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Riassunto: Il Germinale

di Emile Zola
Riassunto:

Germinale (1885) è il nome di un mese del calendario repubblicano adottato ai tempi della rivoluzione francese. Esso andava dal 21 Marzo al 18 Aprile, indicando il periodo della primavera in cui tutto germoglia. In senso allegorico il romanzo, che descrive la vita e le lotte sociali dei minatori del centro carborifero di Montsou, allude al germogliare di una nuova speranza di giustizia, per i lavoratori, attraverso le idee del socialismo.

Nella rasa pianura, sotto la notte senza stelle, scura e spessa come l'inchiostro, un uomo solo seguiva lo stradone che andava da Marchienne a Montsou, dieci chilometri di selciato diritto che tagliava un campo di barbabietole. Davanti a sé, non vedeva neanche la terra nera, e soltanto i soffi del vento di marzo, dalle raffiche ampie come in pieno mare, gelide per aver spazzato intere leghe di paludi e terre nude, gli dava la sensazione dell'immenso orizzonte piatto. Nessuna ombra di albero si stagliava sul cielo, il selciato si stendeva con la precisione di una gettata, in mezzo all'oscurità accecante delle tenebre.
L'uomo era partito da Marchienne verso le due. Camminava a passi ampi, tremando sotto il cotone sottile della sua giacca e del suo pantalone di velluto. Un pacchettino, annodato in un fazzoletto a quadri, gli dava molto fastidio; e lo stringeva contro i suoi fianchi, talvolta con un gomito, talatra con l'altro, per far scivolare in fondo alle tasche entrambe le mani, delle mani rosse che le lamine del vento facevano sanguinare. Un'unica idea occupava la sua testa vuota di operaio senza lavoro e senza alloggio, la speranza che il freddo sarebbe stato meno intenso dopo il sorgere del giorno. Da un'ora camminava così, quando sulla sinistra, a due chilometri da Montsou, scorse dei fuochi rossi, tre bracieri brucianti all'aria aperta, e come sospesi. Inizialmente esitò, preso dalla paura; poi, non poté resistere al bisogno doloroso di scaldarsi un po' le mani.

L'assomoir - L'ammazzatoio
Il seguente brano, è una pagina di vivo realismo che bene ci semplifica le caratteristiche del naturalismo francese; infatti, con stile impersonale e asciutto evidenzia fatti e personaggi. Siamo proprio nell'Assomoir, la bettola di papà Colombe, un vero ammazzatoio per quegli abituali avventori che si lasciano corrompere dall'alcool che stilla <<biondo come l'oro>> dall'alambbicco di rame lucente. Gervasia, la protagonista che ha lottato contro tante sventure prima di riuscire a rifarsi una rispettabilità sposando Coupeau e mettendo su una stireria, ora non ha più voglia né forza di lottare. Delusa dal comportamento del marito, un ubriacone come tutti i derelitti di quei sobborghi, va a cercarlo all'osteria. Entra per la prima volta in quella sudicia bettola, sperando di trascinarlo fuori e farsi accompagnare al Circo, come le aveva promesso, ma prova anche lei il piacere di quel calduccio mentre fuori piove. Ancora più piacevole è il calore per tutto il corpo dopo il primo bicchiere di grappa sferzante, e dopo il secondo, e il terzo... finchè i suoi pensieri non sono più lucidi e anche lei crolla, ennesima vittima dell'Assomoir.
Una pagina esemplare dello stile naturalistico di Zola, efficacissimo nel descrivere gli ambienti più squallidi e corrotti attraverso una dovizia di particolari che li rende reali, come se lo scrittore, in disparte, annotasse tutto con scrupolo ma senza commento.
L'interno della bettola, con il fumo <<turchiniccio>> che avvolge tutto e tutti, il tanfo di alcool che fa girare la testa, il caldo soffocante che emana da quei copri sporchi e dagli aliti alterati, non potrebbe meglio esprimere il suo essere ammazzatoio. Diventa, quindi naturale, che la povera Gervasia rimanga contagiata da quell'ambiente di devrapazione precipitando anche lei nella china del vizio. Ritroviamo in questa pagina, tutti gli elementi delle convinzioni narrative di Zola; egli studia e descrive l'ambiente convinto che la donna non possa sottrarsi alla sua rovinosa influenza: fa parte della sua convinzione di naturalista scettico e disincantato che certe situazioni obiettive, come l'ambiente in cui vive, le tare che ha ereditato, le compagnie che frequent, siano determinanti per il destino di ogni uomo e per il suo <<male sociale>>. Il compito dello scrittore, dice Zola, è cercare le cause di questo male, fare <<l'anatomia delle classi e degli individui per spiegare i guasti che si riproducono nella società e nell'uomo. Quindi vedere, osservare, spiegare in tutta sincerità è un impegno di lotta e un primo passo per indicare la possibilità di vincere il male. L'aggressiva brutalità con cui l'autore ci introduce nell'Assomoir di papà Colombe e ce ne svela gli aspetti turpi, diventa un atto morale, una scossa di realismo senza menzogne e ipocrisie; dietro a personaggi come Gervasia e come tanti altri c'è una lunga storia di miseria e di sconfitte fisiche e spirituali; c'è un odissea dolorosa e coraggiosa per uscire dal tunnel e c'è infine, quasi fatale realistica conclusione, il degrado completo dell'ammazzatoio. Proprio in quelle storie c'è la causa che giustifica e talvolta redime; quindi raccontare quelle storie non è atto contro la morale (come accusavano i benestanti) ma è un impegno a dominare il bene e il male, a far nascere l'uno e svilupparlo, a lottare contro l'altro per estirparlo e ditruggerlo. E' guardando la società con questi intenti che si opera a suo favore e non idealizzandola sotto le ipocresie come avevano fatto i romantici. Queste idee, con cui Zola e i naturalisti francesi difesero il loro modo di scrivere sperimentale, oggi non ci sorprendono più; certamente furono coraggiose a quei tempi e indicavano un interesse ben più che letterario verso le classi più umili in favore delle quali già si muovevano le prime rivendicazioni.

