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Ricerca: La Fame nel Mondo

Il problema della fame nel mondo resta ancora oggi drammatico e richiede urgenti misure di cooperazione fra gli Stati per essere concretamente avviato a soluzione.

  1. La contraddizione tra l'opulenza dei pochi e la miseria dei molti.
  2. Le conseguenze della mondializzazione dell'economia.
  3. Lo scambio ineguale e il peso del debito.
  4. Il rovesciamento delle aspettative di progresso.
  5. L'aggravarsi delle condizioni dei Paesi del Terzo Mondo.
  6. Due prospettive sul problema della fame nel mondo.
  7. La necessità della cooperazione internazionale.

1) Il mondo è attraversato da inquietudini e tensioni profonde, con contraddizioni e squilibri rilevanti tra le esigenze di sviluppo generale ed ostacoli alla sua attuazione. La via del progresso sociale ed economico è lastricata da innumerevoli ostacoli che si frappongono al desiderio di libertà degli individui e dei popoli, alla loro volontà di emancipazione e alle loro aspettative di benessere.
Sistemi di organizzazione sociale repressivi ed autoritari, egoismi di gruppi e di Stati, nuove aberranti forme di schiavitù e di dominio psicologico, economico e politico rappresentano ancora oggi delle barriere di tante ricchezze e di ampie possibilità economiche; eppure la maggior parte degli uomini soffre la miseria e la fame in condizioni di possibilità economiche, disponibilità e abitudini alimentari dei popoli ricchi ed evoluti, da una parte, e l’estrema condizione di bisogno dei Paesi sottosviluppati dall’altra, è uno degli elementi che più gravemente turbano sia la coscienza dell’uomo moderno sia le stesse possibilità di pace universale. All'opulenza di alcune nazioni, allo spreco di beni sovrabbondanti e superflui da parte di alcuni popoli, si contrappongono la morte per fame, le malattie, il dolore, l’impossibilità di progredire, sul piano della civiltà, da parte degli abitanti della maggior parte del Pianeta. E’ la stessa contraddizione, in fondo, che si nota, tra lo sviluppo della scienza, della tecnica, dell’industrializzazione, dell’educazione, dell’economia degli Stati più avanzati e potenti, e l’arretratezza, l’immobilismo l’analfabetismo delle popolazioni condannate ad essere emarginate dal flusso della storia contemporanea.

2) Lo scenario sta diventando sempre più tragico: una minoranza vive arroccata a difesa dal suo castello pieno di privilegi, circondata da una massa di diseredati. Le statistiche dell’ONU sullo sviluppo dell’economia mondiale rilevano che oltre l’8% della ricchezza mondiale è controllato da un quinto della popolazione mondiale contro appena l’1% detenuto dai Paesi più poveri. E’ ormai incontestabile che la forbice del divario fra Nord e Sud del pianeta si stia allargando sempre di più e che la cosiddetta mondializzazione dell’economia, sotto l’imperio della legge del mercato, favorisca di fatto questa discriminazione, alimentando lo scambio ineguale tra Paesi ricchi, esportatori di merci ad alto valore aggiunto, e Paesi poveri, che possono contare solo sulla loro manodopera e sulle loro materie prime.

3) Alimentato da tale scambio ineguale, s’instaura un paradossale trasferimento di risorse economiche, finanziarie e umane dai poveri agli opulenti: basti pensare come l’immigrazione svuoti i Paesi del Terzo Mondo delle migliori risorse o a come il debito strangoli le loro economie, azzerando ogni abbozzo di programma economico per uscire dal sottosviluppo. Calcoli approssimati per difetto stimano in 500 miliardi di dollari il costo del servizio del debito dei Paesi del Terzo Mondo a favore dei Paesi ricchi, cioè il pagamento dei soli interessi sul debito.
I Paesi poveri non hanno la possibilità di esportare eccedenze di manodopera a bassa qualificazione per le restrizioni all’immigrazione in atto nei Paesi industrializzati, dove si preferisce accogliere tutt’al più il personale qualificato proveniente da quei Paesi, che sono così depredati ancora di più delle loro migliori risorse umane. La liberalizzazione del commercio mondiale ha funzionato solo a favore dei Paesi ricchi che, con la caduta delle barriere commerciali, hanno potuto imporre la vendita dei loro prodotti in tutto il mondo, mentre i cosiddetti Paesi in via di sviluppo non riescono a piazzare i loro in Occidente. La liberalizzazione, ad esempio, del tessile e dell’agricoltura, i tradizionali settori economici dei Paesi in via di sviluppo, è ancora oggi ostacolata dalla resistenze dei Paesi industrializzati.

