendone strage. Infine accorre anche Turno, uccidendo chi gli si oppone, fra cui Bizia; Pandaro allora con grande sforzo chiude la porta, ma Turno resta all'interno dell'accampamento, dove subito uccide lo stesso Pandaro e altri valenti guerrieri.

I Troiani fuggono atterriti mentre Turno impazza nell'accampamento, ma alla fine non sa cogliere il momento per spalancare la porta e far entrare i suoi. Allora Mnesteo e Seresto rimproverano i Troiani in fuga e li esortano a resistere riuscendo a fatica a riorganizzare in qualche modo le file troiane. Turno è così costretto ad arretrare, ormai sfinito, finché con un balzo salta nel Tevere, che lo accoglie e lo rende purificato ai compagni.


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Eneide Libro 8 - Riassunto

Venere nella grotta di Vulcano chiede le armi di Enea, dipinto di G. B. Tiepolo, 1765-1770.

Turno e i suoi alleati latini cercano l'appoggio di Diomede, che, reduce dalla guerra di Troia, aveva fondato una città in Apulia. Enea, intanto, profondamente turbato, privo di alleati per far fronte a una coalizione così compatta, veglia angosciato; quando finalmente riesce a prendere sonno gli appare il genio del luogo, il dio Tiberino, che gli garantisce il favore del Fato e lo incoraggia; inoltre gli conferma la profezia di Eleno, dicendogli che troverà sulle rive del fiume la scrofa con i trenta cuccioli, dove Ascanio fonderà Alba. Lo invita quindi a recarsi da Evandro, re arcade che ha fondato una città, Pallanteo, sul colle Palatino, per ricevere da lui aiuto.

Al risveglio, Enea trova la scrofa con i lattonzoli, che sacrifica a Giunone, dopo aver promesso onori perpetui al fiume; poi parte con alcuni compagni alla volta di Pallanteo. Ben presto, risalendo la corrente favorevole del fiume, giunge alla città di Evandro, dove si sta celebrando un rito in onore di Ercole: Pallante, figlio di Evandro, si avvede dell'arrivo degli stranieri e va loro incontro, perché il rito solenne non sia interrotto.

Dopo aver saputo chi sono e che cosa vogliono, Pallante invita Enea e i compagni a partecipare al rito ed Evandro, riconoscendo in loro antichi ospiti (aveva infatti ospitato un tempo Anchise, di passaggio in Arcadia), li accoglie amichevolmente; quindi essi partecipano alla solenne cerimonia. In seguito Evandro illustra il significato di quel rito: Ercole, un tempo, reduce dalla Spagna dove aveva vinto il mostro Gerione e si era impadronito delle bestie, era passato di lì con i suoi armenti; il mostro Caco, figlio di Vulcano, gli rubò alcune bestie trascinandole per la coda, in modo tale che le peste degli animali ingannassero le ricerche; tuttavia Ercole scoprì nell'antro del mostro le sue mucche, che muggivano sentendo le altre: scoperchiò la caverna e strangolò il mostro, nonostante esso vomitasse fuoco dalla bocca, liberando così il paese dalla sua infausta presenza: perciò Evandro celebra, ogni anno, il rito di ringraziamento in memoria dell'evento e in onore di Ercole.

Dopo un nuovo banchetto e nuove offerte, i sacerdoti Salii cantano in doppio coro le lodi di Ercole a conclusione del rito. Evandro guida con sé nella città Enea e i compagni e illustra i luoghi che attraversano e dove, un giorno, sorgerà la futura città.

Scesa ormai la notte, mentre Enea dorme nella modesta dimora di Evandro, Venere, temendo per la sorte del figlio, si reca dallo sposo Vulcano e lo prega di forgiare per lui nuove armi. Il dio è felice di accontentare la sposa e, quella notte stessa, si reca a Vulcano, isoletta vicina alla Sicilia, nell'arcipelago delle Eolie, per soddisfare la richiesta. Così, all'alba dalla sua fucina escono le armi fatali.

