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Gerusalemme liberata canto XXII


di Tarquato Tasso
Capitolo dodici:

Dopo l'episodio precedente, i destini di Erminia (esule volontaria presso i pastori in riva al Giordano) e di Tancredi (prima fatto prigioniero da Armida, poi impegnato nella guerra, cui soprattutto sono dedicati i canti VII-XII) non si incroceranno più se non sul finire del poema, quando Erminia ricompare in scena e casualmente incontra Tancredi ferito, lo cura e lo salva mandando così ad affetto il desiderio espresso prima della sua temeraria sortita. S'incrociano, viceversa, e drammaticamente, i destini di Tancredi e Clorinda. Nell'episodio che ora riproduciamo, e che è tra i momenti più alti e intensi dell'intero poema, Tancredi affronta, senza riconoscerla, Clorinda in un combattimento mortale. Attardandosi in battaglia di fronte alle mura di Gerusalemme, Clorinda rimane accidentalmente chiusa fuori dalle porte della città quando queste vengono serrate per il sopraggiungere dei cristiani. Ella si crede perduta, ma poi vedendo che nessuno la nota si mescola alle truppe cristiane...

Il combattimento di Tancredi e Clorinda - parafrasi

Solo Tancredi avien che lei conosca;
egli quivi è sorgiunto alquanto pria;
vi giunse allor ch’essa Arimon uccise:
vide e segnolla, e dietro a lei si mise.


Tancredi dopo averla vista pur nella calce e nell'oscurità, ritorna indisturbata dentro la città ed egli la riconosce come un soldato nemico, la individuò, non la perse di vista e la seguì.

52Vuol ne l’armi provarla: un uom la stima
degno a cui sua virtú si paragone.
Va girando colei l’alpestre cima
verso altra porta, ove d’entrar dispone.
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avien che d’armi suone,
ch’ella si volge e grida: "O tu, che porte,
che corri sí?" Risponde: "E guerra e morte."

Tancredi dopo averla vista vuole sfidarla, credendo che sia un guerriero col quale egli possa degnamente misurare il suo valore (non la può riconoscere perché ella, durante la notturna sortita ha indossato un'armatura); la segue dunque da solo. Clorinda non credendo di essere seguita, gira attorno alla cima di uno dei colli dove è posta Gerusalemme in cerca di un altra porta per poter rientrare nella città. Tancredi la segue impetuosamente e prima che giunge ella sente il rumore delle sue armi ed ella si volge per affrontare il pericolo e grida: <<che cosa porti, che corri così?>>. Risponde egli: <<guerra e morte>>

53"Guerra e morte avrai;" disse "io non rifiuto
darlati, se la cerchi", e ferma attende.
Non vuol Tancredi, che pedon veduto
ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l’uno e l’altro il ferro acuto,
ed aguzza l’orgoglio e l’ire accende;
e vansi a ritrovar non altrimenti
che duo tori gelosi e d’ira ardenti.

<<guerra e morte avrai>> disse <<io non rifiuto di dartele se le cerchi>> e ferma attende. Tancredi vedendo il suo nemico a piedi, non vuol stare a cavallo e scende. Tancredi impugna la spada e l'altro il ferro acuto, l'orgoglio aguzza, accende l'ira e spinge entrambi allo scontro come due tori gelosi e ardenti di ira.

54Degne d’un chiaro sol, degne d’un pieno
teatro, opre sarian sí memorande.
Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudesti e ne l’oblio fatto sí grande,
piacciati ch’io ne ’l tragga e ’n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande.
Viva la fama loro; e tra lor gloria
splenda del fosco tuo l’alta memoria.

Io poeta che ho il compito di portare alla storia la condizione di quei due, degno di essere teatro di battaglia pieno di spettatori che possano essere ricordati. Nel buio profondo della notte e nell'oblio hai racchiuso una prova di valore così grande e consenti che io traggo fuori dall'ombra con la quale avvolgesti questa impresa che in piena luce possa esporre e tramandare. Viva resti la fama dei due eroi e insieme alla loro risplenda anche l'alta memoria delle tue tenebre.

55Non schivar, non parar, non ritirarsi
voglion costor, né qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l’ombra e ’l furor l’uso de l’arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro, il piè d’orma non parte;
sempre è il piè fermo e la man sempre ’n moto,
né scende taglio in van, né punta a vòto.

L'oscurità impedisce di vedersi bene, non si schivano, non si ritirano, non c'è la destrezza, l'ombra della notte e il fuor dei due contendenti impediscono che essi usan gli accorgimenti dell'arte dello scherma.
Si sentono le spade urtarsi a mezzo ferro, nella parte più bassa in mezzo alla lama, i due combattono con furore ostinato senza indietreggiare uno di fronte all'altro, ogni colpo raggiunge l'obbiettivo, e ogni colpo di tagli o di punte ferisce i combattenti.

