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Paul Valéry: Il Cimitero Marino

L'Opera:
Il poemetto, uno dei testi più celebri e importanti della poesia europea contemporanea, fu composto nel 1920 e pubblicato, nello stesso anno, sulla Nouvelle Revue Francaise del primo giugno. L'edizione definitiva uscì nel 1922, nel contesto di una raccolta di versi (in parte editi e in parte inediti) intitolata Incanti (Charmes).
L'originale francese presenta 24 strofe di versi decasillabi. L'io-narrante (o meglio, l'io veggente) si trova nel cimitero di Sete, paese natale di Valéry, sopra una collina che domina il mare. Il sole immobile nel meriggio diviene il simbolo dell'Essere, che si confonde con la non-vita, il Non-Essere, un po' come il sole, all'orizzonte, si confonde con il mare nel gioco dei riverberi. Da qui l'io-poeta riflette sul senso del tempo, dell'esistere, della vita e della morte.
Valéry costruisce versi di preziosa fattura, che suonano all'orecchio come musica, e sviluppa complesse allegorie di cui non è sempre facile afferrare il senso. Ma un'opera come questa richiede in primo luogo di abbandonare la pretesa di spiegare ogni particolare: è più importante entrare in sintonia con il susseguirsi dei pensieri e delle immagini, e gustare l'atmosfera d'incanto che i versi suscitano. Lo stesso Valéry dichiarò che il significato dei propri versi è quello che ciascun lettore vuole a essi attribuire.
Al poemetto di Valéry guardarono con ammirazione molti scrittori italiani, degli anni trenta e quaranta, in particolare i poeti e i critici dell'Ermetismo. Uno di loro, Oreste Macrì, sul finire degli anni trenta tradusse in versi il Cimitero marino (traduzione poi pubblicata nel 1947).


Il poemetto si apre con l'immagine di un tetto osservato di scorcio, appena velato dai pini: è quanto appare al poeta oltre la sporgenza di lapidi e tombe di un cimitero a picco sulla riva del mare. L'inizio del Cimitero marino dà a chi legge la sensazione di uno spazio mentale, un orizzonte riempito da simboli e presenza fantastiche. Il seguito del testo confermerà questa impressione, anche se le ultime strofe segneranno una netta svolta: dalla contemplazione, dalla riflessione si giunge al desiderio di vita e di partecipazione alla natura. Parafrasiamo e analizziamo le prime tre e le ultime tre strofe del testo.

Temi: la percezione della natura immensa e pulsante di vita, la riflessione sulla vita e la morte, sull'interiorità e l'esistenza umana.
Anno: 1922. Tratto da Incanti, strofe I-III e XXII-XXIV

Parafrasi:
1. Strofa
Questo tetto quieto (tetto, mare o cielo), sul quale passeggiano vele (o colombi), palpita tra i pini e le tombe, il sole del mezzogiorno, che divide equamente la giornata, dà al mare sfumature rosso fuoco, composizione eternamente rinnovata dai giochi d'increspatura delle onde, Un lungo sguardo alla calma soprannaturale della superficie marina costituisce la ricompensa, che giunge dopo lo sforzo del pensiero, della riflessione.
2. Strofa
Quale straordinario gioco di riverberi viene a dissolvere i riflessi riprodotti dalla schiuma del mare, riflessi che paiono emanati come da facce di diamanti! E quale pace sembra che da tutto ciò scaturisca! Quando un sole manda raggi sopra la profondità del mare, il tempo è luce e il sogno è conoscenza, puri frutti di un eterno principio.
3. Strofa
Tesoro che non si contamina, massa calma, tempio naturale della conoscenza, infinita distesa di acque per quanto si vede, o mio occhio che custodisci in te l'incoscienza del sonno, sotto il velo dei raggi infuocati, o amato silenzio... Costruzione intellettuale, ricca di mille apparenze, che tutto ricopri come un tetto.
22. Strofa
Basta! Alziamoci, protendiamoci verso il futuro! O mio corpo, spezza la forma intellettiva, o mio cuore, abbeverati al sorgere dei venti. La freschezza che il mare esala mi restituisce la voglia di vivere. O potenza del mare salmastro! Corriamo all'onda, che rinfrange ovunque l'energia vitale.
23. Strofa
O gran forza irrazionale del mare, pelle maculata e manto su cui scintillano i mille riflessi del sole, ubriaca della tua superficie azzurra, creatura dalle mille teste che ti mordi la coda rilucente e rinasci, nel tuo moto incessante che è identico al silenzio.
24. Strofa
Il vento si alza. Bisogna sforzarsi di aderire alla vita. L'aria immensa dà inizio e compimento al mio testo, mentre l'onda delle rocce coraggiosamente sgorga in mille spruzzi. Prendete il volo, pagine imbiancate! Onda, irrompi con il tuo moto vivace: frangi, sommergi questo tranquillo tetto, dominio di vele triangolari.

Schema metrico: dell'originale francese, versi decasillabi.

Analisi del testo
Il poemetto presenta una struttura soprattutto musicale, a somiglianza di una sinfonia, come hanno notato molti interpreti. Difficile darne un riassunto complessivo; seguendo le indicazioni del critico e traduttore Mario Tutino, possiamo complessivamente dividerlo in quattro sequenze, i cui temi sono:
  1. percezione del Non-Essere, di ciò che non muta mai, e che è Niente eterno e incosciente (strofe I-IV);
  2. al Niente si oppone la natura, l'esistente fatto di corpo e anima in perenne mutamento (strofe V-VIII);
  3. riflessione sulla morte e sull'immortalità (strofe IX-XVIII), partendo dai defunti sepolti nel cimitero marino;
  4. scelta di vita, desiderio di partecipare a ciò che muta, e che si riflette nella creazione poetica (strofe XIX, XXIV).
Delle quattro strofe della prima sequenza abbiamo riportato le prime tre, nelle quali sembra realizzarsi la fusione mistica dell'anima individuale con Il Tutto-Nulla, l'Assoluto che supera completamente il reale, apparendo perciò come Non-Essere.

Nelle ultime tre strofe del poemetto, l'io poeta respinge la tentazione di fondersi con l'infinito Niente e, in sostanza, con la morte. La sua lunga meditazione sul rapporto tra il Nulla e l'Esistere sfocia infine in un prepotente desiderio di vita, che nasce dal contatto con il ritmo incessante e con l'energia dei flutti marini.

Con Valéry la poesia entra in una dimensione sconosciuta al linguaggio comune: si fa lingua speciale, come del resto già il suo maestro Mallarmé aveva preconizzato. La poesia non traduce semplicemente un'emozione, ma combina l'espressione dell'emozione con quella del pensiero. E' quanto Valéry chiamò poesia pura, che nelle sue intenzioni doveva avere un carattere limpido e cristallino come quello dei poeti della tradizione classica: ricorrere cioè a oggetti perfettamente scolpiti e cesellati, un po' come accade nella lirica del latino Orazio o degli italiani Poliziano e Parini. Ma l'affollarsi di contenuti intellettuali, simboleggiati da questi oggetti poetici, rende, all'atto pratico, i versi di Valery spesso oscuri.



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