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Salvatore Quasimodo: Alla notte



Testo
Dalla tua matrice
io salgo immemore
e piango

Camminando angeli, muti
Con me; non hanno respiro le cose;
in pietra mutata ogni voce,
silenzio di cieli sepolti

Il primo tuo uomo
non sa, ma dolora.


Parafrasi
Anno: 1932
Temi: la contemplazione dell'infinito silenzio della notte - le mute presenze della mente - l'evocazione del dolore universale
Leggiamo un'importante poesia di Oboe sommerso, dedicata a un dialogo con la notte. Si tratta di un tema lirico tradizionale nella nostra letteratura (si ricordano i notturni lunari di Leopardi), ma Quasimodo lo reinterpreta in chiave del tutto nuova, bruciando ogni riferimento paesaggistico e preferendo un'evocazione scarnificata, dolente, abitata da presenze nude e inquietanti. Alla fine, il pianto del poeta risuona nel creato come un'eco protatta, che unifoca ogni altra esistenza, gli angeli del v.4, le cose del v.5, ogni voce del v.6: tutte presenze appena evocate e subito diridatate, nell'assenza di un qualunque discorso o ragionamento poetico.


SCHEMA METRICO: versi liberi

Analisi del testo
La prima strofa delinea un rapporto tra il poeta e la notte (quest'ultima viene nominata solo nel titolo). Il poeta afferma tre cose:
- di provenire (dalla tua matrice / io salgo) dalla notte stessa;
- di non avere memoria di altro (immemore);
- di soffrire (e piango).

La seconda strofa, la più sviluppata, mette in scena una serie di elementi che arricchiscono il quadro:
- il poeta afferma di essere accompagnato, nel suo percorso, da strani messaggeri (angeli) che però appaiono muti;
- ritrae un paesaggio inanimato, desertico, abitato da cose senza respiro, da voci mutatesi in pietra, da cieli sepolti e silenziosi.

La terza strofa, brevissima, cita il primo uomo della notte, forse il primo abitatore dell'universo. DI lui si dice che è inconsapevole (non sa) ma che, in ogni caso, soffre (dolora).

Il significato del testo + commento
Il tema della lirica è il Weltshmertz (il soffrire universale) già cantato dai romantici: ma ormai, nella poesia novecentesca, questo motivo si è liberato da ogni residuo di patetismo, di commozione. Il breve componimento di Quasimodo sembra calarsi nel magma, nell'antipasto primordiale della notte originaria. Dalla matrice di questa notte sale, cioè proviene e parla, il poeta. La poesia prende dunque voce dall'inizio di tutto, dal Caos da cui tutto deriva. Questo inizio è la notte, solo allusa nel titolo e mai più nominata: la notte che è il buio ed è il dolore. Il poeta ritrae questo dolore come pietrificato ai quattro angoli dell'universo (in pietra mutata ogni voce). E' il centro del componimento.
L'esperienza del dolore toccò già al primo uomo (nella tradizione cristiana l'espressione si riferisce ad Adamo; ma qui si allarga al poeta e a tutti). Quest'uomo originario, pur nell'innocenza adamitica (non sa), ha già però un'ampia esperienza della fragilità e del dolore, e ha almeno una certezza che esistere significa soffrire. Perciò egli se ne duole, dolora.



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