Il mattino successivo, Enea, accompagnato da Acate, si incontra con Evandro e Pallante: l'eroe troiano accoglie la proposta del re di cercare anche l'alleanza con gli Etruschi, ben più numerosi e potenti degli Arcadi e ostili ai Latini, da quando Turno ha accolto il feroce tiranno Mezenzio: questi, che era stato cacciato da Evandro, secondo la profezia, sarebbe stato punito solamente per intervento di un capo straniero.

Evandro fornisce a Enea duecento cavalieri, e altrettanti il figlio Pallante, che lo accompagnerà nella guerra. Compiuto un ultimo sacrificio propiziatorio, Evandro si augura di morire piuttosto che soffrire la morte del figlio e, al momento del congedo, presagio del futuro, perde conoscenza.
Enea e Pallante a cavallo raggiungono rapidamente il campo, dove Tarconte ha radunato gli Etruschi, pronti a combattere contro i Latini. Intanto Venere sorprende il figlio solo, in riva al fiume e gli offre le armi divine, che Enea ammira per la bellezza della fattura.


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Frasi con nomi primitivi e derivati


I nomi primitivi non derivano da nessun'altra parola e sono formati soltanto dalla radice e dalla desinenza.

I nomi derivati derivano dai nomi primitivi, con l'aggiunta di prefissi (elementi posti prima della radice del nome) e suffissi (elementi posti dopo la radice del nome), e assumono un significato del tutto diverso.

Libro → Libr (radice) -o (desinenza) = nome primitivo
Libreria → Libr (radice) -eria (suffisso) = nome derivato



Nomi primitivi e derivati: frasi svolte

Qui di seguito vi proponiamo delle frasi utilizzando dieci nomi primitivi e useremo sempre le stesse parole per formare dieci frasi con i nomi derivati.



Frasi con nomi primitivi

  1. Quel libro ha avuto successo più per il titolo che per il contenuto.
  2. Bisogna aggiungere un bicchiere di latte all'impasto.
  3. Il tavolo traballava perché aveva una gamba più corta delle altre.
  4. Mi sono fatto male alla gamba.
  5. Il mancino utilizza preferibilmente la mano sinistra.
  6. Quella musica è estremamente godibile e rilassante.
  7. Il livello dell'acqua in piscina era insufficiente per tuffarsi.
  8. Ho dormito male e adesso mi fa male il collo.
  9. Il crisantemo è il fiore tipico del mese di novembre.
  10. Il gioco della dama è semplice se paragonato a quello degli scacchi.



Frasi con nomi derivati

  1. Quella stanza risulta piccola per aggiungere un'altra libreria.
  2. Marco lavora in una latteria.
  3. La tavolata era composta da tredici persone adulte e tredici bambini.
  4. Molte persone si rivolgono a dei guaritori perché convinte di avere un maleficio.
  5. La stufa a gas si spegne girando la manopola della bombola, non dall'interruttore.
  6. Lo spartito per un musicista è come la bicicletta per un corridore.
  7. Mi viene già l'acquolina con il solo profumo di pizza.
  8. Ha voluto impossessarsi a tutti i costi di quella collana.
  9. Maggio è il mese della fioritura dei ciliegi e delle rose.
  10. Il più forte giocatore di pallacanestro di tutti i tempi è stato Michael Jordan.
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Eneide Libro 7 - Riassunto

Enea alla corte del re Latino, olio su tela di Ferdinand Bol, 1661-1663 ca, Amsterdam, Rijksmuseum.

Un nuovo lutto rattrista Enea: la morte di Caeta, antica nutrice, che viene sepolta in un luogo che assumerà il suo nome (Gaeta). Durante la navigazione gli Eneadi costeggiano la terra di Circe, dalla quale Nettuno, che li protegge, li tiene lontano; giungono infine alla corrente del Tevere, in un paesaggio luminoso e sereno. Lì vive Latino, che pacificamente regna su molte città, in attesa di far sposare la figlia Lavinia a un giovane principe: nonostante molti, fra cui Turno, la chiedano in moglie, egli esita, poiché alcuni prodigi gli hanno rivelato l'imminente arrivo di un capo straniero, cui è destinata Lavinia, secondo quanto gli è stato profetizzato dal padre Fauno. Latino non ha taciuto questo responso che è noto a tutti.

