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Poetica di Giosue Carducci

La poetica carducciana è segnata da una scelta di fondo a favore del Classicismo e contro il Romanticismo. In Congedo, l'ultima poesia di Rima nuove, egli si raffigurò come il grande artiere (artigiano, in senso nobile) che tempra al fuoco del suo crogiolo, ossia della sua arte, il passato e l'avvenire, le glorie civili e le memorie personali. Per sé il poeta chiede la gloria di lanciare uno strale d'oro contro il sole, per carpirgli un po' di luce. Il compito dell'arte, dunque, è duplice:
  • Far rivivere la grande tradizione poetica del passato, spronando la nazione ai valori e agli ideali collettivi;
  • ritagliarsi un angolo di gloria personale (lo strale d'oro); anche questa idea della fama poetica, che dà luce al tempo che passa, è profondamente classica.
A questa scelta fondamentale per il Classicismo obbedì tra l'altro l'originale scelta metrica delle Odi barbare: nei versi di questa raccolta poetica sono assenti le rime e i versi della tradizione italiana, a favore invece di versi e ritmi nuovi, che imitano gli antichi metri greco latini: peraltro, a un orecchio antico, essi suonerebbero come barbari, cioè stranieri.

Tale culto della classicità era ispirato, in Carducci, dà un sentimento leopardiano, ovvero dalla nostalgia verso la superiore sanità morale degli antichi. Scaturiva da qui, per reazione, la sua avversione nei confronti della mediocrità contemporanea: Carducci condannava l'Italietta umbertina, in quanto traditrice dei forti ideali risorgimentali.
Sempre dallo stesso Classicismo scaturiva l'opposizione di Carducci sia al Romanticismo, che a suo giudizio abbassava l'arte a cronaca e documento compromesso nella diretta effusione sentimentale dello scrittore.

Gli elementi romantici
In realtà dai romantici, specie dai romantici italiani e da Manzoni, Carducci riprese non pochi spunti:
  • L'amore per il reale, cioè per la natura e per la storia (specialmente per la storia medievale: Il comune rustico.)
  • La tensione alla libertà, in senso politico e morale.
Schiettamente romantici appaiono alcuni dei momenti più noti di Carducci, Rime nuove, intonati alla confessione intima e al ricordo della Maremma dell'infanzia.
A tale proposito, sono famose le liriche Traversando la Maremma toscana, un intenso autoritratto poetico, e Davanti San Guido, che oppone il mito della natura vergine a città e civiltà.

Altri elementi, come la sofferta meditazione sul contrasto fra l'ideale e reale, fra vita e morte (emblematico è il componimento Pianto antico, dedicato alla memoria del figlioletto Dante), o come il sentimento del perenne fluire del tempo, ci riportano invece agli amati modelli classici e, più in generale, alla tradizione poetica del passato.

Simbolismo e Carducci
Soprattutto in alcune Odi barbare Carducci seppre presagire le raffinate novità dei nuovi poeti simbolisti e parnassiani, con il loro grigio senso di disfacimento e di tedio (Alla stazione in una mattina d'autunno). La leggerezza di parola conquistata in Nevicata o in Presso una Certosa sembra portare a esiti nuovi il vecchio poeta, per lungo tempo amante dell'immagine scolpita, del realismo corposo e naturalistico.
E' questa la pluralità di stimoli e di fonti, tra antico e moderno, a fare di Carducci un poeta complesso e un tramite essenziale tra poesia dell'Ottocento (Leopardi) e del primo Novecento (Pascoli).
Molto interessanti appaiono oggi anche le prose carducciane:
  • le numerosissime lettere del suo Epistolario;
  • i discorsi, molti dei quali pronunciati in occasioni pubbliche e ufficiali;
  • infine gli scritti critici, in cui il Carducci professore e amante della poesia si sforzò di ricostruire, in un accordo con la nuova corrente critica chiamata scuola storica, l'ambiente e il contesto storico in cui operano concretamente i poeti dei secoli precedenti.

Carducci e la metrica barbara
Nella tradizione poetica italiana la misura metrica dei versi è determinata dal numero delle sillabe contenute in ciascun verso. Invece nelle letterature classiche, greca e latina, la metrica si fonda su un altro principio: sull'alternarsi di sillabe brevi e di sillabe lunghe (il tempo di pronuncia di una sillaba lunga era pari, all'incirca, al doppio del tempo di pronuncia di una sillaba breve).
Gli antichi distinguevano le vocali (e quindi sillabe) in base alla loro quantità, cioè lunghezza: non tramite un accento intensivo (come quello italiano che, per esempio, distingue e, è o é), ma con accento musicale, che consentiva di variare la quantità o lunghezza di ogni vocale, con una pronuncia più o meno acuta. In particolare, le sillabe chiuse (che terminano in consonante) erano considerate sempre lunghe, e le sillabe aperte (che terminano con una vocale) brevi o lunghe, a seconda che la vocale fosse appunto breve o lunga.
Insomma, per gli antichi in un verso contava non il numero delle sillabe, ma la presenza e la disposizione delle sillabe brevi e delle lunghe: un verso di poche sillabe, ma tutte lunghe, occupava nella pronuncia un'estensione pari a quella di un verso di più sillabe, ma in prevalenza brevi.
Il ritmo dei metri classici aveva dunque una natura melodica, che accostava la pronuncia della poesia al canto.
La poesia o metrica barbara è quella che intende imitare i versi della poesia latina e greca. Nelle lingue moderne non si può però riprodurre il ritmo musicale o quantitativo degli antichi: bisogna accontentarsi d'imitarne la struttura, con strumenti non di quantità (brevi o lunghe), ma di accenti. Imitare l'esametro classico significherà costruire una successione di questo tipo: una sillaba tonica + due sillabe atone, una tonica + due atone, una tonica + due atone, una tonica + due atone, una tonica + due atone, una tonica + un'atona.



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