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Ahi dolze e gaia terra fiorentina - Chiaro Davanzati

Testo, parafrasi e commento del sonetto "Ahi dolze e gaia terra fiorentina" scritto da Chiaro Davanzati.

Testo:

Ahi dolze e gaia terra fiorentina,
fontana di valore e di piagenza,
fior de l'altre, Fiorenza,
qualunque ha più saver ti ten reina.
Formata fue di Roma tua semenza,
e da Dio solo data la dot[t]rina,
ché, per luce divina,
lo re Fiorin ci spese sua potenza;
ed eb[b]e in sua seguenza
conti e marchesi, prencipi e baroni
gentil' d'altre ragioni:
ces[s]ati fuôr d'orgoglio e villania,
miser lor baronia
a ciò che fossi de l'altre mag[g]iore.
Come fosti ordinata primamente
da' sei baron' che più avean d'altura,
e ciascun puose cura
ver' sua parte, com' fosse più piacente;
da san Giovanni avesti sua figura,
i be' costumi dal fior de la gente,
da' savi il convenente;
in planeta di Leo più sicura,
di villania fuor, pura,
di piacimento e di valore or[r]ata,
sana aira e in gioia formata,
diletto d'ogni bene ed abondosa,
gentile ed amorosa,
imperadrice d'ogni cortesia.
Ahimè, Fiorenza, che è rimembrare
lo grande stato e la tua franchitate
c'ho detta! ch'è in viltate
disposta ed abassata, ed in penare
somessa, e sottoposta in fedaltate,
per li tuoi figli co·llo[r] rio portare:
che, per non perdonare
l'un l'altro, t'hanno messa in bas[s]itate.
Ahimè lasso, dov'è lo savere
e lo pregio e 'l valore e la franchezza?
La tua gran gentilezza
credo che dorme e giace in mala parte:
chi 'mprima disse "parte"
fra li tuo figli, tormentato sia.
"Fiorenza" non pos' dir, ché se' sf[i]orita,
né ragionar che 'n te sia cortisia:
chi chi non s'aomilìa,
già sua bontà non puote esser gradita;
non se' più tua, né hai la segnoria,
anzi se' disor[r]ata ed aunita,
ed hai perduta vita,
ché messa t'ha ciascuno 'n schiavonìa.
Da l'un tuo figlio due volte donata
per l'altro consumare e dar dolore,
e per l'altro a segnore
se' oramai, e donerà'gli il fio:
non val chiedere a Dio
per te merzé, Fiorenze dolorosa.
Ché è moltipricato in tua statura
asto e 'nvidia, noia e strug[g]imento,
orgoglioso talento,
avarizza, pigrezza e los[s]ura;
e ciascuno che 'n te ha pensamento,
e' studia sempre di volere usura;
di Dio non han paura,
ma sieguen sempre disiar tormento.
Li picc[i]ol', li mezzani e li mag[g]iori
hanno altro in cor che non mostran di fora:
per contrado lavora,
[on]de 'l segnore Idio pien di pietate,
per Sua nobilitate,
ti riconduca a la verac[e] [via].



Parafrasi

Ahi, dolce e gaia terra fiorentina, fonte di virtù e di bellezza, fiore di ogni altra città, Firenze, gli uomini più saggi ti considerano una regina. Il tuo seme proviene da Roma, e da Dio solo venne la dottrina [ai tuoi abitanti], poiché proprio per illuminazione divina il re Fiorino mise la sua potenza al tuo servizio; egli ebbe a suo seguito conti, marchesi, principi, baroni e nobili di altre regioni: lasciato da parte ogni orgoglio e ogni cura meschina, essi misero i loro feudi in tuo potere, in modo che tu superassi tutte le altre città. Dopo che,  all'inizio, fosti governata da sei baroni dei più nobili, che misero ogni impegno, ciascuno per la sua parte, perché risultassi la più bella, da San Giovanni pretendesti l'aspetto, i costumi gentili dalle genti migliori, fai saggi il governo; e fosti resa più sicura, sotto la protezione della costellazione del Leone, monda di ogni meschinità  , pura, ornata di bellezza e di virtù, costruita in clima salubre e felice, ricca di ogni buona fortuna, gentile e amorosa, imperatrice di ogni cortesia. Ahimè, Firenze, come è duro ricordare l'alta posizione e il libero tuo stato, di cui ho parlato, [ora che sei] ridotta in triste condizione e sottomessa a dolori e a servitù, a causa dei tuoi figli per il loro pessimo modo di comportarsi: infatti, per non perdonarsi l'un l'altro, ti hanno ridotta in così spregevole stato. Ahimè, dove sono la saggezza, il prestigio, il valore, la tua grande nobiltà? Credo che la tua gentilezza dorma e giaccia in qualche luogo squallido: sia torturato quello dei tuoi figli che per primo pronuncio la parola «fazione»!
Non posso dire «Fiorenza» perché sei sfiorita, né raccontare che in te sia nobiltà: poiché chi si umilia non può pretendere che il suo prestigio sia gradito; non appartieni più a te stessa, non puoi più comandare, anzi, sei disonorata e umiliata, e hai perduto la vita, perché  tutti ti tengono come loro schiava. Da un tuo figlio [una fazione] fosti due volte donata, per poter battere e ferire l'altro [il partito avversario]; dall'altro tuo figlio sei ormai stata venduta a un signore che pagherà a lui il dovuto: non vale pregare il Signore perché abbia pietà di te, Firenze dolorosa. Nel tuo stato si moltiplicano orgoglio  e invidia, fastidio e struggimento, voglie orgogliose, avarizia, pigrizia e lussuria; tutti i tuoi abitanti si ingegnano continuamente e studiano sempre il modo di esercitare l'usura; non temono Dio, ma continuano a desiderare per te nuovi tormenti. La gente umile, quella di media condizione e gli illustri cittadini, tutti pensano in cuor loro ben diversamente di quanto non facciano apparire; lavorano in direzione contraria [a quello che dicono]. Per questo il Signore Iddio, pieno di pietà, per la Sua grandezza d'animo ti conduca di nuovo sulla strada maestra.


Commento

Scritta qualche tempo dopo la battaglia di Benevento (1266), che segnava il tramonto degli Svevi in Italia e aggravava la crisi dei Ghibellini e dei Guelfi bianchi di Toscana, riflette la lezione guittoniana della Canzone per Montaperti: Chiaro Davanzati esalta la fama e la bellezza di Firenze antica e ne piange la decadenza, spera che «'l segnore Idio pien di pietate» la riconduca sulla via della verità. Nell'avvio «Ahi dolze e gaia terra fiorentina» la canzone rivela un contenuto d'emozione che via via si perde nella polemica municipale e nel suo tono moralistico.



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