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Riassunto: Pallottoline, Pirandello

di Luigi Pirandello
Riassunto:

Una trama molto esile quasi assente, personaggi paradossali, un significato filosoficamente impegnativo: c’è molto di Pirandello in questo racconto composto, pare, nel 1895 e poi pubblicato nel 1902. Siamo quindi in una fase precedente il saggio L’umorismo: anche per questo motivo Pallottoline! Risulta uno dei testi più importanti per studiare la concezione relativistica del mondo di Pirandello.
Tutto ruota intorno alla figura dell’astronomo Jacopo Maraventano, direttore dell’Osservatorio Meteorologico sito sulla vetta del Monte Cavo, sui colli Albani, nei pressi di Roma. Qui egli vive con la moglie Guendalina e i figli Didina, ventenne, e Francesco. La sua famiglia soffre di solitudine e sospira perciò all’estate, la stagione in cui giungono fin lassù un po’ di visitatori, in cerca di fresco e incuriositi dagli strumenti astronomici. Invece il capofamiglia desidera l’inverno, che gli consente di non essere disturbato nei suoi studi e nelle sue riflessioni, quelle che poi espone ai familiari nelle lunghe sere d’inverno presso la stufa.
Tali riflessioni riguardavano l’immensità dell’universo e, per contrasto, la piccolezza del Sole e della Terra; di conseguenza, la nullità dell’uomo, questo verme che c’è e non c’è, questo niente pieno di paura; da qui anche l’assurdità dell’idea di Dio, concepita invece per la paura degli uomini; sempre di conseguenza, Maraventano ne deduce l’assurdità dei lamenti sui bisogni e anche sulle sofferenze fisiche, come il mal di denti.

Commento
Jacopo Maraventano rappresenta la prima, consapevole incarnazione della filosofia del lontano, come la chiamerà il dottor Fileno, protagonista della novella La tragedia di un personaggio. Un decennio prima di Fileno, tocca a Maraventano vivere quell’assoluta, siderale distanza da tutto che è una caratteristica saliente degli umoristi pirandelliani. Essi sono ormai fuori dalla vita: la guardano semplicemente, ma non la vivono più. Ne sono osservatori, come l’astronomo del Monte Cavo, esclusi dall’esistenza comune, forestieri della vita, come sarà Mattia Pascal nel romanzo del 1904. Lontani da tutto. Essi sono principalmente lontani da sé stessi. Chi è consapevole di ciò, l’umorista, appunto, non può che stimare un nulla le vicende della vita, i casi giornalieri, le affiliazioni e le miserie particolari.
Del resto, che cosa può sembrare la vita, considerata dall’altezza abissale degli astri, se non appunto, come dice Maraventano, un punto microscopico dello spazio cosmico?
E in tale contesto, che cosa sembrano gli uomini, se non pulviscoli infinitesimali?
Tutto scompare, in questo sguardo che distanzia e relativizza: gli umoristi-folli di Pirandello posseggono quella suprema capacità di riduzione e insieme di elevazione che, un tempo, era prerogativa dei mistici, degli asceti. In loro, però, l’estasi è indotta non dalla fede, ma dalla consapevolezza del nulla; così che la fiducia in Dio si capovolge in una quieta, muta disperazione.



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