Nel frattempo Enea e i compagni sono sbarcati e si stanno rifocillando: a un tratto Ascanio, notando che mangiano anche le focacce su cui hanno posto i cibi, osserva scherzosamente che si stanno mangiando le mense. Enea si rallegra perché vede compiuta la profezia, secondo cui quando avessero mangiato le mense sarebbero giunti nella terra loro destinata dal Fato, e offre, grato, un sacrificio a Giove, che manifesta il suo favore con un tuono e altri prodigi.

Alcuni esuli si recano a esplorare i luoghi e vengono a sapere che si trovano presso gli stagni del Numico, che il fiume è il Tevere e la terra è abitata dai Latini. Quindi Enea sceglie alcuni uomini perché si rechino in ambasceria da Latino: essi giungono nel grande e maestoso palazzo a Laurento, dove vengono accolti con onore dal re.

Ilioneo, capo dell'ambasceria, narra la loro partenza da Troia e illustra le richieste di Enea: al re una piccola porzione di terra in quel luogo che è loro destinato dal Fato perché presenta la terra da cui il progenitore Dardano era partito; offre inoltre doni, alla rovina di Troia.
Latino, memore della profezia di Fauno, accoglie i Troiani e risponde che volentieri accoglierà le richieste di Enea, cui promette la mano di Lavinia.

Tuttavia Giunone, offesa dal fatto che ormai gli Eneadi sono felicemente sbarcati in Italia, nonostante sia consapevole che le è impossibile vanificare il disegno del Fato, tenta ugualmente di intralciare gli eventi, cercando almeno di vendicarsi. Infatti chiama a sé la Furia Aletto, figlia della Notte, madre di lutti, discordie, delitti, e le ordina di scatenare la guerra fra i Troiani e i Latini. La Furia si mette ben volentieri all'opera: dapprima lancia in petto ad Amata, moglie di Latino e madre di Lavinia, uno dei serpenti che le spuntano sul capo come capelli: così si scatena in lei l'ira contro il marito, colpevole di sottrarre a Turno la figlia ormai promessagli in sposa; la donna, in preda a una sorta di invasamento, fugge sui boschi come una baccante, recando con sé la figlia Lavinia e trascinando insieme a lei molte donne latine. Quindi Aletto si volge a Turno: gli appare in sogno sotto le spoglie di una sacerdotessa di Giunone, Calibe, e gli riferisce che Latino vuole far sposare a uno straniero Lavinia e lo incita alla guerra: di fronte all'incertezza di Turno, che si prende gioco della vecchia, Aletto gli si rivela nel suo vero aspetto e gli scaglia contro un tizzone ardente, che scatena nel giovane un furioso ardore di guerra. Infine, la Furia aizza gli uni contro gli altri i Troiani e Latini.
Mentre infatti Ascanio va a caccia a cavallo, per volere di Aletto, colpisce il cavallo di Silvia, la figlia del capo dei pastori di Latino: la fanciulla, disperata per l'amata bestia, viene soccorsa da tutti gli uomini latini, che si schierano contro i Troiani.

Compiuta la sua opera, Aletto si vanta presso Giunone, che la congeda; nonostante i Latini invochino la guerra, il re, che sa quanto questa sia contraria al Fato, non la vuole dichiarare: è Giunone stessa che spalanca le porte del tempio di Giano, dando inizio al confitto. Le città latine abbandonano ogni pacifica attività, moltissime popolazioni ed eroi si schierano a fianco di Turno, ovunque si preparano le armi. Primo fra tutti il terribile e crudele tiranno Mezenzio, accompagnato dal figlio Lauso, poi Aventino figlio di Ercole, Carillo e Cora che guidano una schiera fortissima, Ceculo, re di Preneste, Messapo, figlio di Nettuno, Clauso, da cui discenderà la gente Claudia, e moltissimi altri: ultima viene la vergine Camilla, fanciulla di origine volsca, nella quale bellezza e la grazia si uniscono al coraggio in battaglia.


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