La miniera
Anno: 1885
Temi: il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, la descrizione del distretto mercenario.
Al centro della narrativa di Zola vi è il rapporto uomo ambiente: infatti apparteneva alla poetica originaria del Naturalismo l’idea secondo cui i comportamenti dell’uomo sono influenzati dall’ambiente (il milieu), oltre che da fattori ereditari (la race) e dal momento storico particolare (il momenti). Così scrisse lo stesso Zola:<<questa è la mia preoccupazione più importante: studiare la gente con cui il personaggio avrà a che fare, i luoghi in cui dovrà agire, l’aria che dovrà respirare, la sua professione, le sue abitudini. Frequento quei luoghi per un po’ di tempo. Osservo, faccio domande e ipotesi >>. Perciò, prima di scrivere il romanzo il Germinale, l’autore volle documentarsi accuratamente sull’ambiente di lavoro dei minatori protagonisti dell’opera. Nella primavera del 1884 si recò personalmente nella zona mineraria della Francia settentrionale per avere una conoscenza diretta di ciò con cui avrebbe parlato.
Nel brano il lettore si avvicina alla miniera attraverso il passo lento e l’occhio indagatore del protagonista, Stefano; assieme a lui viene a conoscere la realtà della miniera, che si riflette nei dettagli realistici che man mano impressionano lo sguardo del giovane. Fedele ai canoni del Naturalismo, Zola offre una descrizione dall’esterno, proponendo al lettore solo ciò che l’occhio di un occasionale spettatore potrebbe individuare e tralasciando qualsiasi commento. Perciò evita di presentare il protagonista con un ritratto tradizionale; lascia che la sua fisionomia emerga poco a poco nel corso della narrazione.
A ben vedere, però, la narrazione oscilla tra una rappresentazione cruda e realistica della miniera, descritta anche con l’ausilio di termini tecnici, e certi aspetti più fantastici, che introducono nel racconto una dimensione simbolica. Si veda, per esempio, il rumore del motore paragonato a un respiro lungo e affannoso, oppure la miniera confrontata a un animale ingordo che inghiotte chi vi si avventura. Allo stesso modo lo scappamento della pompa viene paragonato al lungo affannoso soffio incessante che si sarebbe detto la respirazione strozzata del mostro. Questi elementi finiscono per ingigantire il coraggio e il sacrificio dei minatori, piccoli uomini che non hanno paura di quella tremenda cavità divoratrice. In questo modo la miniera e chi vi lavora acquistano sulla pagina un risalto epico.
La narrazione è condotta con una prosa analitica, <<oggettiva>>. Nel finale osserviamo un esempio di discorso indiretto libero, la tecnica che sarà ampiamente utilizzata da Verga: bisognava dunque crepar di fame? Presto per le strade non si vedrebbero che accattoni. E’ un’osservazione pronunciata a voce alta da Stefano e ripresa dal narratore senza didascalie esplicative, in forma libera, appunto, per restituire con maggiore immediatezza il pensiero del personaggio. Anche la risposta del suo interlocutore (il vecchio gli dava ragione; sì, non poteva che finir male; non era permesso, perdìo, gettare tanti cristiani sul lastrico) segue la stessa tecnica.



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