56L’onta irrita lo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l’onta rinova;
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s’aggiunge e cagion nova.
D’or in or piú si mesce e piú ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi co’ pomi, e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.

Ogni colpo subito è sentito da loro come un'onta che suscita lo sdegno e incita alla vendetta, e la vendetta compiuta all'uno rinnova nell'altro l'onta e il desiderio di vendicarsi a sua volta. Man mano che passa il tempo lo scontro si fa sempre più ristretto e tumultuoso, la spada non serve più (non giova la tecnica) se le danno con l'impugnatura, con gli elmi, con gli scudi trascinati da una violenza barbarica e crudele dimenticando le regole cavalleresche.

57Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, ed altrettante
da que’ nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fer nemico e non d’amante.
Tornano al ferro, e l’uno e l’altro il tinge
con molte piaghe; e stanco ed anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.

Tre volte il cavaliere stringe la dama con le robuste braccia e altrettanto da quelle prese tenaci si scioglie, vedendolo come nemico e non come amante. Tornano a combattere con le spade e l'uno ferisce l'altro, dopo avergli inferto molte ferite stanco e anelante si distacca dall'altro e respira dopo aver faticato tanto.

58L’un l’altro guarda, e del suo corpo essangue
su ’l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l’ultima stella il raggio langue
al primo albor ch’è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico, e sé non tanto offeso.
Ne gode e superbisce. Oh nostra folle
mente ch’ogn’aura di fortuna estolle!

L'uno guarda l'altro, appoggiando il corpo ormai sfinito sul pomo della spada. Già si spegne l'ultima stella e sorge nel cielo il primo chiarore dell'alba. Tancredi vede il sangue del suo nemico uscire in abbondanza, e non essendo tanto ferito è orgoglioso.

59Misero, di che godi? oh quanto mesti
fiano i trionfi ed infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Cosí tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perché il suo nome a lui l’altro scoprisse:

Misero di che godi? O quanti sarà la tua vittoria ed infelice il fanto? Gli occhi tuoi piangeranno ( se resti in vita) e faranno un mare di lacrime per ogni stella di sangue di Clorinda. Così facendo i due guerrieri cessarono di combattere. Il silenzio fu rotto da Tancredi e chiese all'altro di rivelargli il nome.

60"Nostra sventura è ben che qui s’impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma poi che sorte rea vien che ci neghi
e lode e testimon degno de l’opra,
pregoti (se fra l’arme han loco i preghi)
che ’l tuo nome e ’l tuo stato a me tu scopra,
acciò ch’io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o la vittoria onore."

La nostra sfortuna è che tanto valore rimarrà sommerso nel silenzio e nell'oblio, dato che nessuno chi ha visto nessuno parlerà del nostro duello. Ma poiché c'è capitata una rea sorte, la quale ci nega la gloria e testimoni capaci di apprezzare il nostro valore, ti prego che io sappia chi renderà gloriosa, la mia morte, se sarà vinto, o chi renderà gloriosa la mia vittoria.

61Risponde la feroce: "Indarno chiedi
quel c’ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese."
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,
e: "In mal punto il dicesti"; indi riprese
"il tuo dir e ’l tacer di par m’alletta,
barbaro discortese, a la vendetta."

Risponde inferocita: <<invano chiedi quel che io ho fatto uso di non rivelare mai. Ma chiunque io sia tu davanti a te vedi uno di quei due che incendiò la grande torre. Arse di ira al sentir Tancredi a parlar in tal maniera e Ciò mirile e che è una nuova sfida: è ciò che mi taci in maniera scortese (il tuo nome) mi allettano alla vendetta.

62Torna l’ira ne’ cori, e li trasporta,
benché debili in guerra. Oh fera pugna,
u’ l’arte in bando, u’ già la forza è morta,
ove, in vece, d’entrambi il furor pugna!
Oh che sanguigna e spaziosa porta
fa l’una e l’altra spada, ovunque giugna,
ne l’arme e ne le carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.



63Qual l’alto Egeo, perché Aquilone o Noto
cessi, che tutto prima il volse e scosse,
non s’accheta ei però, ma ’l suono e ’l moto
ritien de l’onde anco agitate e grosse,
tal, se ben manca in lor co ’l sangue vòto
quel vigor che le braccia a i colpi mosse,
serbano ancor l’impeto primo, e vanno
da quel sospinti a giunger danno a danno.

