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D'Annunzio: I sogni del malato

di Gabriele D'Annunzio



Ho gli occhi bendati.
Sto supino nel letto, col torso immobile, col capo riverso, un poco più
basso dei piedi.
Sollevo leggermente le ginocchia per dare inclinazione alla tavoletta che
v'è posata.
Scrivo sopra una stretta lista di carta che contiene una riga.
Ho tra le dita un lapis scorrevole. Il pollice e il medio della mano destra,
poggianti su gli orli della lista, la fanno scorrere via via che la parola è
scritta […]. Sento in tutta la mia attitudine la rigidità di uno scriba egizio
scolpito nel basalto.
La stanza è muta d'ogni luce. Scrivo nell'oscurità […].
Imparo un'arte nuova.
Quando la dura sentenza del medico mi rovesciò nel buio, m'assegnò nel
buio lo stretto spazio che il mio corpo occuperà nella sepoltura […].
Quando dalla prima ansia confusa risorse il bisogno di esprimere, di
significare […] mi misi a cercare un modo ingegnoso di eludere il rigore
della cura e d'ingannare il medico severo senza trasgredire i suoi
comandamenti.
M'era vietato il discorrere; né m'era possibile vincere l'antica ripugnanza
alla dettatura e il pudore secreto dell'arte che non vuole intermediarii o
testimoni fra la materia e colui che la tratta […]. La difficoltà non è nella
prima riga, ma nella seconda e nelle seguenti. Allora mi venne nella memoria la maniera delle Sibille che scrivevano la
sentenza breve su le foglie disperse al vento dal fato.
Sorrisi d'un sorriso che nessuno vide nell'ombra quando udii il suono della
carta che la Sirenetta tagliava in liste per me, stesa sul tappeto della stanza
attigua al lume d'una lampada bassa.


Analisi del testo
Il passo riporta le prime battute del libro scritto, come è noto, durante i
mesi di degenza in ospedale, nel 1916, in quasi completa cecità a seguito di
una ferita riportata in guerra. Partendo da una condizione di <<buio>>, che
annulla ogni presenza fisica e sensuale della realtà esterna, D'Annunzio,
narratore autodiegetico in quanto è protagonista della vicenda da lui
raccontata, esordisce manifestando la ferma volontà di scrivere, nonostante
l'immobilità a letto cui è costretto. Il testo preso in esame si presenta come
una prosa di riflessione e di ricordo: un flash back, introdotto da un passato
remoto e da un imperfetto dell'indicativo, rompe il ritmo narrativo del
presente indicativo con cui ha inizio il racconto in prima persona del poeta.
D'Annunzio affida i suoi ricordi e pensieri a delle piccole liste di carta
scritte di suo pugno per <l'antica ripugnanza alla dettatura e il pudore
secreto dell'arte che non vuole intermediarii…fra la materia e colui che la
tratta>. All'ombra del protagonista si stagliano la figura di un medico
dalla non identificata identità, e quella di Renata, la figlia del poeta che egli
chiama col nome di Sirenetta. Questi due personaggi secondari diventano
attivi solo in funzione della vicenda del protagonista: il medico è
chiaramente sentito dal poeta come un personaggio negativo in quanto
esecutore della dura sentenza che lo ha condannato al <buio>; Renata,
invece, si distingue come personaggio positivo perché assiste
premurosamente il padre per il quale ritaglia le liste di carta destinate a
custodire le memorie del poeta. Condizionata dalla dimensione ridotta dei
cartigli, la scrittura si basa su notazioni brevi e secche, su periodi concisi e
sintetici, su pause e sospensioni capaci di generare suggestivi effetti. È proprio la concentrazione sul proprio io - evidenziata dall'uso della prima
persona singolare nella coniugazione verbale - a sollecitare il flusso di
sensazioni e di ricordi che si affacciano nel <buio>. Pertanto la parolachiave del passo è <<buio>> perché ne evidenza il motivo ispiratore; verso
questa parola, ripetuta spesso, convergono espressioni legate dal punto di
vista del significato: <muto d'ogni luce>, <oscurità>, <ombra>



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