4) Oggi possiamo affermare senza dubbio che le aspettative di progresso, che caratterizzavano un po’ tutta l’umanità nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale e che erano state favorite dalla vittoria della libertà sul nazi-fascismo, dall'impetuoso processo di emancipazione dei popoli colonizzati e dall'affermazione di alcune rivoluzioni nel Terzo Mondo prime fra tutte quella cinese e quella cubana, oggi si sono rovesciate e un diffuso pessimismo si è impadronito degli uomini, inducendoli a guardare con preoccupazione al futuro.
Oggi l’umanità sembra trovarsi a un bivio: nel suo insieme ha mezzi e le possibilità concrete per creare condizioni universali di pace, di libertà e di progresso, ma sembra prevalere la strada opposta dell’accentuazione dello squilibrio e delle contraddizioni, con l’aggravarsi di situazioni di oggettiva dipendenza economica e sociale e, in alcuni casi, perfino di oggettiva schiavitù e di graduale regresso. E’ incontestabile che i mercati mondiali favoriscono di fatto questa involuzione, aggravando sempre di più le condizioni di vita dei Paesi e degli strati più poveri della popolazione degli stessi Paesi ricchi, consentendo, d’altra parte, ai più ricchi di aumentare la loro opulenza. Per gli estensori dei periodici rapporti del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, le tragiche immagini di miseria e di fame, che ogni giorno i grandi mezzi di comunicazione ci trasmettono, non sono però una calamità inevitabile: il divario tra Nord e Sud del Pianeta è provocato da una perversa gestione dei mercati mondiali che non sono, in verità, né liberi né efficienti. Quella degli estensori dei rapporti delle Nazioni Unite per lo sviluppo non è una denuncia del capitalismo, ma la rivendicazione di interventi statali e di completa riorganizzazione di tutti gli organismi internazionali, a partire dalla stessa Organizzazione delle Nazioni Unite. E’ la richiesta di una non più differibile campagna di massicci interventi nei Paesi in via di sviluppo, avente un solo obiettivo: puntare sulle risorse umane per annullare il gap che esiste nelle conoscenze e nell'uso delle nuove tecnologie.

5) Finché sul pianeta dominava il bipolarismo USA-URSS, i Paesi del Terzo Mondo avevano la possibilità, all'interno del conflitto Est-Ovest, di schierarsi con l’uno o con l’altro dei contendenti e quindi contrattare gli aiuti di cui avevano bisogno; adesso che il blocco filo-sovietico non c’è più, che anzi i Paesi dell’Europa Orientale sono diventati concorrenti nella spartizione dell’assistenza, i paesi in via di sviluppo sono in balia dei Paesi ricchi dell’Occidente e delle sue istituzioni finanziarie. Ad esempio, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, anziché diventare strumenti di reali aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri, mettendo, ad esempio, a disposizione di questi ultimi la necessaria liquidità finanziaria per fronteggiare il loro indebitamento, hanno costretto molti Paesi del Terzo Mondo ad accettare i cosiddetti piani strutturali di aggiustamento, cioè l’adeguamento al libero mercato delle loro strutture economiche. Questo aggiustamento ha funzionato solo a senso unico, perché i Paesi in via di sviluppo sono stati costretti ad aprire le loro frontiere, ma quelli più ricchi non hanno abbassato le loro barriere commerciali nei confronti delle importazioni da quelli poveri: quest’ultimi sono stati costretti a smantellare le loro pur inadeguate strutture di protezione sociale, per poter ottenere l’accesso al credito delle banche occidentali e a tassi anche più elevati.
Tutto questo ha determinato l’avvitarsi diabolico del debito, con nuovi prestiti che vengono sottoscritti per poter pagare solo gli interessi sul debito pregresso. In questo modo, i Paesi indebitati dei Paesi ricchi è una situazione che crea una disparità incredibile sul mercato mondiale e nei rapporti di forza fra gli Stati ricchi e quelli poveri. Ma è una situazione che vede ben 850 milioni di persone soffrire per denutrizione cronica: persone che mangiano troppo poco e non soddisfano il loro fabbisogno energetico minimo, stabilito in 2.200 calorie giornaliere. I più esposti sono, come al solito, i bambini: ogni anno quasi 13 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono per gli effetti diretti o indiretti della fame.
Secondo i rapporti della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione, ben 88 sono i Paesi a basso reddito con un deficit alimentare tale da determinare diffuse situazioni di malnutrizione nella popolazione. Di questi paesi, 41 sono nell'Africa sub-sahariana, 14 in Asia e 7 in America latina. La situazione di malnutrizione causa la morte di 35.000 bambini al giorno e le stime prevedono che la popolazione mondiale, dagli attuali 6 miliardi di individui, passerà entro il 2030 a quasi 9 miliardi. S’impone quindi il problema di come garantire la sicurezza alimentare a chi attualmente soffre la fame e di come assicurare un equilibrio fra la produzione delle risorse e la loro conservazione.