Ritorno l'ira nei cuori e li trasporta benché deboli per combattere. Oh selvaggio lotta, dove non si bada alla tecnica, anche se non hanno forza di combattere poiché sono profonde le ferite aperte con la spada in ogni punto dove è arrivata. Se i due guerrieri non muoiono questo avviene soltanto perché lo sdegno e l'ira li tengono in vita.

64Ma ecco omai l’ora fatale è giunta
che ’l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s’immerge e ’l sangue avido beve;
e la veste, che d’or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
l’empie d’un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e ’l piè le manca egro e languente.

Ma ecco ormai che è giunta l'ora fatale in cui la vita di Clorinda deve volgere a termine. Spinge egli la punta della spada nel seno che vi si immerge e si ricopre di sangue, e la belle veste che teneramente e lievemente stringeva le mammelle la riempie di un caldo fiume. Lei già sente di morire e il piede le manca debole e vacillante.

65Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch’a lei novo un spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtú ch’or Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.

Tancredi segue la vittoria e la giovane Clorinda ferita minacciando incalza e preme. Mentre cadeva la voce afflitta disse le ultime parole, parole dettate dallo spirito cristiano dalla sua natale fede, di carità di speranza e di virtù che ora. Dio le infonde se invita fu ribelle, in quanto visse da musulmana, la morte la vuole cristiana (angelo).

66"Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l’alma sí; deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch’ogni mia colpa lave."
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch’al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

Amico hai vinto, io ti perdono... perdona anche tu non al corpo che nulla teme, all'anima, invece si, per lei prega e dona il battesimo che mi levi da ogni mie colpe. In queste parole la languide risuona un qualcosa di flessibile e soave che nel cuore spegne, placa ogni rancore e invoglia gli occhi a a lacrimare.

67Poco quindi lontan nel sen del monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v’accorse e l’elmo empié nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentí la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

Poco lontano da li nel seno del monte, scaturisce mormorando un piccolo fiume. Egli se ne accorse e nella fonte bagnò l'elmo, e tornò calmo al grande compito di somministrare il battesimo in punto di morte. Sentì tremare la mano, mentre il volto non conosciuto liberò dall'elmo e le scoprì il volto. La vide, la conobbe e restò senza voce e immobile.
Ahi vista! Ahi conoscenza!

68Non morí già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l’acqua a chi co ’l ferro uccise.
Mentre egli il suon de’ sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: "S’apre il cielo; io vado in pace."

Ancora non morta, raccolse le sue forze tutte in quel punto e le mise in guardia al cuore e reprimendo angoscia s volge a ridare la vita con l'acqua a chi la uccise con il ferro. Mentre egli pronunciò la formula battesimale. Clorinda muta per la gioia sorrise, e all'atto di morire lieto e vivace in quanto ormai sa che è il solo passaggio ad un'altra vita, sembrava dire: <<si apre il cielo, io vado in pace>>.

69D’un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come a’ gigli sarian miste viole,
e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e ’l sole;
e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma.

Ma il bianco volto cosparso d'un bel pallore, come se ai gigli fossero mescolate delle viole, gli occhi al cielo e il cielo e il sole sembravano a lui rivolti per pietà, la mano nuda e fredda invece di parlare perché non aveva la forza, porge Clorinda a Tancredi in segno di pace. Così muore la bella Clorinda e sembra che dorma.

70Come l’alma gentile uscita ei vede,
rallenta quel vigor ch’avea raccolto;
e l’imperio di sé libero cede
al duol già fatto impetuoso e stolto,
ch’al cor si stringe e, chiusa in breve sede
la vita, empie di morte i sensi e ’l volto.
Già simile a l’estinto il vivo langue
al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue.

Come Tancredi la vede morire si indebolisce quel vigore che aveva raccolto, abbandona il proprio animo al dolore ormai acuto, irrazionale, che restringe il cuore e riempie di morte i sensi e il volto. Già simile a Clorinda, ma Tancredi, il vivo è preso dal languore dello svenimento.

71E ben la vita sua sdegnosa e schiva,
spezzando a forza il suo ritegno frale,
la bella anima sciolta al fin seguiva,
che poco inanzi a lei spiegava l’ale;
ma quivi stuol de’ Franchi a caso arriva,
cui trae bisogno d’acqua o d’altro tale,
e con la donna il cavalier ne porta,
in sé mal vivo e morto in lei ch’è morta.

E' certo l'anima sua sdegnosa ormai di vivere spezzando a forza, il debole legame che la tratteneva al corpo, avrebbe infine seguito quella ormai sciolto dal corpo di Clorinda che aveva appena sprecato il volo verso il cielo.
Ma qui per caso arriva un esercito di Franchi che aveva bisogno d'acqua o di qualcosa d'altro del genere.
Moribondo e morto nello spirito per la morte di Clorinda



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