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Riassunto libro: Il bambino con il pigiama a righe

Riassunto, analisi, spiegazione e commento del libro "Il bambino con il pigiama a righe" scritto da John Boyne.

Il bambino con il pigiama a righe è un romanzo dello scrittore irlandese John Boyne ambientato nella seconda guerra mondiale. Ha scritto molti romanzi per adulti, ma questo è stato il suo primo romanzo per ragazzi.


Riassunto

Il protagonista di questo libro è Bruno un bambino di nove anni che è costretto al trasferimento da Berlino ad “auscit” a causa del lavoro del padre. La passione di Bruno è esplorare e scoprire cose nuove. Con questo personaggio l’autore ci fa vivere una vicenda, che è stata sicuramente una delle peggiori avvenute nel corso della storia, attraverso gli occhi di un bambino, che sicuramente non capisce la gravità della situazione. Un bambino che subisce forti condizionamenti dai parenti (in modo particolare dal padre), ma il cui modo di pensare ed agire resta innocente ed ingenuo. Il padre di Bruno lavora nell’esercito, ed’è a causa del suo lavoro che la famiglia è costretta al trasferimento, infatti “il Furio” dice che ha grandi progetti per lui. È un uomo molto rigido e attento al rispetto delle regole. Viene sempre ammirato dal piccolo Bruno, che lo vede come un idolo. Si trasferiscono in mezzo alla campagna in una casa fredda e isolata. Dalla finestra della camera di Bruno si vedevano costruzioni di mattoni rossi, dalle quali usciva del fumo. Bruno sentendosi solo non accettava di vivere in quel posto, fino a quando un giorno esplorando la zona intorno vide che dietro a una recinzione stava seduto un bambino, molto magro, vestito con un pigiama a righe e così fece amicizia pensando di aver trovato finalmente un amico con cui parlare e giocare. L'amicizia diventa sempre più solida, fino a quando un giorno Shumel il bambino del recinto, disse a Bruno di non riuscire a trovare più suo padre nel campo.
Allora Bruno si offre di aiutarlo e trova un modo per entrare nel campo: complice il pigiama a righe. Così Bruno scopre finalmente cosa si nascondeva dietro a quel reticolo e inconsapevoli di tutto, i due bambini, vengono portati insieme ad altre persone in uno stanzone affollato dove c'è il finale della storia, un finale lasciato in sospeso dall'autore ma che ci fa capire quello che è accaduto.
Passati diversi mesi, la madre e la sorella Gretel pensarono che Bruno se ne fosse tornato a Berlino da solo e, decisero di fare ritorno anche loro. Solo dopo un anno viene fuori la dura verità, quando il Furio si recherà nel campo di concentramento, vedrà la recinzione sollevata e i vestiti di Bruno, si renderà conto di aver perso il suo bambino.



Analisi del testo

Il romanzo risente di una costruzione narrativa spesso molto costruita.

I due bambini hanno nove anni: possibile che Shmuel non spieghi all’amico cosa accade nel campo di sterminio e che Bruno continui a credere che si tratti di una comunità umana non diversa da quelle normali dei paesi e delle città? Le vicende risentono di una forzatura non sempre accettabile.

Se l’ambientazione del libro è quella dei campi di sterminio nazisti, tre temi risultano: l’amicizia fra i due bambini che, pur con le contraddizioni sopra accennate, assume un forte significato emotivo; l’obbedienza del protagonista e della famiglia al padre, per la quale non viene mai messa in discussione la sua terribile attività e le conseguenze che moglie e figli devono sopportare; il modo sbagliato del metodo educativo di genitori che pensano soltanto a se stessi.

Nel libro, il campo di sterminio viene chiamato Auscit anziché Auschwitz perché Bruno non sa pronunciare un nome tanto difficile. Sulla vita e le vicende del padre alto ufficiale, incombe la figura del Grande Capo chiamato “il Furio” invece che il Fürher, come invece è il suo vero nome. Forse giochi del genere potevano essere evitati.

Nota al lettore: Ad Auschwitz non c’erano bambini ebrei di 9 anni – I nazisti gassavano immediatamente tutti coloro che non fossero abbastanza grandi per lavorare. Poi, il campo di sterminio di Auschwitz era circondato da recinti elettrificati, rendendo qualsiasi tentativo di uscirne, strisciando attraverso un’apertura, impossibile.”



Commento

Questo libro mi è piaciuto molto, ha sicuramente un finale non scontato, e la sua lettura si adatta non solo ai ragazzi, ma anche agli adulti, è molto commuovente, già dal titolo: che è naturalmente riferito al modo di vestire di Shmuel e di tutte quelle altre persone al di là della rete, che Bruno chiama appunto in pigiama Aiuta a non dimenticare il segno che l’olocausto ha lasciato all’umanità. Ci fa capire che tutti hanno dei sogni da piccoli e che inizialmente siamo tutti uguali, ma a causa dei pregiudizi verso le religioni, il colore della pelle e le altre nazionalità, spingono l’uomo a disprezzare gli altri, e come in questo caso, persino ad uccidere. E mette in chiara luce che il male che noi infliggiamo agli altri in qualche modo si ripercuote anche sulle persone a noi care. Bambini. Che hanno voglia di giocare, che non capiscono i grandi, che non sanno cosa sta accadendo attorno a loro. Perché vivono di favole che proprio i grandi desiderano annientare e basta, con il loro egoismo e con il loro egocentrismo.
Certo si tratta di bambini che non sanno, a cui non viene spiegato, che non possono capire da soli, ragazzini che seguono l’istinto, che si accontentano di poco, giocando con quello che trovano, amando nella maniera più pura possibile. Un romanzo che prende spunto da una realtà recente, quella del nazismo, ma poi si distacca completamente dalla storia comune e cerca di arrivare al cuore delle persone, di questi due bambini che si trovano nel dolore ed hanno bisogno l’uno dell’altro, che si danno appuntamento vicino al filo spinato, ad un passo dall’altro, ma costretti ad essere separati da quella linea arrugginita, fino al grande gesto, quando il bambino libero, che vive al di fuori, decide di entrare nel campo di concentramento per andare incontro all’amico e alla sua nuova vita e non il contrario, come sarebbe pensabile per un qualsiasi uomo.
Una frase che mi ha colpito molto è stata: “Bruno cercò di tornare alla lettura, ma aveva perso ogni interesse per quel libro, ormai. Rimase a guardare la pioggia e si chiese se anche Shmuel, dovunque fosse, stesse pensando a lui e se le loro conversazioni gli mancassero quanto mancavano a lui." In questo frammento si può notare il tono malinconico di un'amicizia reale, il protagonista si era realmente legato al bambino Ebreo, e non vede nessuna differenza tra loro due.
Il finale giunge inaspettato lasciando dentro un gran silenzio. Per questo alla fine ci si ritrova con un’angoscia non annunciata e non previsto. Il piccolo Bruno non appare né come un martire né come un eroe, solo un bambino, che sembrava nato dalla parte del più forte, invece tutti i bambini solo uguali nella loro innocenza e spesso in pericolo proprio per i raggiri degli adulti. Pagine di storia vera, meravigliosamente ricomposte come una fiaba da narrare alle generazioni più giovani, per regalare loro la coscienza degli errori passati in modo che sappiano schivare quelli futuri.



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