6) Sulle prospettive per affrontare il problema della fame nel mondo, si scontrano oggi due tesi che riflettono un diverso modo di considerare le responsabilità della situazione presente: da una parte, c’è la tesi di coloro che puntano sulla soluzione tecnologica per aumentare la produzione, come la ricerca di nuove varietà di sementi ad alto rendimento manipolate geneticamente e, dall'altra parte, la tesi di chi sostiene che la fame non sia dovuta a mancanza di cibo, ma essenzialmente alla sua diseguale distribuzione e, pertanto, punta il dito sui problemi dell’accesso alla terra e alle acque, in particolare, del controllo dei meccanismi del commercio e della distribuzione delle risorse alimentari. Infatti i sostenitori di questa tesi affermano che oggi paradossalmente non esiste complessivamente nel mondo un deficit di risorse alimentari, anzi la produzione di cereali, di carni, di pesce, non è in assoluto deficitaria.
Sono piuttosto leggi di mercato che impediscono una distribuzione adeguata di queste risorse, poiché s’incentiva, ad esempio, la distribuzione delle eccedenze, che sono notevoli nell'agricoltura  per mantenere alti prezzi dei prodotti e ricompensare adeguatamente i produttori.

7) Oggi tutti i Paesi industrializzati destinano risorse al sostegno dei produttori agricoli e comprano consistenti eccedenze di produzione per distruggerle. Pertanto ogni proposta che voglia concretamente avviare a soluzione il problema della fame non può prescindere dall'adozione di misure che favoriscono la stabilità e l’equità del commercio internazionale. Per questo diventa indispensabile che i governi dei Paesi più ricchi, che sono anche quelli che controllano la produzione e il commercio dei prodotti alimentari, s’impegnino in un effettivo programma di cooperazione con i Paesi del Terzo Mondo, sia promuovendo l’esportazione dei prodotti alimentari nel terzo Mondo, sia promuovendo investimenti economici al fine di garantire l’autosufficienza alimentare.
E' questa una scelta di lungimiranza perché, se l'egoismo dei popoli ricchi dovesse prevalere, il mondo sarebbe fatalmente avviato a perpetuare le attuali disuguaglianze di giustizia, con grave minaccia alla pace e all'equilibrio degli stessi Paesi più ricchi. Basti pensare alla pressione dell'immigrazione e ai contraccolpi sociali che si determinerebbero al loro interno. Se invece, alla politica di potenza e di dominio economico, all'egoismo dei più ricchi, si sostituiranno la solidarietà internazionale e la cooperazione economica, si getteranno le basi per un progresso generale pacifico ed armonico, tale da avviare a soluzione i molti mali di cui ancora soffre l'umanità.



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